mercoledì, giugno 30, 2010

La vittoria mutilata di Christian Wulff

Ci sono volute più di nove ore, tre scrutini e tremilasettecentoventisei schede scrutinate per far sorridere Christian Wulff, 51 anni, fino a qualche ora fa presidente del Land della Bassa Sassonia e ora decimo presidente della Repubblica federale tedesca. L’esponente della Cdu, candidato dalla maggioranza governativa, ha ottenuto 625 voti, contro i 494 del suo sfidante più agguerrito, Joachim Gauck, teologo e dissidente ai tempi della Ddr. Due voti in più rispetto alla maggioranza assoluta di 623 necessaria per essere eletto nelle prime due votazioni ma sempre 21 in meno rispetto al pacchetto di voti di cui i tre partiti di coalizione disponevano sulla carta [... continua su East Side Report].

Wulff decimo presidente della Repubblica

Alla terza votazione Christian Wulff ce l'ha fatta ed è stato eletto decimo presidente della Repubblica federale tedesca. Ha ottenuto 625 voti, due in più di quella maggioranza assoluta che gli avrebbe evitato la doppia bocciatura nei primi due scrutini. Chiaro segnale di dissenso da parte degli elettori della maggioranza governativa, che gli avevano attribuito 600 voti nella prima votazione e 615 nella seconda, consegnandogli lo sberleffo della maggioranza assoluta quando questa non era più necessaria. Toccherà adesso alla Merkel rimettere assieme i cocci di una coalizione che esce danneggiata da quella che è stata la più lunga sessione elettorale di una Bundesversammlung.

Dieci


Berlino, Joachim Gauck in campagna elettorale. © plm

Secondo scrutinio: flop. Linke: libertà di voto, ma...

Ancora sorpresa: si va alla terza votazione. Per la seconda volta lo scrutinio per il presidente della Repubblica segna fumata nera. Per il candidato del governo Christian Wulff è una nuova sconfitta: 615 voti, 8 in meno rispetto alla maggioranza assoluta necessaria. Ora cambiano le regole: la terza votazione prevede per l'elezione la maggioranza relativa: vince chi prende più voti. Ma i dati vanno letti seguendo i movimenti tra la prima e la seconda votazione. Wulff ha recuperato 15 voti, Gauck, passato da 499 a 490, ne perde nove. Tre voti in meno anche per la candidata della Linke. Wulff è dunque in ascesa, il dissenso è stato in parte recuperato soprattutto ai danni di Gauck. I riflettori sono stati subito puntati sul partito di estrema sinistra, per capire le sue intenzioni nella terza votazione, anche se con i dati del secondo scrutinio alla mano, il suo appoggio non sarebbe stato sufficiente a portare Gauck alla presidenza. La Linke ha infine deciso di ritirare la candidatura di bandiera portata avanti sinora e dare libertà di voto ai propri elettori. Ma, anche a sentire Gregor Gysi, la maggior parte di loro si asterrà piuttosto che votare per Gauck, considerato dalla Linke un conservatore e un liberale e colpevole di mantenere nei confronti del passato della Ddr un giudizio pesantemente negativo. Con questa scelta, la strada per Wulff è in discesa, paradossalmente grazie al disimpegno dei post-comunisti. Il blog dello Spiegel , i live-ticker della Bild e della Süddeutsche Zeitung, informano sulle frenetiche trattative in corso fra i partiti in questi minuti.

I Querdenker

Chi sono i cosiddetti Vip, donne e uomini, attori, registi, sportivi, editori, scrittori, manager, imprenditori e personalità che si sono distinte in vari settori della vita pubblica tedesca al di fuori della politica, che stanno partecipando al voto nel Bundestag e che con il loro "pensiero laterale" possono sovvertire le scelte dei partiti? È l'aspetto più curioso e particolare della Bundesversammlung, il collegio elettorale che in Germania elegge il presidente della Repubblica. In questa carrellata di immagini, lo Spiegel online ne svela volti, carriere e simpatie politiche.

Non c'è un vincitore ma c'è già una sconfitta

Non c'è ancora un vincitore ma c'è certamente una sconfitta: Angela Merkel. La prima votazione per il nuovo presidente della Repubblica ha lasciato il candidato di governo 23 voti lontano dalla maggioranza assoluta necessaria e 44 voti indietro rispetto al potenziale di partenza. Se la scelta di Wulff doveva dimostrare la solidità della maggioranza nonostante le difficoltà di governo, i 44 voti mancanti sono il segnale che la crisi, il dissenso e i malumori interni sono più ampi di quanto si pensasse. Sul piano strettamente elettorale, ci sono margini di recupero, sia nella seconda votazione che nella terza. Il dissenso si è espresso - dirà probabilmente la Merkel ai suoi - ora deve rientrare, perché le conseguenze sulla sopravvivenza dell'esecutivo possono essere esiziali. Ma il danno politico non può essere cancellato e con esso la cancelliera dovrà comunque fare i conti.

Ottimo il risultato di Joachim Gauck: 499 voti, di fatto 39 in più rispetto alle stime di partenza, contando il forfait di due elettori socialdemocratici (segnalatoci da Germany News). La strada è ancora lunga ma lo sfidante ha già la soddisfazione di essere considerato il miglior candidato per quel ruolo al di là dei confini partitici. Chi sta perdendo un'occasione forse storica è la Linke. La sua candidata ha ottenuto due voti in più del pacchetto a disposizione. Potrebbe far convergere da subito i suoi voti su Gauck e determinare la sorprendente elezione dello sfidante alla seconda chiamata. Votando l'uomo che svolse un ruolo importante nei movimenti popolari che buttarono giù il regime comunista, la Linke potrebbe in un solo colpo mettere in difficoltà il governo e compiere un salto simbolico verso la piena agibilità politica, avviando quel processo critico nei confronti della storia della Ddr, finora affrontato con molte ambiguità. Se questo avverrà in un'eventuale terza votazione, avrà un valore strumentale, non strategico. (Aggiornamento: la Linke conferma il voto per la sua candidata anche nella seconda votazione).

