Estratto dall'editoriale pubblicato su Ideazione di questo bimestre. Inutile ripetersi. Tanto più che per il sottoscritto (caso raro nel nostro paese) la politica estera rappresenta la prima motivazione di voto.
"Da quando la politica italiana ha imboccato la via del bipolarismo, i confronti elettorali sono divenuti uno scontro all’arma bianca, nel quale i leader politici rappresentano le proprie ragioni e confutano quelle dei loro avversari in confronti aperti e diretti. Non abbiamo nostalgia per i dibattiti soporiferi della prima repubblica, per le tribune politiche autoreferenziali nelle quali i segretari di partito, in burocratico linguaggio politichese, sfilavano uno dopo l’altro, senza contraddittorio reciproco, parlando più agli addetti ai lavori che ai cittadini.
Resistiamo anche alla nostalgia dei comizi di piazza, che rappresentavano il banco di prova per ogni esponente politico che volesse misurarsi con il proprio elettorato o con la più vasta opinione pubblica. Ogni tempo va vissuto per quello che offre e la tentazione di voltarsi indietro per rifugiarsi in un idilliaco passato della buona politica va respinto con forza. E neppure ci pare che la veemenza degli interventi stia oscurando la sostanza delle argomentazioni: man mano che il confronto va avanti, il governo precisa meglio i contenuti della propria azione quinquennale, l’opposizione prosegue nelle sue critiche, ognuno dice quello che pensa e illustra i modi e i metodi con i quali intende guidare il paese nel modo che più ritiene opportuno. Quello che a un certo punto ha irritato la sinistra, semmai, è che nella campagna elettorale è entrata finalmente anche la maggioranza e soprattutto vi è entrato il suo leader con la sua capacità di scompaginare i giochi e riaprire scenari imprevisti. Accadde già nel 1994, un anno dopo la conquista delle amministrazioni cittadine da parte della gioiosa macchina da guerra. Potrebbe accadere di nuovo, dodici anni dopo, dal momento che la politica non ha ancora prodotto alternative o novità convincenti.
Lo scenario post-elettorale può essere dunque assai diverso da quello immaginato solo un anno fa, all’indomani del successo amministrativo del centrosinistra. E si fa strada l’impressione che il risultato del 9 aprile difficilmente determinerà una stabilità tanto forte da compattare aggregazioni così eterogenee come quelle che si confrontano in questa campagna elettorale. In mancanza di una vittoria netta di una delle due coalizioni, la seconda repubblica rischia di approfondire la crisi di transizione del nostro paese, aprendo la strada ad un rimescolamento dei partiti e delle appartenenze, sfruttando magari le forze centripete che la nuova legge elettorale ha innescato. La prospettiva di una “vittoria mutilata” per uno dei due campi può aprire una stagione di incertezza le cui avvisaglie già si scorgono nel riposizionamento che tutti i partiti stanno operando lungo l’asse della geografia politica nazionale.
A noi pare invece opportuno difendere quanto di buono è stato prodotto in questi dodici anni di transizione politica e istituzionale. Per questo il contributo che vogliamo offrire alla campagna elettorale del centrodestra sta nell’opportunità di definire con chiarezza principi e valori che devono informare l’agenda politica dei prossimi anni. Tanto più che la Casa delle Libertà è stata la coalizione che ha saputo meglio affrontare le gravi sfide del nuovo secolo. Il governo guidato da Silvio Berlusconi ha orientato con efficacia la risposta del nostro paese all’attacco all’Occidente lanciato dal fondamentalismo e dal terrorismo islamico. Grazie a scelte coraggiose e impopolari, esso ha impedito che l’Italia s’aggregasse alla coalizione degli inconcludenti (racchiusa nel triangolo Bruxelles, Parigi, Berlino e guidata da Prodi, Chirac e Schröder) che ha rifiutato di prendere atto della drammaticità degli eventi assecondando la tendenza alla depoliticizzazione dell’Europa (quindi alla sua marginalizzazione storica e politica).
L’Italia, invece, ha sostenuto apertamente lo sforzo militare e diplomatico di Stati Uniti e Gran Bretagna contribuendo con le proprie forze armate e civili a riportare faticosamente democrazia e libertà in Afghanistan e Iraq. Così mentre a sinistra i leader devono censurare uomini politici che ancor oggi giustificano chi colpì a morte i soldati italiani a Nassiriya, la destra può ascrivere al suo senso dello Stato il ritorno di un sentimento pulito di orgoglio nazionale, di senso del dovere, di passione civile".