lunedì, ottobre 25, 2004

Valige per l'Iran

"Sono i primi giorni di primavera del 2001 e preparo i bagagli con la fretta e la trepidazione di chi si accinge a un'avventura amorosa. Lascio a casa tutto quello che posso: voglio arrivare leggera nel corpo e nell'anima, avere spazi da poter riempire di nuovo. Faccio la valigia all'ultimo momento, come sempre, perché sono davvero poche le cose per me indispensabili, ma non dimentico di portare uno spolverino e un foulard per coprire la testa.
Li terrò a portata di mano per indossarli prima di salire a bordo dell'aereo Iran Air a Francoforte. Il resto andrà in una valigia molto grande che partirà quasi vuota e tornerà piena. Meglio portare anche qualche capo un po' elegante, penso mentre faccio i preparativi, dato che vado a vivere a casa di una famiglia dove potrò stare senza foulard e senza spolverino, e di certo sarò invitata in casa di persone per le quali le donne non debbono necessariamente indossare il velo islamico chiamato hejab.
Se visitassi il paese da semplice turista non mi occorrerebbero che un paio di pantaloni ampi e una camicetta leggera con i rispettivi ricambi. Nessuno, infatti, vedrebbe ciò che indosso sotto l'uniforme imposta dalla legge islamica e, con il caldo che fa in primavera, la cosa migliore è vestirsi più leggere possibili sotto l'hejab. Il mio viaggio, però, non sarà una semplice escursione turistica, bensì un'esperienza più profonda. Sono emozionata e nervosa: intuisco che un cambiamento di vita così radicale sarà per me come una cura dello spirito, un modo per allentare la tensione prodotta dalla fatica di abitare in una grande città europea. Penso che a Isfahan farò mio il proverbio asiatico secondo cui la fretta è un'invenzione del diavolo".
Ana M. Briongos, La caverna di Alì Babà, 2002