Si va alla seconda votazione

La soffiata su Twitter era falsa ma ha aggiunto suspense all'annuncio ufficiale. Niente maggioranza assoluta alla prima votazione per Christian Wulff, che ha raggiunto solo 600 voti. Si torna a votare per la seconda volta. Anche in questo caso è necessaria la maggioranza assoluta di 623 voti. Il percorso per l'esponente della Cdu si fa più complicato. Ancora poco tempo per recuperare il dissenso che si è espresso in questa prima votazione. Si dovesse arrivare alla terza, ove è sufficiente la maggioranza relativa, i giochi sarebbero riaperti.

La soffiata di Twitter

Come la scorsa volta, anche oggi c'è una soffiata arrivata via Twitter e appena comunicata dalla rete pubblica Ard «con tutte le riserve possibili»: Christian Wulff sarebbe il nuovo presidente della Repubblica, eletto alla prima votazione. Aspettiamo di conoscere il risultato ufficiale. Dovesse confermarsi giusta la soffiata, è da attendersi che le polemiche saranno ancora più veementi di un anno fa, anche perché questa volta era stato assicurato che si sarebbe evitata ogni fuga di notizie. Ma, ai tempi di Internet, appare sempre più una guerra contro i mulini a vento.

Riunita la Bundesversammlung

Milleduecentoquarantaquattro grandi elettori sono riuniti da qualche ora nell'aula del Bundestag che ospita la Bundesversammlung, lo speciale collegio elettorale che eleggerà il nuovo presidente della Repubblica tedesca. In corsa, come già scritto, il presidente del Land della Bassa Sassonia Christian Wulff, espresso dai partiti di governo (Cdu, Csu e Fdp), Joachim Gauck, il teologo esponente del dissenso negli anni della Ddr, scelto da due partiti di opposizione (Spd e Grünen) e Luc Jochimsen, giornalista e deputata della Linke. Quest'ultima è una candidatura di bandiera, la gara è ristretta ai primi due candidati.

Nelle prime due votazioni è necessaria la maggioranza assoluta di 623 voti, nell'eventuale terza votazione è sufficiente la maggioranza relativa. La Bundesversammlung comprende i parlamentari del Bundestag e i delegati nominati dai sedici Länder, una rappresentanza composta da deputati regionali, politici ma anche intellettuali, professori universitari, personalità di prestigio varie. È soprattutto quest'ultima componente, che raccoglie persone sganciate dalle direttive dei partiti, che può riservare qualche sorpresa.

A un conteggio di massima dei voti, infatti, Christian Wulff parte con una maggioranza solida, superiore ai venti voti, che dovrebbe consentirgli l'elezione sin dalla prima votazione. Un vantaggio ancor più consistente di quello cui poté avvalersi Horst Köhler poco più di un anno fa, quando venne eletto alla prima votazione per il suo secondo mandato, poi conclusosi anticipatamente con le improvvise dimissioni. Tuttavia la situazione di difficoltà in cui versa il governo, con molti scontenti nelle file dei partiti di maggioranza, e il carisma dello sfidante Gauck, che incontra molte simpatie fra i rappresentanti della Cdu e dell'Fdp, soprattutto nelle federazioni dell'est, dove è vivo il ricordo del suo impegno come oppositore del regime, rendono questa elezione particolarmente avvincente.

Una stima dei voti fatta dal settimanale Der Spiegel attribuisce in partenza 644 voti a Wulff (ricordo che la maggioranza assoluta richiesta è di 623), 462 a Gauck, 124 alla Jochimsen, 14 in libera uscita. Sulla carta, dunque, la partita sembra chiusa. Se lo sarà anche nella realtà lo sapremo fra poco.

martedì, giugno 29, 2010

Wulff o Gauck? La Germania vota il nuovo presidente

Il politico e il dissidente. Anche alla fine della campagna elettorale, restano questi i due aggettivi che riassumono le storie e i caratteri dei due candidati che domani si disputeranno la presidenza della Repubblica tedesca. Il politico è Christian Wulff il candidato proposto dal governo, 51 anni, presidente del Land della Bassa Sassonia, esponente di spicco della Cdu nelle cui file milita fin da quando aveva i calzoni corti, cresciuto all’ombra di Helmut Kohl e ora sponsorizzato direttamente da Angela Merkel dopo che la cancelliera, per qualche giorno, aveva accarezzato l’idea di proporre una donna, l’attuale ministro Ursula von der Leyen. Il dissidente è Joachim Gauck, di vent’anni più anziano, teologo e pastore evangelico, proposto da socialdemocratici e verdi, personaggio non estraneo alla politica ma riconoscibile più come esponente di quella società civile che negli anni della Ddr diede vita ai movimenti di opposizione interna [... continua su East Side Report].

