giovedì, luglio 31, 2008

Noi europei e la nuova sfida americana

Non è stato un rientro facile per Barack Obama dopo i successi in Medio Oriente e in Europa. Prima è arrivato il sondaggio Wall Street Journal-Nbc dagli Stati Uniti: McCain è in rimonta. Poi sono arrivati i primi dubbi europei: mandare nostre truppe in Afghanistan per alleggerire le tasse degli americani non è esattamente il senso che noi diamo all’idea di lavorare insieme. Chiusa la luna di miele “oltremare”, il candidato democratico si trova alle prese con gli effetti collaterali interni del successo ottenuto all'estero. In patria il suo rivale ha controbattuto giocando sull’immaginario repubblicano più popolare, solleticando quella sorta di franco populismo patriottico che rappresenta una delle carte sicure da offrire a una Right Nation disorientata. Se l’avversario va in Europa a riscuotere credenziali, il vero americano resta in patria a battere villaggi, fast food, stadi di baseball e a parlare con la gente comune. Strategia che potrebbe apparire consumata ma che invece funziona, e ancora tanto.

McCain è esperto e ora si dimostra anche spregiudicato, ripercorrendo alla bisogna questo brogliaccio forse un po’ semplicistico ma di sicura presa su una parte non piccola suo elettorato: il candidato-fighetto di là a farsi bello con i capi di Stato europei di fronte ai paparazzi, il candidato-patriota di qua a far di conto con i problemi dell’America. Ha assunto in questa fase il ruolo di outsider, Mc Cain, concedendo al più avvenente Obama il fardello del favorito e del predestinato. Se quello viaggia credendosi già presidente, lui punta sul fascino della rincorsa. Lo incalzerà per tutta la campagna elettorale accusandolo di idealismo e di arrendevolismo, provando a scavare un solco tra due Americhe, quella che disarma di fronte al pericolo e quella che resiste e fa quadrato. E’ propaganda ma, appunto, siamo in campagna elettorale e McCain sa che può farcela solo se dà fondo all’onda lunga della Right Nation, se risuscita lo spirito di George W. Bush nonostante George W. Bush, senza rinnegarlo ma anche senza mai evocarlo.

Messa così per Obama si fa più dura. Il suo viaggio “oltremare” è stato un successo d’immagine. Le tappe in Afghanistan e Medio Oriente lo hanno messo in mezzo ai soldati e ai generali, ai problemi della guerra quotidiana, delle strategie militari, delle emergenze da affrontare. Quelle in Europa lo hanno consegnato alla trama di rapporti diplomatici con i capi di Stato e di governo che sarà preziosa se sarà eletto. In entrambi i casi, Obama ha raggiunto lo scopo di dimostrare agli americani di poter essere un presidente autorevole e apprezzato all’estero, capace di maneggiare i temi internazionali, di calibrare le proposte, di ascoltare, di dialogare ma anche di decidere e di proporre.

Poi c’è stato il discorso di Berlino, di fronte a una folla straripante ed entusiasta: una grande esibizione politica e mediatica che ha spinto il fronte di McCain a correre ai ripari per parare il colpo e controbattere. Mentre la gran parte dei commentatori è andata alla ricerca della frase famosa, che rimanesse a imperitura memoria di questo ennesimo evento americano-berlinese sulla scia dei due illustri precedenti (Kennedy e Reagan) e sottolineando involontariamente ancora una volta la bizzarria di un candidato accolto come fosse già un capo di Stato, lui, Obama, ha tracciato una sorta di programma generale della sua prossima politica estera con abbondanti riferimenti al ruolo dell’Europa. E qui si è ascoltato un Obama assai diverso dall’icona pacifista che gli stessi tedeschi (ed europei) si erano costruiti nei mesi scorsi. Parole nette sulla minaccia nucleare iraniana, invito a guardare oltre le divisioni sull’Iraq per assicurare una rapida transizione democratica al paese e, infine, la richiesta di un maggiore impegno comune sull’Afghanistan.

L’Afghanistan come punto centrale della lotta al terrorismo fondamentalista, una sorta di ritorno al futuro, al luogo in cui l’amministrazione Bush aveva iniziato la sua azione di contrasto al terrore per poi scivolare nel buco nero di Bagdad. Obama è stato attento a considerare l’importanza strategica del cosiddetto mondo islamico moderato e la retorica dei ponti da costruire e dei muri da abbattere individua questa svolta strategica che si rifletterà anche sul piano diplomatico. Ma ha soprattutto incardinato in una prospettiva generazionale la sfida complessiva portata dal terrorismo, dalle nuove povertà, da una globalizzazione che dopo aver prodotto molti effetti positivi per il mondo presenta oggi l’altra faccia della medaglia e un conto salato da pagare.

"Vaste programme", avrebbe detto con qualche sarcasmo il generale De Gaulle. Eppure Obama ha tracciato, forse per la prima volta nella sua ormai lunga avventura elettorale, un’idea di politica estera che esce dal cono d’ombra propagandistico. In questa sfida generazionale, della sua e della nostra generazione, Obama vede lo spazio per rinsaldare quel legame transatlantico che può ancora fornire frutti preziosi. E’ forse l’ultima spiaggia e non è detto che sia una spiaggia ancora balneabile. Stati Uniti ed Europa, nonostante la retorica che viaggia tra le due sponde dell’Atlantico, sembrano destinate piuttosto a dividere i loro destini, perché diversi – geopoliticamente ed economicamente – cominciano ad essere i loro interessi: basti pensare al problema delle risorse energetiche, ai rapporti con la Russia, all’Asia centrale. E basta leggere i commenti dei più brillanti opinionisti della Right Nation, come Victor Davis Hanson sulla National Review, per capire quanto sul versante conservatore prevalga ormai l’idea di un’America deve andare avanti da sola, a strenua difesa del mondo unipolare, forte delle sue tradizioni e del suo patriottismo.

La nuova divisione, che dopo il viaggio europeo di Obama si approfondisce fra i due candidati, ricalca davvero due modi opposti di intendere l’America e il suo rapporto con il resto del mondo e, per quel che maggiormente ci interessa, con l’Europa. Da un lato il “cittadino del mondo” (mai espressione è stata tanto criticata dai giornali conservatori), dall’altro il patriota americano. Da una parte il tentativo di costruire assieme all’Europa una grammatica per comprendere il nuovo mondo multipolare, dall’altra una sorta di conflitto permanente a difesa dell’idea della fine della storia. Da un lato la strada sdrucciolosa ma anche affascinante di una nuova frontiera, dall’altro la sicurezza di un approccio duro ma già sperimentato.

Non si sa ancora quali saranno i temi su cui si giocheranno i prossimi e decisivi mesi di campagna elettorale. E visti i chiari di luna che si prospettano sul versante economico (onda lunga della crisi immobiliare, debolezza del dollaro, esplosione dei costi energetici) è probabile che saranno i temi interni a divenire determinanti. Tuttavia, dopo il viaggio “oltremare” di Obama, i due candidati hanno messo in tavola le loro carte internazionali. E in nessun mazzo è ancora possibile rintracciare l’asso piglia tutto.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 31 luglio 2008)

Piccolo mondo antico

Perché Mediaset è vecchia e il futuro è altrove. Ma anche in politica? Interrogativo non a sproposito, specie se per politica intendiamo non la geometria di partiti e schieramenti ma le cose concrete, le scelte pratiche che si riflettono su uomini, lavoratori, utenti. E' il caso Alitalia. Lo seguiamo da tempo, una delle poche eccezioni per questo blog berlinese e est-europeo. Oggi ci sono due articoli dall'Italia. Il lungo colloquio di Eugenio Scalfari con Corrado Passera su Repubblica (che contiene alcuni momenti epici, roba da consigliare ai giornalisti praticanti come esempio di non-giornalismo o giornalismo senile (*), e sì che evidentemente il piccolo mondo antico è proprio una condanna nazionale) e un commento di David Carretta sul Foglio. Dopo aver letto quest'ultimo verrebbe da collegare le due vicende (Mediaset e Alitalia) e chiedersi: e se la soluzione fosse vendere Alitalia a YouTube?

