Varsavia. Pozzi senza fondo, insidiosi e pericolosi, dai quali possono uscire atti e documenti capaci di riscrivere la storia oppure patacche e falsi in grado di infangare icone che hanno combattuto in prima persona il comunismo. Questo sono gli archivi dei servizi di sicurezza dei regimi comunisti che per quarant’anni hanno spiato, seguito, corrotto e assoldato cittadini e agenti segreti, intellettuali e politici, oppositori e vicini di casa. Oscuri corridoi del terrore al tempo in cui il Muro di Berlino era ancora saldamente in piedi, oggi gioia e delizia di storici e ricercatori che rileggono quegli anni bui alla luce delle nuove fonti disponibili. L’ambizione è di trovare la verità, meglio se scomoda. Il rischio, di incappare in una trappola e venire strumentalizzati.
La polemica che agita in queste settimane la scena politica in Polonia ha a che fare con tutte queste cose: giovani storici, nuovi documenti, strumentalizzazioni politiche e un nome eccellente che si celerebbe dietro un codice segreto rubato ai migliori romanzieri del genere, a un Ian Fleming o a un John Le Carré. Gli storici rispondono al nome di Slawomir Cenckiewicz e Piotr Gontarczyk e stanno per dare alle stampe un libro storico per conto dell’Istituto nazionale della memoria (Ipn), un centro che lavora sulla ricostruzione della memoria storica in un paese travagliato che deve ancora fare i conti con se stesso e con i suoi ingombranti vicini. I documenti sono atti provenienti direttamente dagli archivi dell’SB, il servizio di sicurezza interno che negli anni del regime controllava ogni sospiro della vita degli altri. La strumentalizzazione è nello scontro politico e giornalistico fra fazioni diverse che è divampato sulle anticipazioni del libro che i due storici hanno fornito alla stampa. Il codice segreto è “Bolek” TW 14713, dove TW sta per l’abbreviazione polacca di collaboratore segreto e la cifra è un semplice numero progressivo. Il nome che si celerebbe dietro al codice è nientemeno che quello di Lech Walesa, leader storico di Solidarnosc e icona assoluta della lotta sindacale anti-comunista, premio Nobel per la pace del 1983, leader politico di primissimo piano nella fase di transizione al post-comunismo e, tanto per concludere, presidente della Repubblica polacca dal 1990 al 1995.
La tesi del libro non è invece troppo nascosta. Già il titolo parla chiaro: “Walesa e la SB”. Il succo è semplice: il leader di Solidarnosc sarebbe stato registrato nel 1971 come collaboratore dei servizi segreti polacchi appunto sotto il nome in codice di Bolek e come tale sarebbe stato in servizio per tutti gli anni Settanta. Non esiste tuttavia alcun impegno scritto da parte di Walesa, anche perché non era prassi dei servizi quella di far firmare impegnative o contratti ai suoi collaboratori. Secondo gli autori, lo stesso Walesa avrebbe poi richiesto e in parte distrutto alcuni documenti compromettenti negli anni in cui era presidente della Repubblica abusando del suo ruolo. Tuttavia, lo scontro politico-pubblicistico verte poco o nulla sulla veridicità di questo scoop storico e molto sulle conseguenze che esso avrebbe avuto sulla storia della Polonia democratica.
Così due campi politici e giornalistici si contrappongono, assumendo a priori come vera o falsa la tesi dei due storici. I colpevolisti si raccolgono attorno ai due gemelli Kaczynski (il capo dello Stato Lech e l’ex premier Jaroslaw), ai partiti nazionalisti e populisti oggi all’opposizione, alla stampa d’area, da Rzeczpospolita a Wprost (il settimanale che pubblicò la caricatura hitleriana di Angela Merkel). Gli innocentisti annoverano l’attuale premier liberale Donald Tusk, il resto dello spettro politico dalla destra moderata alla sinistra socialdemocratica, il quotidiano Gazeta Wyborcza e, ultima aggregata, la responsabile dell’Istituto della memoria, Maria Dmochowska, che ha preso le distanze dal libro.
I Kaczynski ritengono che in Polonia i quadri del vecchio regime si siano riciclati durante la fase di transizione nei settori cardine del nuovo Stato, dall’economia ai media, dalla burocrazia alla magistratura, arricchendosi nell’ambigua fase delle privatizzazioni del settore pubblico. Ora accusano Walesa di essere stato il garante di questo riciclaggio politico e puntano il dito sul compromesso storico della famosa tavola rotonda che nella primavera del 1989 aprì in maniera indolore le porte al cambio di regime a Varsavia. Donald Tusk e i leader del vasto campo avverso, tra cui molti esponenti della Solidarnosc degli anni Ottanta, rigettano questa tesi considerando una strumentalizzazione politica l’idea che la lunga stagione sindacale che minò la solidità del comunismo polacco fosse stata orchestrata a tavolino dagli uomini del Kgb.
In mezzo a questa bufera c’è lui, Lech Walesa, l’icona della ribellione per due generazioni di europei. Almeno fino alla lettura completa del libro, sarà difficile giudicare la veridicità delle nuove rivelazioni. Una valutazione attenta dei suoi comportamenti nel decennio incriminato escluderebbe cedimenti al regime. L’ex leader di Solidarnosc, d’altronde, già in passato aveva ammesso di essere stato avvicinato da agenti dell’SB negli anni Settanta. Fosse vera la storia dell’agente Bolek, sarebbe più probabile che Walesa abbia semplicemente perduto oggi l’occasione per fare piazza pulita di un peccato di gioventù, evitando di essere inseguito per sempre dai pozzi senza fondo del passato.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 28 giugno 2008)