Nove


Danzica, Dlugie Pobrzeze. © plm

lunedì, giugno 28, 2010

Dibattito tv, il ritorno di Komorowski

Faccia a faccia televisivo fra i due candidati nel ballottaggio per la presidenza della Repubblica polacca, a una settimana dal voto. Secondo tutti gli osservatori, Komorowski ha ritrovato smalto e incisività e, alla fine, è stato quello che ha convinto di più. Kaczynski, al contrario, si è impantanato in una curiosa proposta di politica estera: difendere gli interessi della minoranza polacca in Bielorussia attraverso un franco dialogo con il presidente russo Medvedev. «Non credo sia proprio una buona idea per difendere gli interessi del nostro paese», ha replicato Komorowski, «quella di andare a parlare dei problemi riguardanti un secondo paese con il capo di un terzo paese». Come dire: se i russi hanno un problema con i polacchi, sarebbe ben curioso che ne vadano a discutere, per esempio, a Berlino. Il richiamo storico è stato piuttosto imbarazzante. Ma Kaczynski ha mostrato incertezze anche su tutti gli altri temi proposti nel dibattito. Il solito sondaggio televisivo post-dibattito, mostra una chiara vittoria per il candidato governativo: 52 contro 28. Indicative anche le reazioni della stampa. Il quotidiano liberale Gazeta Wyborcza elogia il dinamismo mostrato da Komorowski, quello conservatore-nazionalista Rzeczpospolita rimpiange il fatto che Kaczynski non abbia sfruttato tutte le carte a sua disposizione. I dibattiti televisivi sono spesso sopravvalutati nello svolgimento di una campagna elettorale. In Polonia però, nel 2007, fu proprio il confronto televisivo fra Donald Tusk e lo stesso Jaroslaw Kaczynski a dare la spinta finale al candidato di Piattaforma civica per la conquista del governo.

lunedì, giugno 21, 2010

Polonia, ballottaggio all'ultimo voto

Alla fine della conta, solo 4,5 punti percentuali separano il candidato governativo Bronislaw Komorowski da quello dell’opposizione nazionalista Jaroslaw Kaczynski, il gemello del presidente morto nel disastro aereo di Smolensk. Il primo turno delle elezioni presidenziali anticipate consegna dunque alla Polonia un risultato sorprendente che lascia aperta ogni soluzione per la corsa a due nei prossimi quattordici giorni. Con un’affluenza del 54,8 per cento, leggermente superiore rispetto ai timori della vigilia, il candidato del partito liberal-conservatore di governo Piattaforma Civica ha ottenuto il 41,2 per cento dei voti, quello di Giustizia e Libertà il 36,7. Nel conto va citato anche il 13,7 per cento ottenuto dall’esponente della socialdemocrazia, Grzegorz Napieralski, un dato che restituisce un po’ di ossigeno a un partito finito ai margini del quadro politico polacco dopo i lunghi anni di governo a cavallo del Duemila [... continua su East Side Report].

Polonia fra exit poll e voti reali

Bisognerà attendere che passi la notte e che lo spoglio dei voti per il nuovo presidente della Repubblica polacca si completi per abbozzare una prima analisi sensata. Lo scarto fra gli exit poll e i primi dati che arrivano dai seggi può essere anche consistente. I primi davano un vantaggio di quasi 13 punti per il candidato governativo Komorowski, i secondi - ancora estremamente parziali, solo il 15 per cento delle schede scrutinate - riducono il vantaggio ad appena due punti. L'unica cosa sicura è che si va al ballottaggio del 4 luglio tra Bronislaw Komorowski e Jaroslaw Kaczynski e che sarà un testa a testa. Ma l'asticella di partenza è ancora tutta da definire. Le analisi fatte a botta calda, comparse anche su autorevoli quotidiani italiani, e sciorinate facendo affidamento solo sugli exit poll, rischiano di essere - a essere generosi - approssimative. Quando non adulterate dal tipico vizio italiano di tifare e non raccontare. Pazienza, dunque, e appuntamento domani su East Side Report. Nel frattempo, potete seguire in diretta lo spoglio su Gazeta Wyborcza.

mercoledì, giugno 16, 2010

Sambonet, l'italiano che salvò Rosenthal

Lo scorso anno furono gli italiani a scrivere uno dei pochi capitoli a lieto fine della crisi economica tedesca. Correva l’agosto del 2009, un anno orribile per l’imprenditoria made in Germany segnato dall’improvviso baratro finanziario apertosi di fronte a marchi di grande tradizione che avevano scritto la storia industriale del paese più ricco d’Europa. Grandi catene commerciali come Karlstadt, Hertie e Quelle, inglobate nel gruppo Arcandor titolare anche del prestigioso Kaufhaus des Westen di Berlino, icone del modellismo mondiale come Märklin, sui cui trenini erano cresciute generazioni di bambini tedeschi, case automobilistiche come la Opel legate all’immaginario collettivo della Germania del boom economico. Imprese strette tra le insidiose secche del credito finanziario e il grande freddo dei consumatori. Quello che non riuscì nel settore dell’auto alla Fiat di Marchionne con la Opel, arrivò nel settore del design con una piccola ma solida azienda vercellese, leader nella produzione di articoli per la tavola e la cucina: la Sambonet.

A ritrovarsi con l’acqua alla gola fu il prestigioso marchio bavarese delle porcellane Rosenthal, centotrent’anni di tradizione nel design della tavola nata dalla fantasia imprenditoriale di Philipp Rosenthal, che nel 1879 fondò in una cittadina dell’alta Franconia una società di decorazione delle porcellane. Dalla decorazione alla produzione il passo fu piuttosto breve e all’inizio del Novecento il marchio tedesco aveva ormai conquistato notorietà globale in quel mondo spensierato e borghese che passò alla storia con l’appellativo di Belle époque. Al vecchio Philipp, viaggiatore curioso delle novità del tempo, venne anche in mente di creare in azienda un laboratorio di design, un’atelier dedicato alla progettazione e alla realizzazione di prodotti di porcellana ad alto contenuto artistico. Una svolta che impose il marchio sui mercati internazionali, una crescita continua fino all’avvento del nazismo, che costrinse l’imprenditore di origini ebraiche alla fuga. Dopo la guerra toccherà al figlio guidare le sorti del gruppo. La ricetta è la stessa, innovazione e creatività, premiata anche dalla ripresa economica della Germania e dell’Europa occidentale, dal boom che riporta il gusto del lusso e del bello nelle case della nuova borghesia europea. Mille artisti e designer si sono cimentati nei laboratori Rosenthal, i nomi più noti sono quelli di Salvator Dalì e Andy Wahrol, Walter Gropius e Aldo Rossi, Jasper Morrison e Luigi Colani, Paul Wunderlich e Patricia Urquiola. Con gli anni Ottanta arriva la rivoluzione tecnologica nei sistemi di produzione, la modernizzazione delle strutture e la razionalizzazione dei cicli produttivi. La fine della guerra fredda apre nuovi mercati, nell’Europa orientale, poi anche nella lontana Asia ma crea anche nuovi impegni. E la crisi finanziaria che dal 2008 aggredisce l’economia globalizzata mette in ginocchio anche un marchio come Rosenthal: l’azienda rischia l’insolvenza, gli oltre mille lavoratori il posto di lavoro, una tradizione centenaria l’oblio.