(*) " [...] Mentre facevo queste riflessioni con Caracciolo, guardavo Passera di sottecchi. Ma lui, all'enumerazione di quegli errori e di quelle responsabilità, aveva assunto la posizione della sfinge: mani sulle ginocchia e sguardo nel vuoto. Solo quando nominai i sindacati si lasciò sfuggire un'esclamazione e un gesto delle braccia verso il cielo. Poi si ricompose subito né io sollecitai un suo commento. Gli posi però la terza domanda..."
Più che un colloquio tra vecchi amici sembra il tono di una seduta spiritica (ndb.)

Ab sofort

Cade il muro delle Kneipe. La Corte federale ha bocciato le leggi antifumo di Berlino e Stoccarda considerandole incostituzionali. Si torna a fumare.

domenica, luglio 27, 2008

Lufthansa sciopera, vacanze a rischio

Alla Lufthansa entrano in sciopero dalla mezzanotte. Come accadde per i trasporti pubblici berlinesi qualche mese fa, lo sciopero non ha una scadenza: va ad oltranza. A rischio le vacanze di quei milioni di tedeschi che avevano acquistato il biglietto aereo. Nel frattempo, avventate strategie societarie e aumento del carburante spingono Air Berlin, la compagnia aerea privata più grande d'Europa, ad aumentare i prezzi dei biglietti. Air Berlin non è mai stata una low cost in senso stretto, ma una sorta di via intermedia fra Ryanair e Lufthansa. Insomma, aria pesante sui cieli di Germania e sulle vacanze dei tedeschi.

Vi sarebbe un immenso bisogno

Di un'opposizione seria al governo Berlusconi. Luca Ricolfi sulla Stampa. Ilvo Diamanti su Repubblica. Cattiva opposizione, cattivo governo: l'equazione è sicura e la democrazia ne risente. Ma dalle parti del Loft sembrano ormai prigionieri di un incubo di mezza estate. Quando ci si affida alla deriva dietrologica, c'è poco da sperare per il futuro. Serrate le finestre, il nemico è lì fuori e ci assedia. Manca l'aria fresca al Loft e il partito democratico può già soffocare. Quanto è lontano l'aprile fiorentino del 2007!

Aggiornamento. E' estate, e alcune cose vanno prese con le molle. Sarebbe meglio braghette e piedi a mollo, invece che rilasciare interviste, o almeno il cappellino in testa per evitare i colpi di sole. Dal Pd al Pb, dai democratici a pippobaudo. E' il percorso che suggerisce il giovane Letta, il politico (ex) giovane più sopravvalutato d'Italia.

sabato, luglio 26, 2008

Le memorie storiche confuse

Così, gironzolando per internet in cerca di spunti est-europei, mi sono imbattuto in questa recensione dei vecchi reportage di Indro Montanelli dalla Budapest in fiamme del 1956, pubblicati due anni fa in occasione del cinquantenario. La recensione era di Beppe Benvenuto, che ovviamente non c'entra niente. C'entra invece il quotidiano in questione, il prestigioso Secolo XIX di Genova e il suo ignoto titolista. Che ha fatto un errore grande quanto il carattere del titolo. Che suona così: "Ungheria '56, così l'inviato Montanelli s'innamorò della Primavera di Praga" (qui il pdf). Mi sono letto l'articolo incuriosito dal legame tra l'esperienza ungherese del '56 e l'innamoramento, dodici anni dopo, per la rivolta praghese ma ovviamente si trattava di un errore. Non di un refuso, ma di un errore. La rivolta di Budapest confusa con quella di Praga, nel cielo grigio del passato est-europeo. No, è che oggi si ragiona sullo studio della Freie Universität di Berlino che denuncia la scarsa conoscenza della storia della DDR da parte dei giovani studenti tedeschi. Ma almeno non vanno a titolare le pagine di uno storico quotidiano regionale.

giovedì, luglio 24, 2008

L'O-Day in diretta

Dalla Bild che ne segue la visita molto scenografica minuto per minuto e dal sito internet della televisione all-news n-tv.

Aspettando Barack Obama

Berlino. Ora che la bizzarra polemica sul luogo da cui Barack Obama terrà giovedì il più atteso discorso della sua breve tournè europea si è conclusa, all’ombra della Siegessäule – la colonna della vittoria che celebra i successi militari prussiani nel diciannovesimo secolo– fervono i lavori. Obama avrebbe voluto parlare alla Porta di Brandeburgo. La avrà lo stesso, sullo sfondo della Strasse des 17 Juni, il grande vialone che taglia il Tiergarten e collega la Siegessäule con la Porta stessa. Gli operai stanno disponendo le transenne non solo nella rotonda della colonna ma lungo tutto il vialone. Si prevede un afflusso massiccio, tipo quello della finale agli europei di calcio davanti al maxischermo. Allora questo miglio di strada era stato chiamato Fanmeile, miglio dei tifosi. Oggi è stato ribattezzato Kandidaten-Fanmeile, il miglio dei tifosi del candidato.

Se si votasse a Berlino, Obama raggiungerebbe percentuali bulgare. E’ diventato un mito prima ancora di aver dimostrato di essere un politico capace. La cosa fa arrabbiare i commentatori alla Charles Krauthammer, che sul Washington Post di una settimana fa rammentava che un palco sotto la Porta di Brandeburgo bisogna meritarselo e si chiedeva: ma Obama chi si crede di essere?

E tuttavia c’è poco da rabbuiarsi. Sarà per la sua tecnica da predicatore. Sarà per il fatto di incarnare l’icona più classica del politicamente corretto (il primo possibile presidente nero). Sarà soprattutto per essere considerato, qui nella Old Europe, l’anti-Bush. Sarà per tutte queste cose insieme, era dai tempi della visita di John Fitzgerald Kennedy che in Germania non si vedeva tanto entusiasmo per un politico americano. E Obama non è ancora Kennedy, ne incarna semplicemente il sogno.

Segno dei tempi. Obama è una superstar, come lo ha incoronato il settimanale Der Spiegel. Ha carisma innato, attira su di sé attenzioni e dibattito, qualsiasi cosa faccia o non faccia. Da quando si è saputo che avrebbe fatto di Berlino il palco principale della sua visita europea, la scena è diventata tutta sua. Da Parigi e Londra, le successive due tappe del suo viaggio, hanno lasciato trapelare qualche risentimento per il privilegio concesso alla capitale tedesca. A Berlino invece si è aperta una serie un po’ comica di polemiche.

Per giorni ci si è scontrati sull’ipotesi del discorso sotto la Porta, con la cancelliera e il sindaco della città su fronti opposti. Una volta deciso di farlo parlare sotto la colonna, quelli che non avevano voluto la Porta hanno sollevato dubbi sul fatto che parlasse sotto un simbolo militarista, dimenticando che da anni la Siegessäule è il punto di arrivo di un corteo per nulla militarista come quello del Christopher Street Day. I giornali conservatori hanno tirato fuori i costi della visita: 250mila euro, denuncia il Berliner Morgenpost, per l’impiego di millecento poliziotti. Il sindaco socialdemocratico è sicuro che il ritorno d’immagine per la città valga abbondantemente questa spesa. I politici hanno fatto a gara per strappare un incontro o una stretta di mano. Ma l’onore spetterà solo a due cariche istituzionali, ad Angela Merkel e al ministro degli Esteri Franz-Walter Steinmeier che il senatore americano incontrerà uno dopo l’altro in mattinata. Incroci elettorali: Merkel e Steinmeier potrebbero essere i candidati alla Cancelleria nell’autunno 2009, una foto per uno, decisione ecumenica.

Sui giornali impazza il gossip. Cosa farà Obama, dove andrà, cosa visiterà, dove dormirà? Il programma resta volutamente vago. Punti fermi: atterraggio all’aeroporto di Tegel alle 9 del mattino, visita alla Cancelleria e al ministero degli Esteri, discorso alla Siegessäule alle 19, pernottamento in città. Nel frattempo dovrebbe passeggiare in centro, visitare alcuni monumenti storici, la famosa Porta di Brandeburgo (in attesa di meritarsela per un discorso), il memoriale dell’Olocausto, il Checkpoint Charlie, dove negli anni della guerra fredda americani e sovietici si fronteggiavano sul punto più caldo del confine cittadino.

