"In questi giorni ho dovuto fare un viaggio di quattro giorni in Spagna per ragioni di lavoro giornalistico. Ciò che più mi ha colpito è stata l’esperienza fatta in un università, quella di Navarra, che ha sede a Pamplona, dove mi avevano invitato a parlare della stampa italiana di fronte alla crisi che travaglia il nostro paese. Ho trovato un centro di studi come non ricordavo di averne più visti almeno da una trentina d’anni a questa parte, e come non immaginavo che ce ne fossero ancora.
Cioè, mi correggo. Ce ne sono, e ne conosco anch’io, ma si tratta di scuole di vecchia data e di lunga tradizione, che grazie appunto ai loro secoli di storia hanno potuto resistere al generale andazzo tirandosi fuori dal tempo. L’università di Navarra non è di queste. Nacque meno di venticinque anni fa, nel ’52, in una città che di tradizione accademica non ne aveva, e non per opera dello Stato, ma su iniziativa privata di una società che non è un ordine religioso in quanto è formata soprattutto da laici, ma si comporta come se lo fosse nel senso più alto e nobile della parola: l’Opus Dei.
Essa ha una filiale anche in Italia, ma la sua roccaforte è la Spagna perché spagnolo era il suo fondatore, padre Escrivá, un semplice sacerdote, che non ha mai voluto essere altro che un sacerdote. Non so se padre Escrivá fosse un santo, come credono (anche se non lo dicono) i suoi seguaci. Ma è certo che qui un miracolo lo ha compiuto. Tale non può non essere considerata un’Università di settemila studenti, dove non c’è mai stata una contestazione, dove non si vede una buccia d’arancia per terra nemmeno a pagarla oro, dove non si sente una parola sguaiata, dove gli alunni affollano le biblioteche (ce ne sono varie, secondo le facoltà) e, per riposarsi dello studio, si raccolgono nella sala di concerto ad ascoltare Bach, non Modugno, e in quella di conferenze.
In questa io avrei dovuto parlare. Ma per ospitare tutti i volontari ascoltatori, si è dovuto ricorrere all’aula magna. E per la prima volta, in una sede universitaria, ho immediatamente trovato, pur parlando in una lingua straniera, un contatto immediato e diretto con dei giovani, che mi misuravano, ma non mi rifiutavano a priori e sui quali sentivo che tutte le mie parole andavano a bersaglio, nel senso che io e loro davamo ad esse lo stesso significato. Tanto è vero che della conferenza non si contentarono. Dopo, gli studenti della facoltà di giornalismo vollero un dibattito per uso loro. Dopo il dibattito, una colazione in cui si seguitò a dibattere. E dopo la colazione una “tertulia” come gli spagnoli chiamano le conversazioni più riposate e distese.
Quando risalii in macchina, le mie corde vocali erano ridotte a una crosta di ruggine, ma non me ne importò nulla. Avevo rivisto un’università degna di questo nome. Avevo ritrovato degli studenti che studiavano, che non chiedevano di meglio che di imparare, avevo finalmente conosciuto dei giovani forse fra loro divisi come opinioni politiche, ma uniti ( tutti) da questa incrollabile convinzione: che al mondo ci si viene non per passarvi soltanto, ma per farvi qualcosa. Piccola o grande non importa. Ma qualcosa. Non so se sarà santo, padre Escrivá. Ma il miracolo lo ha fatto".
Indro Montanelli, Un miracolo di Università, 1977