martedì, settembre 02, 2008

L'estate del Papa a Brindisi

Scrivo poco sulla mia città d'origine. Chi mi conosce può intuirne i motivi. Diciamo che un certo conflitto d'interessi mi impedisce di essere equilibrato e obiettivo come un giornalista deve essere. Su Brindisi e sul suo momento particolare che vive da oltre quattro anni sono di parte. Per questo motivo preferisco, sul blog e altrove, esprimermi con molta cautela, quasi in punta di piedi. Me ne dispiace, perché io adoro quella città e mi piacerebbe raccontarla di più, perché è bella e affascinante e spesso non sa di esserlo e bisogna pure che qualcuno - magari qualcuno che non la vive più quotidianamente ma ci ritorna di tanto in tanto - glielo dica. Io stesso mi accorgo di essere profondamente marcato dalla mia città natale, nonostante abbia vissuto a lungo lontano e oggi addirittura in un altro paese. Tutte le cose che mi appassionano, i miei interessi professionali e geografici, la curiosità verso altri mondi e altre genti, questa prepotente passione per l'Est, trova le sue radici laggiù, in quel porto mediterraneo che guarda ad Oriente. Tuttavia, più di tanto non è il caso di spingersi: come detto, sono di parte. Una eccezione per questi giorni di blog al rallentatore: l'articolo scritto lo scorso giugno in occasione della visita a Brindisi di Benedetto XVI, il Papa tedesco nella mia città, quesi una sintesi della mia vita attuale.

Cosa accade quando un Papa arriva nel Mezzogiorno d’Italia e per di più in una terra di confine? Di quali significati si colora la sua visita pastorale? Quali sentimenti albergano nel suo cuore e quali messaggi, diversi da quelli di altre visite, dovrà lanciare? Da ieri Benedetto XVI è a Brindisi, nella gobba sudorientale della nostra penisola, nel Levante italiano che guarda al suo e al nostro Oriente. C’è un porto bello come un fiordo ad accoglierlo, già famoso ai tempi dei romani, quando venne unito alla città eterna dalla via Appia che qui trova la sua conclusione dopo settecento chilometri di polvere, proprio davanti al porto, al Canale Pigonati, una strozzatura che divide le acque interne da quelle esterne. La via Appia finisce in una lunga, bianca scalinata che degrada sulla banchina sormontata dalla colonna superstite delle due esistenti. Più avanti l’acqua di quello che i portolani antichi e moderni considerano il porto più sicuro dell’Adriatico. L’acqua penetra nel cuore della città come fosse un fiordo pianeggiante, due sinuose lingue liquide che cingono il centro storico a destra e a manca: li chiamano seni (di ponente e di levante) quasi a richiamare il sicuro affetto materno per ogni nave in tempesta. La leggenda li immagina come due corna di cervo e a guardarlo dall’alto con il bacino delle acque esterne, il porto assomiglia a una faccia di cervo capovolta. Un animale da steppe nordiche che è diventato il simbolo di Brindisi, quasi un paradosso per una città mediterranea.

Il Papa è arrivato in elicottero, dopo una prima tappa ancora più a sud, a Santa Maria di Leuca. Ha ritrovato la pace di acque ferme e l’abbraccio dei cittadini che si sono assiepati sulle banchine. E’ salito sulla “papamobile” e ha cominciato a sciamare lungo la dogana e i terminali dei traghetti passeggeri, in parte destinati per l’occasione a efficienti uffici stampa. Poi è sbucato sul lungomare, che a Brindisi è dedicato alla Regina Margherita. I palazzi bianchi e gialli del lungomare sulla sinistra, poi la scalinata delle colonne romane e della via Appia, quindi altri palazzi fino al piazzale Lenio Flacco per il primo incontro con la città.

E a destra, sempre lì, il porto, l’acqua scura e tranquilla che non teme grecali o scirocchi, e sulle altre sponde dei due seni ora i vecchi capannoni commerciali e i silos industriali, ora il monumento al marinaio d’Italia, gigantesco timone di pietra che dagli anni Trenta ricorda i marinai caduti. Più in fondo, dove le navi s’incamminano per andare in Grecia o in Albania, l’antico castello alfonsino, riportato ad antico splendore dopo lunghi anni di restauro e oggi restituito alla scenografia d’acqua dalla nuova illuminazione appena inaugurata. Acqua e luce. E quel puntino bianco che scivola con la sua “papamobile” sull’antico mattonato in pietra scura che brilla di luce propria tra ali festanti di fedeli e curiosi.

