Molta celebrazione e poca politica nel congresso del Ppe che sta festeggiando a Roma i trent'anni della sua fondazione. D'altronde l'Europa viaggia a fari spenti in questi mesi dopo che il quinquennio prodiano ha lasciato il Vecchio Continente privo di strategie capaci di capire, prima ancora che affrontare, le sfide politiche del nuovo millennio. E così, anche dalle parti dei popolari, si gioca un po' a melina, ci si loda per le cose del passato e si sbircia con preoccupazione e paura la via del futuro.
Eppure qualcosa si muove. E' certamente in atto un rimescolamento generazionale della leadership dopo i cambiamenti intervenuti tra la metà degli anni Novanta e l'inizio del Duemila, con l'ingresso di molti partiti nuovi, dell'Ovest e poi dell'Est, e con la trasformazione da partito di origine cristiano-democratica a grande partito conservatore, liberale in economia e attento ai valori cristiani e alla loro proiezione sulla società europea. Se gli anni scorsi sono stati dominati, da un lato dalla tradizionale burocrazia bruxellese, espressa soprattutto dal gruppo parlamentare europeo, e condensata nel binomio "continentale" Martens-Poettering, e dall'altro dalle premiership "latine" di Aznar e Berlusconi, oggi emergono nuovi e più giovani leader.
Ieri ne abbiamo visti all'opera due, attorno ai quali si muoveranno i destini del centro-destra europeo. La prima è Angela Merkel, neo-cancelliera tedesca, alla guida del governo di Grosse Koalition con i socialdemocratici. La prima volta che l'avevamo ascoltata era cinque anni fa, nel gennaio 2001 in un altro congresso del Ppe, a Berlino. E ci era apparsa scialba, impacciata, banale. Ieri tutt'altra pasta. Ha acquisito vigore e autorevolezza. Una forza tutta femminile, a un tempo ferma e rassicurante. Un discorso abile e coerente, logico nel suo dispiegarsi, deciso nei toni, chiaro nei contenuti. La difficoltà oggettiva di un governo di coalizione che deve mediare con i socialisti il rimodellamento del sistema economico e sociale tedesco è il suo banco di prova. Può uscirne ridimensionata se fallirà. Ma se condurrà in porto questa difficile fase politica, avrà tutte le carte in regola per proporsi ai tedeschi come leader concreta per gestire in prima persona un'ulteriore e più profonda fase di rinnovamento.
Il secondo è Nicolas Sarkozy. Lui non lo avevamo mai visto di persona. Sarà forse per questo che ci ha colpito ancora di più. Un politico di razza, capace di dire in pochi minuti e con inusitata energia quello che avremmo voluto sentire da tutti gli altri leader. Che l'Europa difetta di leadership politica. Che ha smarrito progetti e direzione. Che sta perdendo entusiasmo e fiducia. Un messaggio pieno di verità ed energia, venuto da un uomo che nel suo paese è ancora una specie di mosca bianca. Sarkozy ha preso di petto tutte le questioni irrisolte del continente e le ha appese al chiodo giusto: per un'Europa politica serve, semplicemente, più politica. Serve una chiara definizione dei confini. Serve una chiara definizione dei valori comuni. Serve una chiara strategia comune per l'immigrazione. Servono riforme per rilanciare l'economia. E non riforme qualsiasi: riforme liberali, assai più incisive di quelle che in questi giorni sollevano la pigra contestazione degli studenti francesi.
Sarkozy si misurerà il prossimo anno nelle elezioni presidenziali francesi. Sarà un importante banco di prova per le sue ambizioni. Ma è giovane e ha le idee chiare. La Francia può contare su di lui e, se riuscirà, ci potrà contare tutta l'Europa. Per i popolari europei, comunque, tra riconferme scontate (ancora Martens!) e festeggiamenti infiniti, la buona notizia di aver trovato due leader per l'oggi e per il domani. Buffo che quell'asse franco-tedesco che sotto la guida di Chirac e Schröder (e la complicità di Prodi) ha cloroformizzato l'Europa di oggi, si ripresenti sotto nuova luce e con nuove speranze con il binomio Merkel-Sarkozy.