È in questo momento che avviene il miracolo. Dalla pianura vercellese si fa avanti una piccola azienda italiana che ha a sua volta alle spalle una particolare storia di successo, la Sambonet Paderno, leader nelle posaterie in acciaio con le quali ha conquistato le tavole degli alberghi più prestigiosi sparsi per il mondo. Pochi avrebbero scommesso sulla bontà di questa curiosa operazione di salvataggio, con la Sambonet Paderno nella parte di Davide che restituisce scopo e prestigio al Golia Rosenthal. Eppure è andata così. E questa settimana, quando la storia della Sambonet sbarca nei locali del punto vendita più famoso di Rosenthal sulla Kurfürstendamm di Berlino, la strada che fu la vetrina dell’occidente negli anni della città divisa, con una mostra che racconta uno spicchio dell’epopea imprenditoriale italiana, in molti offrono solo sorrisi. I lavoratori innanzitutto, tutti salvati dallo spettro della disoccupazione, millecento nelle sedi tedesche e cento dispersi nelle reti commerciali all’estero, ma anche i manager che, grazie al lavoro di ristrutturazione guidato da Vercelli, possono oggi contare su un’azienda che ha avviato un faticoso processo di risanamento integrandosi in una struttura più competitiva.

Per questa operazione la Sambonet Paderno ha anche ricevuto il premio Mercurio, assegnato dall’omonima organizzazione italo-tedesca come riconoscimento per gli «eccellenti risultati riscontrati nell'acquisizione della Rosenthal AG». Un traguardo che difficilmente si sarebbe prefisso il mastro orefice Giuseppe Sambonet, che nel lontano 1865, pochi anni dopo l’unità d’Italia, ottiene il diploma all’istituto delle belle arti e fonda una ditta a proprio nome depositando nella zecca di Torino il punzone con le iniziali “GS” destinate a diventare il marchio delle nobili tavole italiane. A cavallo del nuovo secolo è ormai il fornitore ufficiale dell’aristocrazia nazionale, nel 1932 fonda il primo impianto per la produzione industriale e sei anni dopo anticipa tutti avviando – primo in Europa – la produzione di posateria in acciaio inossidabile e la tecnica di argentatura dell’acciaio. Dopo la guerra introduce i nuovi coltelli in acciaio inox e nove anni più tardi ottiene la commessa del primo albergo americano internazionale, l’hotel Cairo: è lo sbarco nel mondo dell’hotellerie internazionale. Il sodalizio con Paderno, azienda specializzata nella fabbricazione di pentolame professionale e articoli da cucina, è del 1997. Li unisce la stessa idea che porterà questa azienda rinforzata a tentare con successo l’acquisizione di Rosenthal: sfruttare la complementarità della produzione per offrire ai clienti un servizio completo. I loro prodotti sono esclusiva delle più grandi catene alberghiere di lusso, Hilton, Crowne Plaza, Hyatt, Four Season, Fairmont, Mövenpick, forte la vocazione internazionale, il 60 per cento del fatturato è determinato da vendite all’estero. Il cuore resta in Italia, a Orfengo, una manciata di chilometri da Vercelli, dove dal 2001 la Sambonet Paderno ha costruito uno stabilimento modello che concentra il lavoro dell’intero gruppo. Nomi e luoghi adesso noti anche a Berlino.

domenica, giugno 13, 2010

La Germania mette la quarta, ora tocca a noi

Una onda elettrizzante che cresceva di intensità fino alle otto e mezzo della sera, tutti i locali con i tavolini all'aperto attrezzati di schermi più o meno grandi, piazze e cortili trasformati in stadi open-air. Berlino ha atteso la prima della nazionale tedesca come fosse una città sudamericana, tifo da finale, abbracci e festa e buona la prima. Quattro a zero ai resti dell'Australia che fu e tutti a sciamare per le strade suonando i clacson come se si fosse a Istanbul. Certo, c'erano pure i turchi, quest'anno orfani della Mezzaluna e tutti convinti sostenitori della squadra della nazione che li ospita. Ma i tedeschi hanno imparato a divertirsi e non sono da meno. La città multi-etnica, poi, sembra fatta apposta per esaltarsi in queste occasioni e ogni comunità di traveste come a Carnevale indossando stracci coi colori nazionali, infilandosi ghirlande di fiori di carta e mettendo sulle auto le proprie bandiere. Per tornare al calcio, la Germania non stecca la prima, unica squadra fra le grandi a iniziare come si deve, forse pure troppo visto che per raggiungere la finale dovrà tirare la carretta per un mese. Comunque la squadra è compatta, solida, geometrica, disciplinata e - soprattutto - sottovalutata.

Intanto fra meno di ventiquattr'ore tocca a noi. Siamo diventati meno divertenti dei tedeschi, non mettiamo le bandiere alle finestre, quelle per la macchina non sappiamo neppure cosa siano, gli stranieri li guardiamo storti e non li invitiamo a festeggiare insieme a noi e, siccome l'inno non lo abbiamo mai imparato a memoria, ora preferiamo cantare il Va pensiero. Quelli che sono qua, però, tengono alto il morale, insomma non siamo né favoriti né forti, nessuno ha capito cosa Lippi abbia in mente per questo mese anche se bisogna ammettere che - forse tranne un caso rischioso - non è che abbia tenuto a casa chissà quale talento. Abbiamo vinto la Champions League, ma tutti i campioni dell'Inter vestono altre maglie nazionali. L'Italia si è impoverita di classe in quattro anni, i sopravvissuti del 2006 tirano gli ultimi calci della carriera e anche l'allenatore ha già le valige pronte. Però siamo i campioni del mondo uscenti e abbiamo una tradizione che può portarci avanti, magari con l'esperienza. Insomma, ora tocca a noi: forza azzurri!

