sabato, luglio 12, 2008

Perché Obama vuol parlare a Berlino

Berlino. Come ormai da qualche anno Giro d’Italia e Tour de France inaugurano le loro corse a tappe in un paese straniero, in omaggio all’Europa unita, così la campagna presidenziale americana tra Barack Obama e John McCain avrà un suo iniziale fuori programma europeo. L’idea è venuta allo staff del candidato democratico: un viaggio in Europa, fra pochi giorni, a fine luglio, per raccogliere e trasmettere in patria il prevedibile entusiasmo che l’uomo nuovo della politica americana susciterà in tre capitali: Parigi, Londra e Berlino. E’ qui che l’Obama-tour farà tappa. I suoi hanno però un asso nella manica che dovrebbe colpire al cuore l’immaginario collettivo degli americani. Proprio a Berlino, il 24 luglio, i maghi della sua campagna elettorale stanno facendo di tutto per organizzare un suo intervento pubblico alla Porta di Brandeburgo, nella piazza simbolo della riunificazione dell’Europa che da qualche giorno ospita anche la nuova ambasciata americana.

La prospettiva sta facendo litigare i politici tedeschi. Il sindaco socialdemocratico è entusiasta e ha fatto sapere che la città è pronta ad ospitare l’evento. Un po’ meno contenti sono dalle parti della cancelleria, anche se la freddezza è in un primo momento trapelata solo attraverso prudenti canali diplomatici. Preoccupa il fatto che la Porta, per la prima volta nella sua storia, diventi lo scenario di una campagna elettorale. Finora non era mai avvenuto. Tuttavia, con il passare delle ore e con l’accavallarsi delle reciproche dichiarazioni, il confronto si va facendo più aspro e i toni più forti. Berlino è entrata in piena Obama-mania e il prossimo anno le elezioni ci saranno anche in Germania. Sia Angela Merkel che il suo più probabile avversario, il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, avranno tutto da guadagnare da una stretta di mano e una foto ricordo da mostrare agli elettori. Berlino val bene una messa. Non era questa la frase, ma i tempi cambiano.

Quanto simbolica sia questa piazza nella storia americana del dopoguerra è presto detto. Nel 1987, a soli due anni dalla caduta del Muro, Ronald Reagan pronunciò un discorso destinato ad assumere un valore profetico. Non era esattamente nella Pariser Platz ma alle sue spalle, in quello che allora era ancora il settore occidentale di Berlino. La Porta di Brandeburgo costituì lo sfondo di quel discorso, fatto in piena epoca di disgelo fra glasnost e perestrojka. Il presidente americano si rivolse direttamente al suo omologo sovietico chiedendo: “Mister Gorbaciov, venga qui e tiri giù questo Muro”, (tear down this wall).

Un altro precedente americano a Berlino è probabilmente ancora più vicino all’immaginario dei sostenitori di Obama: il famoso viaggio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963, due anni dopo la costruzione del Muro. In quell’occasione, i sovietici calarono tra le colonne della Porta di Brandeburgo dei drappi rossi per impedire resiprocamente ai propri cittadini e a Kennedy la visuale durante il passaggio e la sosta del corteo presidenziale. La famosa frase “Ich bin ein Berliner” venne infatti pronunciata dal presidente americano di fronte alla folla raccolta sotto il palazzo comunale di Schöneberg, un quartiere centrale di Berlino Ovest.

Nella Pariser Platz parlò invece Bill Clinton, nella sua visita del 1994, ma il momento non era più così drammatico e all’allora giovane presidente non restò altro che certificare “che ogni cosa è possibile perché oggi Berlino è una città libera”. Un bel discorso del quale però non son rimaste tracce particolari. Il valore politico dell’eventuale discorso di Obama è dunque evidente. A Parigi e a Londra, il candidato democratico toccherà luoghi cari alla memoria europea degli americani, ma è sotto la quadriga issata sulla sommità della Porta che Obama pronuncerà un discorso dal chiaro segno programmatico: il ritorno del rapporto di ferro fra Stati Uniti ed Europa dopo le divisioni suscitate dalla guerra in Iraq.

Rinsaldare il rapporto transatlantico, chiudere la stagione delle incomprensioni, tornare a lavorare insieme per affrontare le sfide del mondo multipolare. La retorica c’è tutta, il contenuto è però tutto da costruire. Il passaggio dalla competizione interna con Hillary Clinton a quella con l’avversario repubblicano John McCain ha già scosso alcune certezze del programma di Obama. E proprio sull’Iraq. La situazione sul campo migliorae il ritiro immediato delle truppe americane è scivolato indietro nell’agenda del candidato democratico. Obama troverà un’Europa comunque desiderosa di riprendere il filo della collaborazione (peraltro su altri fronti militari e politici mai interrotto) ma il mondo con le sue urgenze preme, e premono anche i nuovi scenari asiatici, dove l’America sembra intenzionata a giocare la sua partita del futuro. L’Europa e il rapporto transatlantico vivono come un pilastro di vecchi tempi, le strategie della Nato restano ancora vaghe: la retorica di un discorso può aprire una stagione nuova ma non è chiaro ancora per andare verso dove.

(pubblicato sul Secolo d'Italia dell'11 luglio 2008)