Qualcuno ha cominciato anche a preoccuparsi per quello che dirà. L’icona di pacifista è una esagerazione che il paese più allergico alla politica di George W. Bush gli ha affibiato con troppa precipitazione. Le tappe in Afghanistan e in Iraq, che stanno precedendo l’appuntamento berlinese, hanno un po’ raffreddato gli entusiasmi. E i politici socialdemocratici, che reputano Obama uno di loro, iniziano ad aver paura che la svolta in politica estera non sarà così netta, se i democratici vinceranno le elezioni. Temono, anzi, che dietro la retorica del rilancio delle relazioni transatlantiche e del rapporto fra Stati Uniti e Germania, l’ospite possa chiedere ai tedeschi di rinforzare il proprio contingente in Afghanistan, territorio sul quale la nuova strategia obamiana pensa di concentrare i propri sforzi bellici per sconfiggere definitivamente al-Qaeda. Con il paradosso che la nuova superstar americana potrebbe trovare orecchie più attente proprio sul versante del centrodestra.

(pubblicato sul Secolo d'Italia)

mercoledì, luglio 23, 2008

Srebrenica

Per chi dovesse aver perso la memoria di chi fosse Radovan Karadzic.

Csu, in crisi la balena bianca bavarese

Chissà se il congresso di Norimberga dello scorso fine settimana darà alla Csu lo slancio necessario per risalire la china nei sondaggi. I sorrisi non sono mancati, così come le testimonianze di fede e di speranza. Soprattutto non è mancato l’appoggio della cancelliera Angela Merkel che si è gettata alle spalle le critiche anche ingenerose dei suoi alleati e ne ha anzi lodato il programma fiscale di riduzione delle tasse, sostenendo che è parte integrante della piattaforma con cui il centrodestra andrà alle elezioni politiche nell’autunno 2009, sempre che la Grosse Koalition arrivi indenne al termine della legislatura.

Prima però ci sono le elezioni regionali bavaresi a settembre, che danno il là ad un anno elettorale decisivo. La Csu è la costola bavarese della Cdu e negli ultimi anni ha subito un’erosione di consensi preoccupante: il partito si confronta, forse per la prima volta nella sua storia, con una crisi che rischia di ridimensionarla drasticamente. La Baviera è il Land più ricco della Germania, il più autonomo e una volta il più sicuro dal punto di vista elettorale. Qui la Csu domina incontrastata: salvo un triennio nei lontani anni Cinquanta è sempre stata al governo e dal 1962 senza bisogno di alleati. Un dominio assoluto come la maggioranza granitica che fa di questa regione un’eccezione in tutta Europa.

Il rischio è che non sia più così. Nel 2003 il partito guidato ancora da Edmund Stoiber ragginse uno dei suoi picchi storici, il 60,7 per cento, sfruttando l’onda lunga della sfortunata corsa alla cancelleria perduta l’anno prima contro Schröder. A casa propria, Stoiber ritrovò l’affetto che per un soffio gli era mancato nella competizione nazionale. Da quel momento però il partito ha iniziato la fase calante. Ed è passato attraverso traumi politici e umani che ne hanno scalfito la credibilità: l’appannamento della stessa leadership di Stoiber, voci di scandali, guerre intestine, la sfida chiassosa e distruttiva della “pasionaria” Gabriele Pauli, l’esautorazione del capo. Per un partito carismatico come la Csu, transitato indenne dalla giocosa e schietta ruvidezza di Franz Josef Strauß all’algida figura di Stoiber, uno shock. Tanto che il partito ha dovuto far ricorso a due uomini laddove ce n’era sempre stato uno solo. Una buffa diarchia, nata da un lungo e faticoso compromesso: Beckstein ha sostituito Stoiber alla guida della regione, Huber gli è succeduto alla guida del partito.

Ma due politici non fanno un leader. Appaiono un po’ impacciati, si muovono ognuno per conto proprio, sembrano in disaccordo tra di loro anche se poi fanno reciproche marce indietro una volta venuti a conoscenza della posizione dell’altro. E così la crisi che in Germania sta investendo gli storici partiti di massa ha cominciato a corrodere anche questa piccola cassaforte regionale, che però in Baviera è il partito di massa. Senza carisma non si governa. Stoiber s’è messo da parte, rinunciando tre anni fa, in una sorta di cupio dissolvi, anche a concludere la sua carriera politica in un ministero economico a Berlino. Al suo posto c’è l’onesto Glos (l'altro ministro csu è Seehofer all'Agricoltura). Non basta per marcare il profilo del partito, al quale mancano gli ingredienti forti oltre che le personalità. Il programma è vago, la diarchia salta da una proposta all’altra nel tentativo (secondo i sondaggi per ora vano) di inseguire i desideri degli elettori: il pendelpauschale, una sorta di sgravio fiscale per i pendolari che usano l’auto, l’ammorbidimento della legge contro il fumo, la polemica anti-immigrazione. Una pesca delle occasioni nella speranza di indovinare il bussolotto giusto. Per ora non ha funzionato: alle comunali di qualche mese fa è stato un disastro e il partito ha perduto tutte le grandi città della regione.

A Norimberga il congresso ha mostrato due volti. La prima giornata è stata tutta di Angela Merkel, la sorella maggiore. La cancelliera ha provato a rassicurare l’alleato e a restituirgli un po’ della fiducia perduta. E’ preoccupata anche lei: un crollo del partito bavarese potrebbe riflettersi negativamente fra un anno, quando si tornerà a votare per il parlamento e la cancelleria. Ma se lo slogan congressuale affermava che “la Germania ha bisogno della Baviera” è apparso semmai evidente che è la Csu ad aver disperato bisogno di Angela Merkel.

La seconda e conclusiva giornata è stata invece segnata dal ritorno sulla scena della diarchia del partito che ha ripreso alcuni temi fissi degli ultimi tempi. Il presidente della regione Beckstein ha puntato sull’aumento della criminalità dovuto – a suo dire – all’immigrazione degli stranieri. Il capo del partito Huber ha infiammato i delegati rilanciando la proposta di sgravio fiscale per i pendolari e accusando i socialdemocratici di voler aprire le porte ai neo-comunisti della Linke: insomma, un pericolo rosso per la cattolicissima Baviera.

I toni sono quelli di una campagna elettorale all’ultimo respiro. Tutto si giocherà su due soglie: quella del 50 per cento che assegna la maggioranza assoluta, attorno alla quale oscilla la Csu, e quella del 5 per cento sulla quale danzano i sondaggi della Linke. L’ingresso della sinistra radicale nel parlamento bavarese potrebbe far saltare anche qui equilibri storici. Huber, noto anche per le sue freddure, s’è inventato uno slogan astruso: raggiungeremo il 50 per cento più x. A questa formuletta matematica la Csu affida le proprie speranze.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 22 luglio 2008)

martedì, luglio 22, 2008

lunedì, luglio 21, 2008

We got him!

Preso il macellaio di Srebrenica e Sarajevo. Erano anni che le autorità serbe sapevano dove fosse nascosto. Poi è arrivata l'Unione Europea, piano piano, con i suoi metodi lenti ma inesorabili. E la voglia di entrarci ha fatto maturare la svolta a Belgrado. Esportazione della democrazia in salsa europea. Funziona anche questa, forse pure meglio.

La guerra dei social network

Facebook avrebbe un clone. Anzi ce l'ha. Si tratta del social network tedesco Studivz, acronimo del quasi impronunciabile Studentenverzeichnis (o Studienverzeichnis, secondo la Bbc). Troppo simile, accusano dalla California: design, servizi, trovate sono esattamente le nostre, è plagio. Per questo i dirigenti di Facebook sono andati in tribunale mentre quelli della società berlinese respingono le accuse. Ne parla diffusamente proprio il sito della Bbc.

venerdì, luglio 18, 2008

Lo spot che sta facendo commuovere i tedeschi


E' della Deutsche Telekom. Il protagonista, Paul Potts, con il suo cd ha superato nelle hits tedesche Madonna. Ci si commuove un po' anche noi, pensando a questo signore e a quanto ci manca.