Sei


Berlino 2006, la capitale nel pallone. © plm

Cambio della guardia a Bratislava

Il 2010 può essere considerato l’anno elettorale dell’Europa centrale e la serie di votazioni a catena ne sta modificando il profilo politico. Dopo le vittorie di conservatorismi di diverso conio in Ungheria e Repubblica Ceca e in attesa dei voti presidenziali (diretti e assembleari) in Polonia e Germania, anche la Slovacchia si è recata alle urne e i dati appena sfornati dall’ufficio elettorale preannunciano un cambio di governo [... continua su East Side Report].

sabato, giugno 12, 2010

Gli alveari ronzanti

L'esperienza di tanti mondiali (e soprattutto dei due vinti dall'Italia) dovrebbe averci insegnato che è quasi inutile giudicare le prestazioni delle squadre che si candidano alla vittoria finale dalle partite del primo turno. Le cosiddette "grandi" iniziano al rallentatore, fanno il minimo indispensabile per superare il girone, e poi trovano la forma nelle partite a scontro diretto, quelle che contano per arrivare in fondo. Al contrario, le squadre che non pensano di poter vincere il mondiale, danno tutto nella prima fase, perchè il passaggio del turno è la loro vittoria. Ricordo solo il Brasile stratosferico di Ronaldo (e forse quello di Pelè, ma allora c'erano meno squadre) riuscire a mantenere per un mese intero una buona forma. Così, sarà bene ridimensionare la delusione inglese di questa sera o la brillante vittoria della Corea del Sud e forse anche la noia mortale inflitta dalla Francia ieri, che pure qualche problema ha dimostrato di averlo anche nelle fasi di qualificazione. L'unica a non aver stonato è stata l'Argentina di Maradona, sebbene abbia fatto solo intravedere il potenziale di cui dispone.

Per ora le protagoniste sono le trombette che trasformano gli stadi sudafricani in altrettanti alveari ronzanti. Vuvuzela, il nome è entrato come un incubo nei discorsi di tutti i telespettatori (non è dato sapere cosa ne pensino gli spettatori che sono in Sud Africa negli stadi). Tutti ne sono innervositi, pare che in Italia il loro ronzio sia ritenuto più fastidioso dei commenti dei Caressa, dei Bagni e dei Varriale. Qui in Germania, dove i commentatori sono più sobri, ci si chiede se le svogliate partite sinora osservate non siano dovute al rimbambimento dei calciatori per il continuo rimbombo. C'è chi rimpiange il coro crescente dei tifosi nei momenti cruciali delle azioni (chi di noi malati di calcio non ha imitato da bambino il rombo dello stadio all'incalzare di un'azione), l'urlo ai gol e pure i fan inglesi hanno faticato non poco a far sentire il canto del loro inno durante il secondo tempo con gli Stati Uniti.

Lo Spiegel, mettendo insieme vuvuzuelas e modestia tecnica della prima giornata ha trovato il titolo più simpatico: "Molto rumore per poco". Il Tagesspiegel, invece, la prende più sul serio, racconta il nervosismo dei telespettatori tedeschi, cita pagine di resistenza fondate su Facebook, spinge uno dei suoi inviati a Città del Capo a scrivere che pure ai sudafricani questo ronzio comincia a dar fastidio ma si becca i rimbrotti di una lettrice evidentemente esperta in materia per alcune imprecisioni sulle origini dello strumento. Così veniamo a sapere che queste benedette vuvuzelas sono una riproduzione di uno strumento tradizionale utilizzato per richiamare persone a lunga distanza. Che la prima riproduzione di massa in plastica si deve a un fabbricante sudafricano di origini indiane. E che solo successivamente è stato utilizzato dai tifosi durante le partite di calcio. ne sappiamo di più, ma le nostre orecchie non se ne gioveranno.

Il nuovo aeroporto di Berlino porta ritardo

Berlino cambia il suo sistema aeroportuale. Dei tre piccoli scali in funzione nel dopoguerra (Tempelhof e Tegel a ovest, Schönefeld a est) solo l'ultimo resterà in funzione, anche se quel che sopravviverà sarà solo il nome. Anzi, neppure quello per la verità, giacché Schönefeld sarà solo la collocazione geografica (un po' come Fiumicino per Roma) mentre l'aeroporto prenderà il nome ufficiale di Berlin-Brandenburg International Airport (BBI) e verrà intitolato a Willy Brandt. La fase di transizione ha già portato nell'ottobre 2008 alla chiusura del primo, storico piccolo aeroporto cittadino, Tempelhof, nel frattempo diventato un parco aperto al pubblico dove è possibile pattinare sulle vecchie piste di atterraggio e fare le grigliate sul prato. Ma gli ulteriori passaggi - chiusura di Tegel e dell'attuale Schönefeld e apertura del nuovo Willy Brandt - sono in dubbio.

Il nuovo scalo sarebbe dovuto essere inaugurato fra poco più di un anno, nell'ottobre 2011, ma dopo molti sussurri su un ritardo dei lavori, qualche giorno fa il Tagesspiegel ha rivelato che quei sussurri sono certezze. Si è parlato dello slittamento di un anno, i politici son dovuti uscire dalla melina e hanno preso la situazione in mano, cercando di capire e di rivelare ai cittadini quanto si dovrà aspettare. Una nuova data non è stata ancora comunicata, si parla di un ritardo compreso fra i sei e i nove mesi. L'inaugurazione avverrà dunque tra la primavera e l'estate del 2012. Responsabili della vicenda sono, in serie, il rigido e lungo inverno passato (con molti giorni con temperature sotto i -10 gradi) che ha ridotto le giornate lavorative, il fallimento di una delle imprese impegnate nei lavori, l'adeguamento delle norme di sicurezza alle ultime disposizioni europee.

