sabato, luglio 16, 2005
Beppe Severgnini by Andrea Marcenaro
Ero senza una balla. Cioè, non proprio senza una balla, è che l’altra non mi era ancora scesa, si chiamava, credo, “ritenzione del testicolo”. Comunque, da piccolo, le mie balle erano una. Piccolo per modo di dire, tra l’altro, avevo sui dieci anni e cominciavo a frequentare cattive compagnie. Loro imprecavano: “Mi girano le balle!”, e suonava alle mie orecchie come un fantastico modo di dire, un rafforzativo generosamente guascone per dare forza e solidarietà a quell’unica che avevamo tutti. Così, ripetevo sereno. E se i più osé si spingevano oltre: “Che due coglioni!”, io, giù anch’io. Quell’estate eravamo al Taro, sul greto del fiume, disposti in due file tutti nudi come vermi. Rovescio la testa all’indietro e vedo le balle di Antonio. Non la, le, balle di Antonio. Rotonde come due ciliegie. Fu una corsa disperata verso casa: “Mamma, so tutto, dov’è finita quell’altra?”. Lei rise fino alle lacrime, telefonò al professor Nicolitch, e il giorno dopo bastò una piccola iniezione per trasformare Andreino nel magnifico esemplare di maschio che conoscete. Bon. Era solo per dire che Beppe Severgnini mi ricorda l’infanzia.