mercoledì, luglio 06, 2005

Il relativismo di Berlino

Sarà una versione del tanto decantato relativismo storico. Sarà che quella memoria anticomunista nella rossa Berlino è sempre stata sopportata con fastidio. Quando arrivai per la prima volta nell'allora provincia tedesca (la capitale della Germania Ovest era Bonn in quel lontano 1986) rimasi colpito dalla presenza evidente della guerra fredda. In tutte le altre parti dell'Europa capitalista la divisione del continente era roba passata che faceva bella mostra sui libri di storia. Lì a Berlino era materia reale. Era strade interrotte. Muri invalicabili. Famiglie spezzate. Metropolitane monche.

Era però (e questa fu la seconda impressione, dopo qualche giorno) un limes entrato nella quotidianità cittadina. Smaltito lo shock del forestiero, anche lì, nell'epicentro della divisione, la guerra fredda era roba da libri di storia o da ricordi di qualche genitore in vena di racconti d'avventura. Un'avventura passata. Il muro era un perimetro urbano, le famiglie separate ormai da decenni non si conoscevano più, la metropolitana faceva capolinea a Tiergarten. Ed era tutto normale. Per i giovani di vent'anni, in fondo, era sempre stato così: Berlino si fermava alla Porta di Brandeburgo che, ironia della sorte, era stata conquistata da quelli dell'Est. La memoria, fuori dai racconti di un genitore rimbambito prima del tempo, era custodita in un piccolo museo a ridosso del Checkpoint Charlie, messo su con pochi marchi e molta passione, frequentato però solo dai turisti più volenterosi.

Una breve teoria di croci, senza ornamento e senza cura, costeggiava il perimetro del muro, tra la Porta e il Tiergarten, a ricordo di quanti morirono dissanguati nel tentativo di fuggire dal comunismo alla libertà, freddati dagli spari dei vopos o impigliati mortalmente nel filo spinato. Quelle croci, sembrava facessero impressione solo a me. Un'altra se ne sarebbe aggiunta in quell'estate del 1986, una delle ultime per uno degli ultimi fuggiaschi sfortunati. Di lì a tre anni il muro non ci sarebbe stato più. Al suo posto fu bello pensare a un memoriale per quegli eroi invisibili, visibilissimi però dai riflettori delle torrette di confine.

Di memoriali è piena Berlino, e tutti si affannano a inventarne di nuovi, nel trionfo del politicamente corretto che fa di questa smemorata capitale tedesca il cuore insensato di un'Europa senza senso. Adesso però la giunta comunale che ingloba socialdemocratici e comunisti, gli eredi di Willy Brandt corrotti da Gerhard Schröder e Oscar Lafontaine e gli eredi della Sed ringalluzziti da Gregor Gysi ha fatto in modo che il simbolo del capitalismo, una banca, cancellasse il simbolo della libertà. E nessuno protesta. Nessuno se ne cura. Nel mondo in cui tutti i memoriali sono grigi e tutti i memoriali possono saltare per far posto a una banca, c'è poco da stare allegri. Se poi la memoria diventa grigia in Germania, c'è anche da preoccuparsi.