Chissà perché, prima o poi, tutte le favole hanno una fine. E se non sono un film della Disney il lieto fine non è assicurato. Così finisce anche la favola di Knut e quella del suo papà adottivo, il veterinario dello Zoo di Berlino Thomas Dörflein, l'uomo dalla barba nera folta, tanto nera quanto bianca è la pelliccia di Knut. La favola è finita in un appartamento di Wilmersdorf, un quartiere verde e residenziale nella zona occidentale di Berlino. Dörflein è stato trovato lì, il corpo senza vita. Se n'è andato a quarantaquattro anni e con lui gran parte della nuvoletta magica che aveva accompagnato questa fiaba dei tempi moderni. La fiaba di Knut, l'orsetto senza madre che i fondamentalisti della natura volevano accoppare e che questo timido veterinario dal sorriso triste ha invece salvato, facendolo diventare - credo suo malgrado - simbolo di una città, mascotte dello zoo, oggetto di marketing, protagonista di film. Knut, prima di crescere e diventare un orso vero, si era già trasformato in una perfetta macchina da soldi. Ma la presenza accanto a lui del papà umano con la barba scura e il sorriso triste restituiva sempre un'alone di fiaba anche alla speculazione più spinta. Forse non c'è nessun mistero in questa morte, non un suicidio, non una vita sbarellata da un successo troppo improvviso e troppo grande. Certo, Dörflein aveva vissuto con un po' di imbarazzo il successo di sponda che lo aveva raggiunto. Ma la polizia conferma che non vi sono indizi di suicidio. Non amava i riflettori ma aveva sopportato con il suo sorriso malinconico (e qualche sudata davanti alle telecamere) la faticosa notorietà. Sembra che fosse da tempo malato. E forse era questa la ragione di quel sorriso a labbra in giù.
Sulla stampa berlinese: Tagesspiegel, Morgenpost, Taz, Berliner Zeitung, Bild.