Nessuno, in realtà, si sta stracciando le vesti per questo ritardo, anche perché recuperare il tempo perduto sarebbe ancora possibile, però con un aumento dei turni di lavoro e conseguente maggiore esborso per le casse pubbliche. E di questi tempi, la parola d'ordine è risparmiare. In più, era già stabilito che il collegamento ferroviario diretto da Berlino non sarebbe stato completato per il 2011 e ora ci sono speranze che tutto possa essere inaugurato assieme. L'unico problema è rappresentato dal sovraccarico di voli che ormai sopporta la pista di Tegel e dei riflessi elettorali che potranno ricadere sul borgomastro di Berlino (il prossimo anno si vota). Per il resto, sei o nove mesi più in là non sono la fine del mondo, di fronte a un'opera complessa come il Willy Brandt. E visto che c'è ancora un po' di tempo, potete intanto prendere le misure del nuovo aeroporto con la simulazione al computer.

L'irriducibile della Ddr

Basterebbero tre sillabe per chiudere una pagina e aprirne un’altra, per avere il coraggio di leggere il passato e aprire un dialogo sincero con il prossimo e con se stesso. Ma quelle tre sillabe non arrivano, neppure oggi, che sono passati vent’anni ed è tempo di bilanci che si possono tracciare senza la paura di essere inseguiti dai tribunali o dalle folle inferocite, anche perché di feroce qui a Berlino non c’è più nessuno. Egon Krenz, l’uomo del politburo che fece le scarpe a Honecker ma poi affondò insieme al suo regime, si agita sulla sedia durante la conferenza organizzata dall’associazione della stampa estera, si difende, attacca, ricostruisce gli eventi a modo suo. Tiene il punto, anche quando ti aspetteresti un’ammissione, una comprensione. Eppure sarebbe così facile, tre sillbe semplici semplici: «Scu-sa-te» [... continua su East Side Report].

venerdì, giugno 11, 2010

Wir sind Fußball

Al via il primo campionato del mondo africano di calcio. L'entusiasmo in Sud Africa è trascinante, le famose (e fra qualche partita temo famigerate) vuvuzelas, le lunghe e assordanti trombe da stadio, saranno la lunga colonna sonora del torneo che si concluderà fra un mese esatto - l'11 luglio - con la finale di Johannesburg. Si mette in mostra il paese più avanzato dell'Africa, ma assieme a lui va in scena un intero continente, per la prima volta protagonista. Non ho dubbi che ne sarà all'altezza.

L'Italia è campione del mondo uscente, Inghilterra, Spagna, Argentina e Brasile sembrano le favorite. Su questo blog seguiremo piuttosto le curiosità del campionato, lasciando il commento sportivo ai blog e siti specializzati. Essendo - per definizione e testata - un blog in movimento, seguiremo le partite da due paesi diversi, come d'altronde accadde per il mondiale tedesco di quattro anni fa. Allora ci dividemmo fra Italia e Germania, questa volta tra Germania e Ucraina, dove fervono i preparativi per giungere puntuali al prossimo appuntamento calcistico, gli Europei 2012 organizzati in comune da Polonia e Ucraina.

Nel frattempo, mentre forse state seguendo in diretta la cerimonia d'inaugurazione, ecco un paio di link utili e/o curiosi. Da YouTube il Waka Waka di Shakira, inno ufficiale del Mondiale 2010 (una versione pirata sfuggita all'asfissiante censura della Sony che ha la consolazione di contenere alcune immagini del trionfo italiano a Berlino) e la parodia tedesca di "Uwu Lena", Schland o Schland, che traduce in versione calcistica il successo di Lena Meyer-Landruth all'Eurovision. Più ufficiali i siti della Fifa (con calendario e notizie in tempo reale) e quelli dei due canali televisivi pubblici tedeschi, Ard e Zdf, che trasmettono in live-streaming servizi e partite. E per chi si trova a Berlino, qui la mappa completa dei maxi-schermi sparsi per la città.

venerdì, giugno 04, 2010

Cinque


Berlino, arriva l'estate e si riempiono i parchi. © plm

È finito l'inverno

L'arrivo (si spera definitivo) del sole e del caldo può diventare una notizia da prima pagina a Berlino, specie se segue un inverno molto rigido e una primavera fredda e piovosa. Ancora tre giorni fa la pioggia ingrigiva tutto e i 10 gradi di giorno si superavano a fatica. Da ieri si è cambiato registro, all'improvviso. L'alta pressione ha deciso di piazzarsi anche sull'Europa centrale, il sole è tornato a regalare giornate luminose, il termometro viaggia stabilmente sopra i 20 gradi e finalmente ci si può godere questa breve stagione estiva che allunga le giornate fino alle dieci della sera, un anticipo delle notti bianche che si vivono appena poco più a nord di Berlino. La città cambia completamente volto, i caffé all'aperto vengono presi d'assalto, le biciclette invadono le strade, si riempiono i parchi e le tv locali colgono l'occasione per intervistare un po' di vacanzieri urbani usciti finalmente dalle proprie tane. Con la speranza che duri.