Erano più di mille anni che un Papa non andava a Brindisi. Allora era tempo di crociate, di cristiani in armi che s’imbarcavano in questa eterna porta d’Oriente. Oggi non più, nonostante i profeti degli scontri di civiltà. Sono di nuovo tempi duri nei quali però la riscoperta di quel che si è deve essere carburante per il dialogo. E questo sembra essere uno dei significati di questa visita al Finisterrae, al limes orientale, dove scontro e incontro si sono succeduti e sovrapposti nei secoli. Pare che uno dei motivi che abbiano spinto Benedetto XVI a scegliere Brindisi sia stata l’epopea della città diciassette anni fa, quando il porto accolse nello spazio di un giorno decine di migliaia di albanesi in fuga dalle macerie del comunismo più ottuso del mondo. Un epopea rimasta nella memoria brindisina e raccontata nelle pagine di un libro fotografico che ha emozionato il Pontefice. Città di pace e di accoglienza, Brindisi, capace di reggere da sola l’impatto della slavina della storia: arrivarono in quarantamila sulle ormai famose carrette del mare, assiepati in ogni centimetro quadrato disponibile, aggrappati ad ogni pennone o balaustra di quelle bagnarole arruginite. Il porto li accolse, dopo ore di navigazione insicura. La città li sfamò, li ripulì, li ricoverò nelle scuole requisite, nei capannoni riadattati, nelle case delle famiglie fino a che l’emergenza finì. Come capita alle comunità disincantate dai rimpianti della storia, i brindisini riscoprirono nell’emergenza più drammatica una straordinaria capacità di coesione, di generosità, di efficienza.

A questa memoria, a questa capacità di accoglienza e di sacrificio, il Papa fa il suo omaggio. E’ un messaggio di speranza e di riscatto che racchiude uno dei filoni del pontificato di Joseph Ratzinger: l’amore caritatevole, la capacità di riscattare se stessi e la propria comunità nell’impeto di un aiuto, di un’assistenza, uno sforzo genuino che non è mai a perdere. E c’è l’incontro con il mondo ortodosso, che a Brindisi è presente con una compatta comunità greca fortemente mobilitata per l’evento e che partecipa agli appuntamenti religiosi aggiungendo un ulteriore tassello al dialogo da tempo intrapreso.

L’altro motivo della visita è proprio il porto. Oggi la messa solenne e l’Angelus domenicale verranno celebrati in un piazzale tutto nuovo, su una delle banchine che fronteggiano il centro cittadino restituite alla fruibilità dei cittadini. E’ una delle tappe della città d’acqua, la grande scommessa di Brindisi per ritrovare attorno al suo simbolo per troppo tempo dimenticato memoria, identità, senso di marcia, sviluppo, futuro. E’ la sfida di una città del Mezzogiorno che s’è messa in testa di chiudere le stagioni dell’assistenza e del rimpianto, ma anche della corruzione e della cattiva politica, per trovare in se stessa e nei suoi punti di forza le ragioni del proprio riscatto. Detta così sembra retorica. I fatti stanno nella nuova idea di città che ruota urbanisticamente attorno alla sua risorsa storica. Il porto è la cartina di tornasole di Brindisi. Quando la città se n’è fatta contaminare ha conosciuto il suo sviluppo, ai tempi dei romani come nell’Ottocento quando la Valigia delle Indie collegava Londra a Bombay transitando da queste banchine (memorabile il passaggio nel “Giro del mondo in ottanta giorni” di Julius Verne) o in quelli più recenti del primato del transito passeggeri verso la Grecia. Ma prima di tutto bisognava restituire il porto alla città, liberandolo dalle servitù militari o dalle pigrizie urbanistiche. Il waterfront come trasformazione: è accaduto in molte altre realtà europee, da Amburgo a Barcellona, da Helsinki a Genova e a Venezia. Oggi è la sfida di città più piccole come Ravenna e Brindisi.

C’è un Mezzogiorno che vive la sua primavera. Sull’idea di città d’acqua, Brindisi sta ritrovando ordine urbanistico e una dimensione culturale. Le prime facoltà universitarie, realtà non isolate ma legate ai vicini atenei di Lecce e Bari, il teatro Verdi riaperto dopo mezzo secolo di silenzio, il nuovo distretto culturale attorno ai palazzi restaurati della vecchia corte d’assise e di palazzo Nervegna, gioielli architettonici divenuti contenitori di eventi culturali. Su questo esempio di riscatto meridionale giunge lo sguardo del Papa europeo, con l’augurio che possa essere un esempio duraturo e non solo il frutto di una breve stagione.