O almeno quelle del governo arancione. La crisi è ufficiale, le responabilità generali (e non solo interne), la soluzione complessa e difficile. Si partirà con colloqui tra i partiti. E se ci si infilerà in un vicolo cieco, nuove elezioni. Ovviamente nessuno sa per cosa. La crisi ucraina si inserisce in quella faglia geopolitica sensibilissima che è diventata l'area delle ex repubbliche dell'Urss. E, fra le tante cose, segna il fallimento più smaccato per la strategia statunitense di "allargamento ad est". Le leadership delle rivoluzioni colorate erano marce al loro interno, come dimostra il caso di Saakashvili in Georgia e quello più articolato di Jushenko in Ucraina. A Kiev come a Tbilisi, tuttavia, le ambizioni occidentali non sono state un'invenzione americana ma sentimenti presenti in larga fascia della popolazione. In Ucraina, in particolare, è forte la differenza tra est ed ovest. Ma questa è un'ulteriore complicazione, perché se l'ovest sente fortissima l'attrazione verso occidente, l'est e il sud mostrano un legame fortissimo con la Russia, che è umano, linguistico, culturale. Una leadership responsabile e capace avrebbe dovuto provare a tenere assieme le due parti, con gradualità e competenza, senza strappi velleitari. Il nostro eroe della rivoluzione (nostro, perché non c'è dubbio che attorno al suo volto butterato dal veleno si siano spese anche le nostre iniziali speranze) non era, giusto per rendergli l'onore delle armi in modo gentile, la persona giusta. E forse, da questa parte dell'Europa, i cambiamenti eterodiretti hanno vita corta. Ora la battaglia riprende, c'è di mezzo il potere e quello piace tremendamente a tutti in un paese oligarchico. L'Ucraina ritorna al centro di un grande gioco euro-asiatico, ma in realtà non aveva mai cessato di rappresentarne il cuore. Ora che è accaduto l'irreparabile, se ne accorgeranno anche i distratti media italiani?
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In foto: l'ingresso di un non allettante Casinò ucraino (fotowalkingclass).