Il politico e il dissidente

Tramontata l’idea di un’accoppiata al femminile alla guida della locomotiva europea, saranno due uomini a contendersi il 30 giugno prossimo la presidenza della Repubblica tedesca: Christian Wulff, il politico e Joachim Gauck, il dissidente. Il primo, 51 anni, nato a Osnabrück, guida il Land della Bassa Sassonia. Ha iniziato a far politica con i giovani della Cdu ed è uno dei superstiti di quel gruppo di emergenti di belle speranze ai tempi di Kohl, poi marginalizzati da Angela Merkel. Che infatti gli avrebbe preferito la ministra del Lavoro Ursula von der Leyen [... continua su East Side Report].

giovedì, giugno 03, 2010

Il bordello della discordia

Il palazzo è famoso nel quartiere, soprattutto per la sua bruttezza. Siamo nel punto in cui Schöneberg sta per lasciare spazio al Kulturforum di Tiergarten, all'incrocio fra la Potsdamerstraße (da non confondere con la Potsdamer Platz) e la Kurfürstenstraße (a sua volta da non confondere con il Kurfürstendamm). In quel punto esatto un pugno all'occhio colpisce il viandante: uno scatolone di vetro e acciaio grigio e azzurro, inconfondibile architettura degli anni Settanta, di quella che non ha portato la sua modernità oltre la soglia del decennio. È anche l'angolo classico della prostituzione berlinese, quello in cui vedi le donne vestite con pochi centimetri di stoffa anche nelle gelide notti d'inverno. A due passi, la sede storica del Caffé Einstein, poco più avanti la vita trasgressiva di Nollendorfplatz. Per restare sul genere, in questo brutto scatolone due piani sono occupati dall'Lsd (che sta per Love Sex and Dreams come declama la kitschissima insegna al neon blu e rosa), uno dei pochi grandi magazzini erotici sopravvissuti all'avanzata del porno su Internet. E qui un investitore aveva deciso di realizzare un bordello al chiuso, 48 stanze destinate all'amor profano. Gli abitanti si sono ribellati. In questo incrocio così berlinese, che racchiude nei suoi angoli venditori turchi di frutta e verdura, chioschi di kebab, il discount del sesso, un negozio di abbigliamento vintage e le vite perdute di molte ragazze (specie dell'est), il nuovo bordello è sembrato come un definitivo cedimento al degrado. Difficile giudicare. La questione è stata risolta da un giudice (c'è sempre un giudice a Berlino). Che prima di prendere la sua decisione s'è recato con il suo staff nella zona, ha osservato, domandato, valutato e alla fine scelto: il bordello non s'ha da fare. La cronaca approfondita sulla Tageszeitung.

La roulette dello Schloss Bellevue

Ieri la politica tedesca ha vissuto le sue ventiquattr'ore in rosa, con la candidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Repubblica. Una donna alla cancelleria e una donna allo Schloss Bellevue, una bella accoppiata. Durata però lo spazio di una giornata. Oggi la nobile ministra smonta da cavallo, a testimonianza che in ogni paese chi entra in una competizione papa esce spesso cardinale. Il testimone del favorito passa al presidente del Land della Bassa Sassonia (lo stesso nel quale la von der Leyen ha mosso i suoi primi passi politici, peraltro): Christian Wulff, sostenuto dalla compatta schiera dei presidenti regionali del partito. Sulla ministra del Lavoro, sostenuta dalla Merkel, sono piombati i distinguo dell'Fdp (per la questione dei controlli su Internet) e della Csu (per le politiche familiari sostenute nel precedente governo). Sullo sfondo, il rinnovato contrasto fra la componente governativa della Cdu, legata alla Merkel, e i cosiddetti Landesfürsten, i riottosi governatori regionali. Uno scontro che si riflette nella corsa alla successione di Köhler. Ma dato il ruolo simbolico del presidente della Repubblica, non è detto che il passaggio di un suo oppositore dalla presidenza di un Land allo Schloss Bellevue debba per forza dispiacere alla Merkel.

Aria di Mondiale

Finite le competizioni nazionali, comincia l'attesa per il campionato del mondo di calcio che si disputerà per la prima volta in Africa. Gli allenatori definiscono le rose, le squadre giocano le ultime amichevoli di preparazione, le valige sono pronte e, nel fine settimana, inizieranno i voli verso il Sud Africa. Su Radio Europa Unita, Matteo Tacconi ci racconta le speranze delle nazionali dell'Europa centro-sud-orientale attraverso una serie di articoli pubblicati sul blog Te li do io i mondiali, che peraltro oggi si occupa di uno dei capitoli più neri della leggenda calcistica azzurra.

mercoledì, giugno 02, 2010

La Repubblica (federale) delle donne?

Angela Merkel ha tracciato l’identikit del prossimo presidente della Repubblica che la speciale assemblea federale (Bundesversammlung) composta dal Bundestag e dai delegati scelti dai parlamenti dei sedici Länder dovrà eleggere il prossimo 30 giugno, in sostituzione del dimissionario Horst Köhler: capacità retorica, peso ed esperienza politica, attitudine a porsi al di sopra delle parti. E allora, perché non una donna? Perché non Ursula von der Leyen, attuale ministro del lavoro? Già, perché no? La scelta è spiazzante. La Germania ha già una cancelliera donna, la Merkel appunto. Finora ha funzionato. Perché non raddoppiare?

Il nome è stato gettato in campo ieri e nel giro di poche ore è lievitato tanto da diventare quasi ufficiale. I due partiti che con la Cdu dividono le responsabilità del governo nazionale – i cristiano-sociali della Csu e i liberali dell’Fdp – hanno comunicato che non presenteranno proprie candidature di bandiera ma appoggeranno il candidato suggerito dalla Cdu dandogli la forza di una candidatura di maggioranza. In campo restano ad oggi alternative forti e autorevoli come quella dell’attuale ministro dell’Economia, l’esperto Wolfgang Schäuble, o del presidente del Bundestag, l’algido Norbert Lammer. Ma nonostante gli umori attorno al governo non siano al momento dei migliori, il centrodestra mantiene una maggioranza consistente (23 voti) nella Bundesversammlung: è dunque in grado di portare avanti la propria candidatura sino alla vittoria, anche senza la convergenza dell’opposizione.

