Berlusconi ha conflitti d'interesse chiari ed evidenti. La stampa e l'opinione pubblica li conoscono e possono misurare quanto e come l'attività politica del Cavaliere interferisca con quella delle aziende che lui stesso ha creato e che oggi vengono gestite dai suoi familiari o dai suoi amici. Tutti se ne possono fare un'idea e votare di conseguenza. Meno noti sono i conflitti di interesse del centro-sinistra. La vicenda di Unipol (sssssshhhh, piano, che a D'Alema gli si imbizzarrisce il baffino) ha riportato alla luce l'intreccio finanziario tra cooperative, banche e Ds. Ma questi brani che seguono, estrapolati da un più lungo articolo del Foglio al quale rimandiamo, rendono evidenti alcuni dei conflitti d'interesse di Romano Prodi. Non è necessario avere aziende proprie e operare scelte politiche che le favoriscano per cadere in conflitto. Anche favorire quelle dei più stretti amici, specie se sponsor politici, è conflitto d'interesse. Soprattutto se le scelte determinano precise linee di politica estera, delineate non in funzione degli interessi nazionali ma di quelle di amici banchieri.
Ecco alcuni estratti dall'articolo del Foglio:
"Perché Romano Prodi, europeista supercorretto, ha rischiato di compromettere il suo bagaglio di rapporti internazionali con quell’uscita riguardo l’opportunità di reagire al difensivismo preventivo dei francesi che hanno annunciato l’aggregazione Suez-Gdf, con misure ritorsive (magari punitive dell’opa di Bnp-Paribas su Bnl)? La maggior parte degli osservatori ritiene che la questione non possa che essere collegata alla complicata vicenda del futuro dell’asse Mediobanca-Generali e all’attivismo su tale questione di Giovanni Bazoli, molto legato al leader dell’Unione con cui intrattiene un rapporto intellettuale e di potere perfettamente paritetico che risale alla comune militanza sotto il magistero dell’uomo che inventò entrambi, Beniamino Andreatta.
Chiusa la stagione di Antonio Fazio, il presidente di Banca Intesa è stato il primo tra i banchieri italiani a ragionare sulla necessità di organizzare una difesa rispetto alle mire estere. Egli teme fortemente l’ostilità di Crédit Agricole, primo azionista della sua banca. Il capo di Agricole, René Carron è un francese duro, con una formazione di destra, vicino a Chirac, espressione del mondo agricolo organizzato, e con una seconda natura finanziaria, una specie di transalpino Arcangelo Lobianco, ma più di mondo. Le preoccupazioni per le mosse di Carron si sommano a quelle concernenti la fragilità complessiva del cuore del sistema economico finanziario, l’asse Mediobanca-Generali. Anche lì c’è una minaccia straniera, anche lì francese. Oltre il 10 per cento di Mediobanca (che è il primo azionista di Generali con il 14 per cento) è controllato da azionisti francesi, Vincent Bollorè e Groupama con il 5 per cento a testa, Dassault con il 2 per cento circa. Queste sono le quote dichiarate, ma secondo indiscrezioni di stampa che riprendono voci finanziarie i francesi controllerebbero più del 20 per cento.
[...] Dunque, quando Romano Prodi interviene sulla vicenda Enel-Suez per dire che è arrivato il momento di pensare ritorsioni antifrancesi sull’opa di Bnp-Paribas, in verità ha in mente altri francesi, non quelli che a Roma stanno comprando Banca nazionale del lavoro, ma quelli che a Milano condizionano il disegno del professor Bazoli. Che questo fosse l’obiettivo di Prodi e che sulla difesa della strategia bazoliana fosse persino disposto a giocarsi un pizzico del suo europeismo è stato immediatamente chiaro ai Ds, molto sensibili sulle questioni bancarie soprattutto dopo la sconfitta subita su Unipol-Bnl. Aveva già intuito tutto qualche giorno fa l'ottimo Paolo della Sala.