La sera andavamo alla Siegessäule

Niente più Porta di Brandeburgo per Barack Obama, dopo le polemiche di cui avevo parlato qui. La sera del 24 luglio il candidato democratico parlerà ai berlinesi all'ombra della Siegessäule. Non sarà proprio simbolica come la Porta di Brandeburgo, ma visto il nome della colonna, fossi in McCain, mi preoccuperei. I miei amici che capiscono di America dicono (a ragione) che non saranno gli europei a votare e che a volte negli Usa le eccessive simpatie raccolte da un candidato all'estero possono essere controproducenti. Bisognerà tuttavia capire (e chi sta in America ce lo può dire avendo il polso della situazione) se davvero una buona fetta dell'elettorato è preoccupato del sentimento di antipatia che pervade parte delle opinioni pubbliche mondiali, in Europa in particolare. Perché in questo caso la calda accoglienza degli europei per il candidato democratico potrebbe avere un impatto positivo. Berlino, Parigi e anche Londra (non a caso tre metropoli) hanno visto sfilare negli anni passati impressionanti cortei contro la guerra in Iraq e ancor oggi il sentimento prevalente è di profondo dissenso (al contrario dell'Italia, anche a destra). L'allergia all'obamamania è comprensibile - come a tutte le cose che diventano una moda un po' fighetta - ma per capire come andrà a finire a novembre bisogna andare oltre.

Circo Salemi

Ma chi pagherà questo caravanserraglio?

giovedì, luglio 17, 2008

Un paesaggio di rovine

"Berlino ha i suoi campanili amputati e le sue file interminabili di edifici governativi distrutti, i cui colonnati prussiani abbattuti riposano il loro profilo greco sui marciapiedi. A Hannover re Ernesto siede di fronte alla stazione sull'unico cavallo grasso di Germania, la sola cosa scampata senza un graffio in una città che una volta dava alloggio a quattrocentocinquantamila persone. Essen è un incubo fatto di nude e gelide costruzioni in ferro e logori muri di fabbriche. A Colonia i tre ponti sul Reno sono affondati da due anni, e il duomo, cupo, annerito e solitario, s'innalza tra un cumulo di macerie, con una ferita di mattone rosso vivo sul fianco che sembra sanguinare al crepuscolo. Le piccole torri medievali, nere e inquietanti, sono precipitate nei fossati di Norimberga e nelle cittadine della Renania gli scheletri spuntano dalle case di legno bombardate. Eppure c'è una città che si fa pagare per mostrare una rovina: Heidelberg, risparmiata, dove i bei resti dell'antico castello fanno l'effetto di una diabolica parodia nel tempo delle rovine.

Per il resto ogni luogo è il peggiore - sì, forse. Ma se si è alla ricerca di primati, o si vuole diventare esperti in rovine, se si desidera un campionario di ciò che una città rasa al suolo può offrire in quanto a rovine, se si vuole vedere non una città in rovina ma un paesaggio di rovine, più desolato di un deserto, più selvaggio di una montagna e fantastico come un incubo angoscioso, allora c'è forse una sola città tedesca da visitare: Amburgo".

Stig Dagerman, Autunno tedesco, 1947.

Mr. Eriksson, I suppose

Un attore inglese semina scompiglio sulle tribune dei campi di calcio della serie A messicana vestito da Sven Goran Eriksson. I giocatori in campo si sbattono per mettersi in luce. I giornalisti abboccano e lo inondano di interviste. E lui impassibile, a dare risposte. Eriksson è il nuovo allenatore del Messico. Ma per il momento è in vacanza negli Stati Uniti.

Italia, paese di sante navigatrici

Eh, ma questo signore se le tira proprio.

La quadratura del cerchio

O almeno dell'anguria. Vanno di gran moda in Asia e ne avremo un abbondante assaggio durante le olimpiadi cinesi. Ora pare che la moda si stia diffondendo anche in occidente. Resta da capire, a parte la curiosità estetica, dove sia la praticità. Forse nel trasporto ma probabilmente meno nel taglio.

mercoledì, luglio 16, 2008

Multi&Kulti

Più multikulti di così! Parto gemellare nella Sana-Klinikum di Lichtenberg, un quartiere di Berlino. Con una particolarità, che i medici valutano possa accadere una volta su un milione. Leo ha gli occhi neri e la pelle scura. Ryan gli occhi azzurri e la pelle chiara. I genitori sono una delle tante coppie miste che vivono in Germania. Ghanese lei, Florence-Addo di 35 anni, tedesco lui (per l'esattezza di Potsdam, la capitale del Brandeburgo attaccata a Berlino), Stephan di 40 anni: il cognome è Gerth. La mamma dice che è stato un dono di Dio. Di certo Berlino non poteva trovare simboli più azzeccati per testimoniare la sua vocazione meticcia. Come Romolo e Remo, anche la nuova Roma sulla Sprea ha i suoi gemelli fondatori. Uno bianco e uno nero. Auguri.

lunedì, luglio 14, 2008

Cose turche

L'altroieri volevo affrontare il tema della caratura morale del centrosinistra a livello locale, perché è verissimo che nel centrodestra sembra ormai quasi un gioco tifare per i ladri ma poi, quando uno va a vedere le cose da vicino, sul piano locale, non può che tirare l'amara conclusione che la piaga della corruzione sia oggi la vera emergenza dell'Italia, a destra come a sinistra, con pochi pazzi isolati che cercano di far argine in questa melma. Laggiù succedono cose turche, un presidente di regione stimato e dall'aria tranquilla viene arrestato con accuse infamanti (che andranno accertate ma il quadro che ha offerto oggi la procura è quantomeno circostanziato e dovrebbe consigliare a qualcuno di frenare la lingua, in attesa dovremmo rimanere tutti, giustizialisti e ingiustizialisti) e a difenderlo scende (con coerenza, non c'è che dire) il leader della coalizione opposta. Poi però arriverà il solito editorialista principe del Corriere della Sera a spiegarci che in fondo così fan tutti o cosa? Ah, gli intellettuali, proprio vero che non ne azzeccano mai una.

ps. poi quel tema non l'ho affrontato perché, francamente, mi sono stancato, in fondo vivo altrove.
ps2. giusto per evitare fraintendimenti, io mi auguro che Del Turco sia innocente e per quel poco che l'ho personalmente seguito quando mi occupavo di giornalismo politico in Italia, tenderei a crederlo. Poi la magistratura è lì per indagare e indagherà.

domenica, luglio 13, 2008

Addio Geremek, da oggi l'Europa è più povera

Un incidente stradale. Una macchina che sbanda, invade l'altra corsia e si schianta frontalmente con un veicolo che arriva in direzione opposta. Così è morto poche ore fa nella sua Polonia Bronislaw Geremek, professore di storia medievale, esponente di primo piano di Solidarnosc e della dissidenza anti-comunista, ministro degli Esteri della Polonia dal 1997 al 2000, poi deputato europeo e fiero oppositore del populismo dei gemelli Kaczynski (furiosa la polemica sulla "lustracja"). Aveva settantasei anni. Era una delle menti più lucide della Nuova Europa e con il curriculum che si ritrovava, uno dei padri di questo continente ritrovato dopo gli anni della divisione. Un uomo di grande cultura prestato alla politica ma che nella politica aveva trovato modo di trasmettere passione, combattività, cultura. Era considerato un po' la coscienza critica dell'Europa, sempre pronto a cogliere il significato profondo di un continente allargato ad est in opposizione alle banalità che sull'argomento vengono declinate a est e ad ovest. Nell'ultimo periodo, in seguito alla diaspora politica del gruppo storico di Solidarnosc, si era accasato nel gruppo liberal-riformista, alla ricerca di un centrismo democratico che fosse il più possibile lontano dal rancore fatto politica dei gemelli Kaczynski. Conosciuto e stimato anche ad ovest, e soprattutto in Francia, affidava spesso ai quotidiani transalpini le sue riflessioni sui temi caldi del momento. Due settimane fa, in seguito al no referendario dell'Irlanda, avevo ripreso per la rassegna stampa europea settimanale un suo contributo da Le Monde, che qui ripropongo come eredità intellettuale di un grande uomo che oggi lascia noi europei un po' più poveri.