Se la von der Layen supererà gli ostacoli che comunque le verranno frapposti la Germania potrebbe trasformarsi in una Repubblica (federale) delle donne. Il sesso sempre gentile ma ormai anche forte, fortissimo, controlla già da tempo la casella del vertice politico. Per Angela Merkel adesso sono arrivati tempi duri, la luna di miele che l’ha accompagnata per tutto il primo mandato si è ormai conclusa, le pene sono giunte proprio quando ha potuto guidare un governo ideologicamente più compatto, ma la caparbietà non è una dote che le manchi e proprio nel momento più difficile, quando l’improvviso ritiro del capo dello Stato sembrava precipitare ogni cosa, ha saputo reagire con prontezza non usuale, trovando nel suo stesso entourage la soluzione meno scontata.

Ursula von der Leyen è una delle politiche più amate nel paese. Tenace, determinata, concreta è una delle donne che Angela Merkel ha voluto con sé, prima nel gruppo che ha gestito la campagna elettorale del 2005 e poi al governo per rinnovare la squadra dirigente della Cdu. Nobile, come testimonia il suo lungo cognome, ricca e a suo modo affascinante, madre di sette bambini, felice e in carriera grazie anche alle collaboratrici domestiche che si può permettere, si è rivelata però sempre attenta e sensibile alle necessità delle donne che devono confrontarsi con ben altri budget. Dopo un’esperienza ministeriale nel Land della Bassa Sassonia, ha trascorso i quattro anni della Grosse Koalition al ministero della Famiglia, basando la sua politica su valori certamente tradizionali, orientandola però su criteri pragmatici e moderni: la battaglia per gli asili e l'aumento dei bonus per la natalità puntavano a dare alle donne non parole di sostegno ma mezzi concreti per affrontare con maggiore sicurezza la sfida di armonizzare lavoro e affetti familiari. Leggendario un suo scontro con l’allora vescovo di Augusta Walter Mixa, finito poi nel grande calderone degli scandali per la pedofilia, il quale sosteneva che gli asili avrebbero sollevato le madri dal loro compito principale di allevare i figli. Confermata alla Famiglia nel nuovo governo, ha poi subito traslocato in un ministero tradizionalmente maschile come quello del Lavoro per sostituire Franz Josef Jung, caduto per le conseguenze di un’azione militare tedesca in Afganistan quando era ministro della Difesa.

E l’Afganistan torna nel destino della von der Leyen, giacché anche il presidente Köhler ha preso cappello per non aver digerito le critiche che gli sono piovute addosso dopo aver sostenuto che un paese che vive di export come la Germania deve mettere in conto di poter operare missioni militari all’estero per difendere i propri interessi economici. L’impegno militare più controverso della Bundeswehr dal dopoguerra è diventato, involontariamente, il trampolino di lancio per l’ascesa politica della von der Leyen. Che tuttavia ci mette del suo. Ancora ieri la ministra ha declamato con soddisfazione gli ultimi dati sul mercato del lavoro tedesco che, a differenza di quello degli altri paesi europei, fa registrare un calo del numero dei disoccupati. Segno che la crisi morde sempre ai fianchi del gigante tedesco ma non riesce ad affondare i suoi incisivi: «Il peggio però non è ancora passato, bisogna restare molto prudenti», ha aggiunto, mostrando di possedere un’accorta retorica diplomatica, forse già di stampo presidenziale.

L’ascesa femminile al cielo non è tuttavia campo esclusivo della politica. Anche nell’impresa le donne si fanno velocemente strada a scapito degli uomini, assumendo sempre più ruoli dirigenziali. Un anno fa, i settimanali Die Zeit e Wirtschafts Woche avevano dedicato a questo fenomeno pagine e articoli, raccontando cifre e volti di una rivoluzione non più silenziosa. E sempre le donne sono protagoniste di un fenomeno forse non altrettanto positivo per le sorti complessive del paese, ma certamente emblematico dei nuovi rapporti di forza: più colte, più preparate e più intraprendenti degli uomini, emigrano in massa dalle vecchie regioni dell’est alla ricerca di impieghi più redditizi e più appaganti nelle regioni dell’ovest. Con la conseguenza che nei piccoli centri di quella che fu la Ddr, è sempre più frequente incrociare di sera gruppi di uomini soli e abbandonati (e spesso disoccupati) che annegano la propria solitudine nei pub.

In dodici anni, dal 1996 al 2008, la percentuale delle donne economicamente indipendenti è salita dal 27 al 41 per cento e sebbene permangano ancora squilibri sul piano delle retribuzioni (in media il 23 per cento in meno rispetto agli uomini) il passo in avanti è considerevole per un universo che ancora qualche tempo fa era relegato alle tre classiche K: Kinder, Küche e Kirche, bambini, cucina e chiesa. Se poi si aggiunge una nota di colore, e cioè che è stata proprio una ragazza appena diciannovenne – Lena Meyer-Landrut – a riportare in Germania dopo ventotto anni il titolo del festival musicale europeo Eurovision, il cerchio sembra chiudersi. L'eventuale candidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Repubblica avvicinerebbe la Germania alle tradizioni progressiste dei paesi scandinavi, dove da tempo anche la politica parla al femminile.

martedì, giugno 01, 2010

Quattro


Berlino, la cupola del Reichstag. © plm

Una crisi politica nel cuore dell'Europa

È un lunedì di fine maggio freddo e grigio a Berlino, quando il presidente della Bundesrepublik Horst Köhler si presenta in una sala della sua residenza dello Schloss Bellevue con la moglie al fianco, e con voce commossa e solenne annuncia una decisione sorprendente: «Vi rendo noto le mie dimissioni dal ruolo di presidente della Repubblica federale con effetto immediato». È un fulmine a ciel sereno, sebbene il presidente sia stato per molti giorni al centro delle critiche per le sue dichiarazioni sull’impegno delle truppe tedesche in Afganistan [... continua su East Side Report].