giovedì, marzo 16, 2006

La sconfitta del giorno dopo

In questo bell'articolo, Maurizio Molinari spiega perché Silvio Berlusconi ha perso il dibattito televisivo con Romano Prodi. Molinari è il miglior corrispondente italiano dagli Stati Uniti. Ha fiuto come pochi e una capacità di analisi che, se il Corriere non fosse quella roba che è, se lo sarebbe dovuto accaparrare di corsa al posto di quell'incompetente fazioso di Caretto. Quelle due qualità hanno spinto Molinari a seguire il dibattito televisivo Berlusconi-Prodi accanto ad Alan Abramowitz, politologo e uno dei maggiori storici dei dibattiti presidenziali americani.

Il politologo s'è stupito per il modo in cui Berlusconi ha voluto concludere il suo dibattito: quel messaggio finale nel quale il premier ha mostrato insoddisfazione pubblica per l'andamento del confronto: è stato un autogol. "La sorpresa di Abramowitz - scrive Molinari - si spiega con l'importanza che nelle campagne presidenziali americane ha lo spin, ovvero l'impegno che i team dei due partiti mettono nello spingere i media e l'opinione pubblica a dare subito un giudizio positivo su come è andato il proprio candidato durante il duello". Chiunque sa, conclude il politologo, "che lo spin può essere anche più importante del dibattito stesso", perché da un lato consente di correggere eventuali errori commessi, dall'altro riafferma i messaggi base per l'opinione pubblica, che solo nei giorni successivi consolida la propria impressione.

E' stato dunque nel momento del messaggio finale, quando Berlusconi avrebbe dovuto tirar fuori la sua nuova idea di Italia, il suo sogno da condividere con tutti gli elettori, che è partito il sottile veleno della sconfitta. "Me ne spiaccio". Questa frase che piace tanto a Giuliano Ferrara perché mostrerebbe un Berlusconi per la prima volta sincero, è stata invece la scintilla per uno spin negativo, innescato dal suo stesso attore, per di più a dibattito ancora in corso. Secondo Abramowitz, anche la teoria dell'underdog, cioè la tentazione di un candidato di presentarsi in sofferenza per suscitare empatia con il corpo elettorale, non funziona in caso di un candidato presidente in carica.

Quello che è poi avvenuto nel centrodestra il giorno dopo ha rafforzato questa tendenza. E mentre il fronte opposto ha esaltato in tutti gli aspetti la performance di Romano Prodi (favorito anche dalle minori aspettative che si nutrivano nei suoi confronti), la Casa delle Libertà si è prodotta in un circolo vizioso autolesionista. La concorrenza proporzionale (non si era detto su questo blog che Berlusconi si sarebbe impiccato con la sua stessa legge?) ha portato i due leader alleati a smarcarsi dal premier in difficoltà (peraltro da lui stessa certificata) invece di compattarne l'immagine e l'efficacia. Un disastro. Il pareggio della partita s'è trasformato in una sonora sconfitta negli spogliatoi.

Eppure il centrodestra sostiene di essere più americano degli altri, di ammirare il modello democratico statunitense, di essere più bravo e più telegenico, di utilizzare i sistemi di marketing elettorale più moderni. E' ancora vero? Davvero nessuno, dico nessuno, nell'entourage del presidente, conosceva i meccanismi di un dibattito elettorale all'americana? Perché nessuno è andato in tv, subito dopo, ad avviare lo spin positivo? Perché Forza Italia, invece di preoccuparsi di dividere cencellianamente presenze televisive ai propri candidati ormai sicuri dell'elezione, non ha mandato i suoi uomini migliori nelle trasmissioni del dopo dibattito? Perché il centrodestra è stato rappresentato da Pietrangelo Buttafuoco e Marcello Veneziani? Perché non era stata preparata una strategia con i leader alleati? E perché i leader alleati non si sono morsi la lingua? Davvero sottovalutano la capacità di Berlusconi di bloccare l'evoluzione di un centrodestra post-berlusconiano che sia anche anti-berlusconiano? Perché, insomma, non si è fatto come si fa in America, dove, sempre per usare le parole di Abramowitz, "i più importanti consiglieri dei candidati si precipitavano di fronte alle tv per imprimere subito uno spin favorevole alle immagini appena trasmesse"?

E infine: perché il Cavaliere non si è dotato di uno staff giovane, moderno, capace di cogliere i meccanismi nuovi del confronto politico e di ascoltare e comprendere le viscere di questo paese, che non sono più le stesse degli anni Novanta? Eppure, su come funzionano i dibattiti elettorali negli Usa, sullo spin e su quant'altro, abbiamo scritto fiumi di inchiostro sulle pagine (anche web) di Ideazione. A cosa è servito? A cosa è servito se in campagna elettorale non si è scelto di prendere nello staff un esperto di Stati Uniti come Andrea Mancia, che sul suo blog, ancora ieri, provava a spiegare i meccanismi che governano il fatidico giorno dopo?