La notizia su Gazeta Wyborcza (in polacco), Le Monde, BBC. Questa l'intervista concessa a CaféBabel (in italiano) nella quale criticava con compostezza la politica sulla "lustracja" del governo Kaczynski. Dal settimanale tedesco Die Zeit tre articoli su Geremek: uno, due e tre.

Arriva la pensione, è tempo di emigrare

Gli anziani di oggi rappresentano probabilmente l'ultima generazione che potrà godersi sostanziose pensioni dopo una lunga e dura vita di lavoro. Anche in Germania. Le riforme varate negli ultimi anni stanno modificando anche l'efficiente ma dispendioso stato sociale tedesco, lo squilibrio demografico ha innescato cambiamenti che renderanno impossibile per chi verrà dopo usufruire dello stesso sistema. L'orizzonte pensionistico, almeno a partire dalla mia generazione, assume tutta un'altra prospettiva. E' divertente (e suscita un po' d'invidia) vedere dunque come gli anziani di oggi - che avendo vissuto la loro infanzia a cavallo della seconda guerra mondiale se la sono passata veramente male e hanno patito per anni la fame - gestiscano questa fase della loro vita. E' a loro che si rivolgono gran parte delle proposte commerciali degli ultimi tempi, sono loro - loro che ancora se lo possono permettere - ad acquistare auto ed elettrodomestici che noi possiamo solo guardare sui cataloghi. I tedeschi poi, abituati a combattere con un clima non sempre piacevole, amano da sempre trascorrere gli anni della pensione in un altro paese, trasferendo armi e bagagli in genere verso sud. Dove? Ce lo dice la Süddeutsche Zeitung, con una classifica fotografica dal decimo al primo posto. Con qualche sorpresa, alcune conferme e qualche delusione. Scoprite quali.

sabato, luglio 12, 2008

Perché Obama vuol parlare a Berlino

Berlino. Come ormai da qualche anno Giro d’Italia e Tour de France inaugurano le loro corse a tappe in un paese straniero, in omaggio all’Europa unita, così la campagna presidenziale americana tra Barack Obama e John McCain avrà un suo iniziale fuori programma europeo. L’idea è venuta allo staff del candidato democratico: un viaggio in Europa, fra pochi giorni, a fine luglio, per raccogliere e trasmettere in patria il prevedibile entusiasmo che l’uomo nuovo della politica americana susciterà in tre capitali: Parigi, Londra e Berlino. E’ qui che l’Obama-tour farà tappa. I suoi hanno però un asso nella manica che dovrebbe colpire al cuore l’immaginario collettivo degli americani. Proprio a Berlino, il 24 luglio, i maghi della sua campagna elettorale stanno facendo di tutto per organizzare un suo intervento pubblico alla Porta di Brandeburgo, nella piazza simbolo della riunificazione dell’Europa che da qualche giorno ospita anche la nuova ambasciata americana.

La prospettiva sta facendo litigare i politici tedeschi. Il sindaco socialdemocratico è entusiasta e ha fatto sapere che la città è pronta ad ospitare l’evento. Un po’ meno contenti sono dalle parti della cancelleria, anche se la freddezza è in un primo momento trapelata solo attraverso prudenti canali diplomatici. Preoccupa il fatto che la Porta, per la prima volta nella sua storia, diventi lo scenario di una campagna elettorale. Finora non era mai avvenuto. Tuttavia, con il passare delle ore e con l’accavallarsi delle reciproche dichiarazioni, il confronto si va facendo più aspro e i toni più forti. Berlino è entrata in piena Obama-mania e il prossimo anno le elezioni ci saranno anche in Germania. Sia Angela Merkel che il suo più probabile avversario, il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, avranno tutto da guadagnare da una stretta di mano e una foto ricordo da mostrare agli elettori. Berlino val bene una messa. Non era questa la frase, ma i tempi cambiano.

Quanto simbolica sia questa piazza nella storia americana del dopoguerra è presto detto. Nel 1987, a soli due anni dalla caduta del Muro, Ronald Reagan pronunciò un discorso destinato ad assumere un valore profetico. Non era esattamente nella Pariser Platz ma alle sue spalle, in quello che allora era ancora il settore occidentale di Berlino. La Porta di Brandeburgo costituì lo sfondo di quel discorso, fatto in piena epoca di disgelo fra glasnost e perestrojka. Il presidente americano si rivolse direttamente al suo omologo sovietico chiedendo: “Mister Gorbaciov, venga qui e tiri giù questo Muro”, (tear down this wall).

Un altro precedente americano a Berlino è probabilmente ancora più vicino all’immaginario dei sostenitori di Obama: il famoso viaggio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963, due anni dopo la costruzione del Muro. In quell’occasione, i sovietici calarono tra le colonne della Porta di Brandeburgo dei drappi rossi per impedire resiprocamente ai propri cittadini e a Kennedy la visuale durante il passaggio e la sosta del corteo presidenziale. La famosa frase “Ich bin ein Berliner” venne infatti pronunciata dal presidente americano di fronte alla folla raccolta sotto il palazzo comunale di Schöneberg, un quartiere centrale di Berlino Ovest.

Nella Pariser Platz parlò invece Bill Clinton, nella sua visita del 1994, ma il momento non era più così drammatico e all’allora giovane presidente non restò altro che certificare “che ogni cosa è possibile perché oggi Berlino è una città libera”. Un bel discorso del quale però non son rimaste tracce particolari. Il valore politico dell’eventuale discorso di Obama è dunque evidente. A Parigi e a Londra, il candidato democratico toccherà luoghi cari alla memoria europea degli americani, ma è sotto la quadriga issata sulla sommità della Porta che Obama pronuncerà un discorso dal chiaro segno programmatico: il ritorno del rapporto di ferro fra Stati Uniti ed Europa dopo le divisioni suscitate dalla guerra in Iraq.

Rinsaldare il rapporto transatlantico, chiudere la stagione delle incomprensioni, tornare a lavorare insieme per affrontare le sfide del mondo multipolare. La retorica c’è tutta, il contenuto è però tutto da costruire. Il passaggio dalla competizione interna con Hillary Clinton a quella con l’avversario repubblicano John McCain ha già scosso alcune certezze del programma di Obama. E proprio sull’Iraq. La situazione sul campo migliorae il ritiro immediato delle truppe americane è scivolato indietro nell’agenda del candidato democratico. Obama troverà un’Europa comunque desiderosa di riprendere il filo della collaborazione (peraltro su altri fronti militari e politici mai interrotto) ma il mondo con le sue urgenze preme, e premono anche i nuovi scenari asiatici, dove l’America sembra intenzionata a giocare la sua partita del futuro. L’Europa e il rapporto transatlantico vivono come un pilastro di vecchi tempi, le strategie della Nato restano ancora vaghe: la retorica di un discorso può aprire una stagione nuova ma non è chiaro ancora per andare verso dove.

(pubblicato sul Secolo d'Italia dell'11 luglio 2008)

venerdì, luglio 11, 2008

Sinistra sperduta

Da qualche parte la sinistra italiana dovrà pur ripartire. Il colloquio di Massimo D'Alema con il Foglio traccia come sempre qualche spunto interessante, vista anche la paralisi veltroniana che lascia spazio da un lato al radicalismo populista dei nuovi girotondini (negli anni Settanta la sinistra extraparlamentare lanciava molotov, oggi lancia volgarità dai palchi, è comunque un passo avanti), dall'altro alla macelleria legislativa che il centrodestra sta eseguendo su una materia delicata come quella della giustizia. Peccato che lo stesso D'Alema poi si perda, una volta giunto al governo, fra difficoltà e merchant bank. Il convegno della prossima settimana della sua fondazione sul sistema elettorale tedesco mi pare comunque interessante. Se avrò tempo ci darò un'occhiata anche a distanza.

Il Sessantotto degli altri / 3

Fu un anno intenso, il Sessantotto in Cecoslovacchia. Praga sembrava vivere allo stesso ritmo delle capitali occidentali scosse dalla contestazione giovanile. Come Parigi, Francoforte, Berlino Ovest e Roma. Come le università americane già qualche anno prima. Gli studenti che manifestavano nelle università avevano i loro idoli rock: amatissimi i componenti dell’Akord Klub, il primo gruppo cecoslovacco che richiamava folle di giovani nell’angusta sala del teatro Reduta, sempre a due passi da piazza Venceslao. Niente più musica ufficiale [... continua su Ideazione].

Le puntate precedenti: prima e seconda.
Le foto che hanno illustrato su Walking Class le tre puntate sono state scattate dall'autore. 1) Lapide commemorativa di Jan Palach, Praga, Piazza San Venceslao; 2) Cancello dell'entrata di servizio del ministero degli Esteri, Kiev, Ucraina; 3) Cartello di confine fra il settore americano e quello sovietico, Checkpoin Charlie, Berlino.

Tale padre tale figlio?

Pare che anche in Lumbardia, le tesine vadano scritte in italiano.

giovedì, luglio 10, 2008

It's raining again

Cronachette meteo. E' grigio, piove e ci sono sedici gradi a mezzogiorno. Andiamo verso la metà di luglio. Che volete di più?

mercoledì, luglio 09, 2008

Il Sessantotto degli altri / 2

Il blocco est europeo non è mai stato quel monolite compatto che la propaganda sovietica amava rappresentare. Già nei primi anni del dopoguerra, le rivolte di Berlino Est e della Polonia avevano mostrato la riluttanza di ampi settori della popolazione ai nuovi schemi economici e politici. Il primo violento scossone fu quello di Budapest, nel 1956, che determinò l’intervento dei carri armati sovietici per sedare una rivolta che stava capovolgendo il regime. A ovest ci si commosse e ci si emozionò. Poi si voltò la faccia dall’altra parte [... continua su Ideazione].

Lech Walesa e il caso Bolek

Varsavia. Pozzi senza fondo, insidiosi e pericolosi, dai quali possono uscire atti e documenti capaci di riscrivere la storia oppure patacche e falsi in grado di infangare icone che hanno combattuto in prima persona il comunismo. Questo sono gli archivi dei servizi di sicurezza dei regimi comunisti che per quarant’anni hanno spiato, seguito, corrotto e assoldato cittadini e agenti segreti, intellettuali e politici, oppositori e vicini di casa. Oscuri corridoi del terrore al tempo in cui il Muro di Berlino era ancora saldamente in piedi, oggi gioia e delizia di storici e ricercatori che rileggono quegli anni bui alla luce delle nuove fonti disponibili. L’ambizione è di trovare la verità, meglio se scomoda. Il rischio, di incappare in una trappola e venire strumentalizzati.

La polemica che agita in queste settimane la scena politica in Polonia ha a che fare con tutte queste cose: giovani storici, nuovi documenti, strumentalizzazioni politiche e un nome eccellente che si celerebbe dietro un codice segreto rubato ai migliori romanzieri del genere, a un Ian Fleming o a un John Le Carré. Gli storici rispondono al nome di Slawomir Cenckiewicz e Piotr Gontarczyk e stanno per dare alle stampe un libro storico per conto dell’Istituto nazionale della memoria (Ipn), un centro che lavora sulla ricostruzione della memoria storica in un paese travagliato che deve ancora fare i conti con se stesso e con i suoi ingombranti vicini. I documenti sono atti provenienti direttamente dagli archivi dell’SB, il servizio di sicurezza interno che negli anni del regime controllava ogni sospiro della vita degli altri. La strumentalizzazione è nello scontro politico e giornalistico fra fazioni diverse che è divampato sulle anticipazioni del libro che i due storici hanno fornito alla stampa. Il codice segreto è “Bolek” TW 14713, dove TW sta per l’abbreviazione polacca di collaboratore segreto e la cifra è un semplice numero progressivo. Il nome che si celerebbe dietro al codice è nientemeno che quello di Lech Walesa, leader storico di Solidarnosc e icona assoluta della lotta sindacale anti-comunista, premio Nobel per la pace del 1983, leader politico di primissimo piano nella fase di transizione al post-comunismo e, tanto per concludere, presidente della Repubblica polacca dal 1990 al 1995.

La tesi del libro non è invece troppo nascosta. Già il titolo parla chiaro: “Walesa e la SB”. Il succo è semplice: il leader di Solidarnosc sarebbe stato registrato nel 1971 come collaboratore dei servizi segreti polacchi appunto sotto il nome in codice di Bolek e come tale sarebbe stato in servizio per tutti gli anni Settanta. Non esiste tuttavia alcun impegno scritto da parte di Walesa, anche perché non era prassi dei servizi quella di far firmare impegnative o contratti ai suoi collaboratori. Secondo gli autori, lo stesso Walesa avrebbe poi richiesto e in parte distrutto alcuni documenti compromettenti negli anni in cui era presidente della Repubblica abusando del suo ruolo. Tuttavia, lo scontro politico-pubblicistico verte poco o nulla sulla veridicità di questo scoop storico e molto sulle conseguenze che esso avrebbe avuto sulla storia della Polonia democratica.

Così due campi politici e giornalistici si contrappongono, assumendo a priori come vera o falsa la tesi dei due storici. I colpevolisti si raccolgono attorno ai due gemelli Kaczynski (il capo dello Stato Lech e l’ex premier Jaroslaw), ai partiti nazionalisti e populisti oggi all’opposizione, alla stampa d’area, da Rzeczpospolita a Wprost (il settimanale che pubblicò la caricatura hitleriana di Angela Merkel). Gli innocentisti annoverano l’attuale premier liberale Donald Tusk, il resto dello spettro politico dalla destra moderata alla sinistra socialdemocratica, il quotidiano Gazeta Wyborcza e, ultima aggregata, la responsabile dell’Istituto della memoria, Maria Dmochowska, che ha preso le distanze dal libro.

I Kaczynski ritengono che in Polonia i quadri del vecchio regime si siano riciclati durante la fase di transizione nei settori cardine del nuovo Stato, dall’economia ai media, dalla burocrazia alla magistratura, arricchendosi nell’ambigua fase delle privatizzazioni del settore pubblico. Ora accusano Walesa di essere stato il garante di questo riciclaggio politico e puntano il dito sul compromesso storico della famosa tavola rotonda che nella primavera del 1989 aprì in maniera indolore le porte al cambio di regime a Varsavia. Donald Tusk e i leader del vasto campo avverso, tra cui molti esponenti della Solidarnosc degli anni Ottanta, rigettano questa tesi considerando una strumentalizzazione politica l’idea che la lunga stagione sindacale che minò la solidità del comunismo polacco fosse stata orchestrata a tavolino dagli uomini del Kgb.

In mezzo a questa bufera c’è lui, Lech Walesa, l’icona della ribellione per due generazioni di europei. Almeno fino alla lettura completa del libro, sarà difficile giudicare la veridicità delle nuove rivelazioni. Una valutazione attenta dei suoi comportamenti nel decennio incriminato escluderebbe cedimenti al regime. L’ex leader di Solidarnosc, d’altronde, già in passato aveva ammesso di essere stato avvicinato da agenti dell’SB negli anni Settanta. Fosse vera la storia dell’agente Bolek, sarebbe più probabile che Walesa abbia semplicemente perduto oggi l’occasione per fare piazza pulita di un peccato di gioventù, evitando di essere inseguito per sempre dai pozzi senza fondo del passato.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 28 giugno 2008)

Dresda, quel ponte non s'ha da fare

La storia è indicativa di un dibattito sul quale si accapigliano storici, urbanisti e architetti da qualche tempo. Dresda rischia di perdere il titolo di città patrimonio dell’umanità a causa di un nuovo ponte che le amministrazioni locali hanno intenzione di costruire per unire ancor più velocemente le due sponde dell’Elba. L’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite con sede a Parigi che tutela educazione, scienza e cultura e che assegna questi titoli, ha da un anno avvertito la città che se il ponte verrà costruito il titolo verrà depennato dalla lista [... continua su Ideazione].

ps. è l'ultima puntata della rubrica Alexanderplatz, prima della pausa estiva della rivista Ideazione che la ospita. L'appuntamento è per settembre, alla ripresa. Ovviamente, su Walking Class continueremo a parlarvi di Berlino e di Europa centro-orientale anche nelle prossime settimane estive.

martedì, luglio 08, 2008

Il Sessantotto degli altri / 1

Ideazione ripubblica online in tre puntate un mio lungo articolo di ricostruzione del Sessantotto nell'Europa dell'Est pubblicato a gennaio sulla rivista Carta minuta (che ringrazio per la concessione). E' l'occasione per conservarlo su Internet e per offrirlo alla lettura di un pubblico ancora più vasto. Ecco la prima puntata.

Il monumento al Sessantotto degli altri si trova nella parte alta della piazza, sotto la statua del pacifista duca di Boemia vissuto nel decimo secolo. Il suo nome è San Venceslao: lo sguardo fiero e sereno, fissato per l’eternità nel bronzo, in sella a un cavallo con una folta criniera. Lì dal piedistallo, osserva la fila di curiosi che si avvicina in silenzio per deporre un fiore sulla lapide collocata ai suoi piedi. La piazza è vasta e rettangolare, il piano è obliquo. D’inverno il vento gelido dei monti s’infila nel lungo corridoio verticale. Per giungere ai piedi della statua bisogna camminare in leggera salita con passo costante, guai a fermarsi per voltarsi indietro, altrimenti la gamba si fa pesante e sopraggiunge il fiatone. Tutto d’un fiato bisogna andare. Piazza Venceslao è uno dei luoghi simbolici dell’Europa centrale [... continua su Ideazione].

L'amico George

Non c'è che dire, una bella biografia (ma al ministro [?] Rotondi piacerà).

domenica, luglio 06, 2008

Good Alitalia, Bad Alitalia

Le strategie ultime per salvare la compagnia di bandiera nelle indiscrezioni di Dario Di Vico (mica uno qualsiasi). Aggiungiamo anche questo e alla fine vedremo cosa uscirà.

Crisi petrolifera e tentazione nucleare

Emergenza energetica, petrolio alle stelle, carovita, inflazione. La Banca centrale europea alza i tassi dello 0,25 per cento che toccano il 4,25 per cento, il punto più alto da sei anni. Le questioni si intrecciano fra notizie, commenti, analisi e soprattutto dossier sulla questione energetica che è sempre più al centro degli incontri internazionali. Di questo si era parlato nel recente vertice Ue-Russia in Siberia, e sulla definizione di una politica energetica comune europea si misura (tra le altre cose) il semestre di presidenza francese [... continua su Ideazione].

Geköpft

Con qualche decennio di ritardo, l'attentato contro Adolf Hitler è riuscito. Anche se si tratta di una statua, e così è più facile.

venerdì, luglio 04, 2008

L'ARD sbaglia anche la bandiera americana


Lo hanno rifatto. La questione delle bandiere sbagliate sugli schermi del primo telegiornale tedesco (ARD) comincia a diventare imbarazzante. Del primo incidente vi abbiamo raccontato qui. Questa volta non è toccato alla bandiera tedesca ma a quella americana. L'errore balza agli occhi dei più attenti: c'è una striscia bianca alla fine, e invece la "stars and stripes" più famosa del mondo ha al bordo inferiore una striscia rossa. Anche il numero delle strisce è sbagliato. E c'è la recidiva. E poi l'occasione era di quelle celebrative, cioè l'inaugurazione della nuova ambasciata americana a Berlino. Le soluzioni sono due: quella morbida di un corso accelerato di bandiere nella redazione dell'ARD; quella più dura di un qualche provvedimento. Avesse i necrologi, l'ARD saprebbe dove spedire il suo grafico.

Gli americani tornano alla Porta di Brandeburgo

Era l’ultimo angolo libero della piazza. Rimasto vuoto sino a pochi mesi fa, ora è completato. Berlino mette un nuovo tassello alla sua ricostruzione. Ed è un tassello storico. La piazza è la Pariser Platz, dominata dalla Porta di Brandeburgo, il simbolo della città. E l’angolo è il palazzo della nuova ambasciata degli Stati Uniti che torna nel luogo occupato per due anni prima della seconda guerra mondiale: allora c’era il Palais Blücher. Il ritorno è qui, nel cuore della Berlino riunificata, come già da qualche anno hanno fatto i diplomatici francesi. A due passi, in una via laterale, hanno ripreso il loro posto anche gli inglesi. Solo i russi non hanno avuto bisogno di tornare. C’erano sempre stati, poco più giù, sulla Unter den Linden: hanno solo dovuto cambiare targhe e bandiere, dalla falce e martello al tricolore bianco-rosso-blu della nuova Russia.

Dopo la guerra, la Pariser Platz era rimasta rinchiusa nel settore orientale di Berlino. Era una sorta di spiazzale aperto ai venti, i palazzi che ne facevano cornice erano stati distrutti dai bombardamenti e solo la Porta di Brandeburgo, sudicia e scrostata, ne ricordava gli antichi splendori. Lì, alle spalle del monumento, c’èra il Muro: da centro della città, era diventata una piazza di confine, come la Potsdamer Platz raccontata da Wim Wenders. Nulla era stato ricostruito, per motivi di sicurezza. E forse è stato meglio così, vista la qualità dell’architettura socialista.
Ora che tornano gli americani, il lavoro è finito e la festa può cominciare. La data dell’inaugurazione è quanto di più simbolico possa esserci nella storia statunitense: il 4 luglio, giorno dell’indipendenza. Tra oggi e domani, due giorni all’insegna di spettacoli, concerti, eventi culturali e, come in tutte le feste di strada, palloncini, panini e birra e magari per una volta hot dog al posto del currywurst, lungo il vialone 17 giugno, che ricorda la rivolta operaia di Berlino Est contro il regime comunista nel 1953.

Berlino è un po’ così. Dove ti giri spuntano luoghi e strade che rimandano alla carne viva della storia degli ultimi due secoli. E l’ambasciata americana si infila fra la Porta simbolo della città e il nuovo memoriale dell’olocausto, la piazza di 20mila metri quadrati occupata dai piloni scuri di granito dell’architetto Peter Eisenman, inaugurata nel 2005 a memoria delle stragi naziste degli ebrei. In una città proiettata al futuro, batte un cuore moderno che cerca di ritessere la propria memoria storica.

Ma l’apertura della nuova ambasciata americana è l’occasione per guardare soprattutto avanti. C’è l’interesse economico di una città che s’è scoperta una vocazione turistica e punta sul mercato americano per consolidare i buoni risultati registrati dopo lo spot dei mondiali di calcio due anni fa. Nonostante il dollaro debole, i giovani statunitensi stanno riscoprendo Berlino e la sua storia recente così legata a quella americana: questo nuovo punto di incontro farà il resto. Tuttavia sono gli interessi politici a prevalere.

Berlino sta vivendo il suo “anno americano”, grazie ad una serie di anniversari che ne rimarcano il forte legame storico nella costruzione e nel consolidamento di una Germania democratica. Il sessantesimo anniversario del ponte aereo (ricordato ai lettori del Secolo due settimane fa) ha di qualche giorno anticipato quelli di due storiche visite di presidenti Usa in città. La prima fu la visita di John Fitzgerald Kennedy nel 1963, a due anni dalla costruzione del Muro, che sollevò il morale degli abitanti depresso dalla nuova cortina di cemento interna che aveva spezzato famiglie, passioni, amicizie, affari. Di fronte a una folla immensa assiepata davanti al comune di Berlino Ovest, Kennedy pronunciò la famosa frase “Ich bin ein Berliner, io sono un berlinese”, che esaltò i due milioni di berlinesi dell’ovest nonostante un divertente errore grammaticale (in tedesco si dice “ich bin Berliner” omettendo l’articolo, altrimenti ci si riferisce al Berliner, una sorta di krapfen alla marmellata: e oggi è possibile rintracciare nei negozi di souvenir la spilla con l’immagine di un krapfen e la famosa frase di Kennedy).

La seconda visita, più importante per gli esiti che contribuì a determinare, fu quella di Ronald Reagan nel 1987, quando il presidente contestatissimo dagli autonomi di sinistra che misero a ferro e fuoco il quartiere alternativo di Kreuzberg chiese, proprio di fronte alla Porta di Brandeburgo, a “Mister Gorbaciov” di venire lì e tirar giù quel Muro. Due anni dopo, la profezia si sarebbe avverata, aprendo per l’Europa e per il mondo tutta un’altra storia. Due giorni fa il figlio adottivo di Ronald Reagan, Michael, polemista conservatore radiofonico di successo in patria, in visita a Berlino ha lanciato la proposta di ricordare il discorso paterno con un monumento.

Se ne parlerà. Intanto cresce l’attesa per la visita nei prossimi mesi dei due pretendenti alla Casa Bianca, Barack Obama e John McCain, che prima di tuffarsi nella campagna elettorale in patria, toccheranno Berlino (oltre Parigi e Londra) nel loro viaggio europeo.
Insomma gli ingredienti ci sono tutti per rimettere sui binari giusti una relazione che negli ultimi anni aveva subito colpi duri. La Germania non ha mai digerito la guerra in Iraq, apertamente nel caso di Gerhard Schröder e del suo governo rosso-verde, con toni più sfumati da quando alla cancelleria è salita Angela Merkel. Non l’ha mai digerita soprattutto l’opinione pubblica, che ha virato pericolosamente verso forme di vero e proprio anti-americanismo. Ma la Germania ha bisogno di Washington, anche per bilanciare gli ottimi rapporti che si vanno instaurando con Mosca. La speranza che nutrono la Merkel e il suo ministro degli Esteri Steinmeier è che, chiusa con qualche ferita la stagione delle incomprensioni, i rapporti transatlantici possano ripartire per costruire un nuovo ordine multipolare. E stavolta quel che è buono per Berlino, potrebbe essere buono per l’Europa intera.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 4 luglio 2008)

giovedì, luglio 03, 2008

Il dittatore di cera fa sempre paura

Apre a Berlino il Madame-Tussauds-Schau, il museo delle cere sulla Unter den Linden. Dentro siedono quasi fianco a fianco Adolf Hitler e Karl Marx. Grandi polemiche qui in Germania per la presenza di Hitler. La curatrice controbatte ribadendo di aver voluto rappresentare per intero la storia tedesca e che il dittatore nazista è stato modellato sulle espressioni disperate di quando era nel bunker: nessun rischio di esaltazione, è l'immagine di un uomo sconfitto. Tuttavia le misure di sicurezza (per una statua di cera) sono particolari: nessuno potrà toccare la statua e neppure fotografarla. Accontentatevi di Marx.

Lasciatemi cantare

Ukranian Tour, 2007

Corriere della Bild

Oggi dalla Germania il Corriere della Sera offre questo. Per arrivare all'originale, al secondo quotidiano italiano mancano però ancora circa tre milioni di copie di vendita al giorno. Ma se ha ragione Rotondi, basta che a via Solferino insistano un po'.

Trentaquattro perché no?

I gradi di temperatura raggiunti oggi a Berlino. Domani si va sulle montagne russe: secondo le previsioni andiamo giù in picchiata fino a 22. Meno dodici!

Magari ci scappa pure qualche rutto

Il ministro Rotondi immagino non sarà stato scelto col criterio che parrebbe dominare nelle intercettazioni telefoniche. Sfugge tuttavia un altro criterio. Perché uno che spara sta roba qua andrebbe diritto portato alla neuro:

"Rotondi, assicura che «l'Italia parla al telefono come Berlusconi e non come Eugenio Scalfari: gli italiani scherzano, alludono, dicono pure una porcheria ogni tanto, e gli piace così». «La cultura azionista del giornalismo italiano - aggiunge - impedisce la comprensione storica della Dc prima e del berlusconismo poi. Ora credono di illuminare con le intercettazioni le miserie di Berlusconi e, invece, per la gente saranno grandezze»" (fonte Corriere della Sera).

E dire che qualche settimana fa c'era chi si era scandalizzato se ci parodiavano così. E che errore/orrore la cosiddetta "blocca processi".

Evviva

Appello

Berlusconi, venda il Milan, lasci la politica e si compri la Lazio (noi sapremmo accontentarci di Kakà e Gattuso).

mercoledì, luglio 02, 2008

La Bundesliga eccola qua

Usciti i calendari. Si comincia a Ferragosto con la partitissima Bayern München-Hamburg. Sulla panchina bavarese siederà Klinsmann. L'Hertha Berlin (che si è anche qualificata per l'Uefa grazie al posto "politicamente corretto" assegnato alla squadra fair play e che disputerà il primo turno da qualche parte in Moldavia) va a Francoforte. La squadra che tutti attendono, il 1899 Tsg Hoffenheim, esordirà nella massima serie all'est, a Cottbus. Per noi "berlinesi" si prospetta un altro anno di sofferenze. E quando mai.

Pasquale e i suoi ai(u)tanti


Non ho ancora capito se il giovane ai(u)tante sarebbe metaforicamente Berlusconi o Di Pietro.

Sommermärchen (meteo)

Cronachette meteo. Oggi abbiamo toccato i trenta. Fine primavera e inizio estate finora buone, molto sole e, tranne un paio di punte (una è oggi), temperature assai gradevoli, fra i 22 e i 25. Di sera si scende sui 15. Sembra l'estate di due anni fa, quella dei mondiali tedeschi. Un Sommermärchen, almeno dal punto di vista meteorologico.

Il Re di Spagna

Quando ho visto il Re di Spagna, ormai anziano, farsi venire i lucciconi agli occhi nella notte di Vienna mi sono tornate in mente queste immagini qua.

Boomerang

La bufala alla diossina del caso Alitalia sta prontamente tornando al mittente. Altro che intercettazioni. (ps. mi ricordo, io mi ricordo).

Hauptstadt der Herzen

Se volete flirtare in Germania, pare non ci sia posto migliore di questo. Willkommen in Berlin!

Il Charles biologico

Vero è che le corrispondenze dall'estero dei giornali italiani ormai sono una comica. Gossip a tutta birra e chissenefrega dei fatti seri, tanto anche il livello del dibattito italiano scivola sempre più sotto i livelli di guardia. In Gran Bretagna stanno succedendo parecchie cose interessanti, ma possiamo leggerle sui giornali stranieri, tanto abbiamo imparato le lingue. Il Corsera invece ci delizia con una notiziola gustosa che avrà rubacchiato a qualche Daily Mirror o giù di lì (la fonte preferita in Germania è - con tutto il rispetto per le copie vendute - la Bild). L'eterno principe ha riconvertito la sua auto più preziosa - una Aston Martin di 38 anni - a vino e formaggio. Inquina di meno. E, secondo il primo (?) quotidiano italiano, risparmierebbe pure. Il che mi pare difficile. Pur utilizzando "combustibile" prodotto nelle sue vigne (English wine? Oh my God!), il costo di un litro di vino si aggira attorno ai due euro. Aggiungiamoci venti centesimi per la scorza di formaggio e credo che, nonostante il forsennato rincaro della benzina, ancora non ci siamo. Il maggiordomo assicura che dal tubo di scappamento non esce odore di gorgonzola ma di wodka. Prosit. Oltre al Corsera, la cosa ha affascinato la signora Arianna Stassinopoulos, icona liberal di The Huffington Post, che però non sembra aver convinto neppure i suoi commentatori. E pure a me pare che l'ecologismo meriterebbe qualcosa di più serio e capisco perché la mamma di Charles si ostini a non abdicare.

martedì, luglio 01, 2008

Sarkozy alla prova dell'Europa

Visto da Berlino, il semestre di presidenza europeo che Nicolas Sarkozy avvia oggi si presenta ambizioso e irrealizzabile. Tanto più irrealizzabile quanto più ambizioso. Il giudizio non viene, ovviamente, dalle sedi istituzionali ufficiali, dalla Cancelleria o dall’Auswärtiges Amt (il ministero degli Esteri), quanto dalla stampa e dagli opinionisti. Questi ultimi, non vincolati all’obbligo della diplomazia, possono esternare con più libertà i dubbi che la Germania nutre sul vasto programma sarkoziano [... continua su Ideazione].