Non sono ancora passati vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino. Eppure sembra un secolo. Almeno a sentire le risposte che un folto gruppo di studenti delle scuole superiori tedesche ha dato ai ricercatori della Freie Universität di Berlino che li intervistavano sulla storia della Repubblica democratica tedesca. Gli studiosi si sono messi le mani nei capelli. Il giudizio complessivo che i giovani hanno dato sugli anni del regime è positivo, solo una minoranza del 40 per cento dà una valutazione negativa. Tanto più che il 50 per cento degli studenti delle regioni orientali e il 33 per cento di quelle occidentali non considera la Ddr una dittatura. Al contrario ne apprezza alcuni vantaggi pratici che dovevano – secondo loro – rendere facile e bella la vita a quei tempi: il basso costo degli affitti e il lavoro sicuro.
Probabilmente la giovane età degli intervistati li ha esentati dall’apprezzare un'altra delle conquiste sociali del mondo comunista, come gli asili nido. E il film di Florian Henckel von Donnersmarck “La vita degli altri” deve essere risultato troppo pesante e poco evocativo nonostante i riflettori del premio Oscar, se il 45 per cento degli studenti del Brandeburgo pensa che la Stasi sia stato un servizio di sicurezza come gli altri e non abbia invece controllato, spiato, catalogato e condizionato la vita di tutti i cittadini dell’ex Germania Est attraverso una rete di controllo capillare interno.
Gli autori dell’inchiesta sono Klaus e Monika Schröder dell’Associazione di ricerca sullo Stato della Sed (la Sed era il partito unico del regime) affiliata alla Freie Universität, l’ateneo di Berlino creato nel settore occidentale nel dicembre del 1946 da un gruppo di docenti guidati da Ernst Reuter (che sarebbe poi diventato il borgomastro della città ai tempi del blocco sovietico e del ponte aereo americano) per sfuggire alle restrizioni che venivano imposte alla Humboldt, l’università storica rimasta ingabbiata nel settore sovietico. Ne hanno fatto un libro, dal titolo “Paradiso sociale o Stato della Stasi? L’immagine della Ddr fra gli studenti”. Il sondaggio ha coinvolto un campione di 5mila 200 giovani, di età compresa fra i 15 e i 17 anni, suddivisi in quattro regioni, due dell’ovest (Baviera e Nordrhein-Westfalia), una dell’est (Brandeburgo) e una che potremmo definire mista, la città-regione di Berlino per ventott’anni tagliata in due dal muro. Tutti gli studenti sono nati dopo il 1989, nessuno di loro dunque ha avuto esperienza diretta della Germania divisa. Le loro nozioni sulla storia della Ddr vengono dunque dalla scuola, da genitori e amici, dal senso comune cristallizzatosi attraverso la lettura di libri, la visione di film al cinema o in tv, dall’immaginario collettivo che si crea attraverso le mode.
A sbirciare ancora un po’ nelle pagine della ricerca, vengono fuori altri esempi di lacune culturali. Per il 25 per cento degli intervistati Willy Brandt, il cancelliere che inaugurò la Ostpolitik, era un politico della Germania Est mentre il Muro innalzato nell’agosto del 1961 nel mezzo della città di Berlino non ha un responsabile certo per la maggioranza di loro: alcuni hanno anche avanzato l’ipotesi che a tirarlo su siano stati gli alleati americani.
Certo c’è anche una differenza geografica, che testimonia come gli studenti delle scuole bavaresi siano comunque mediamente più informati delle vicende storiche dell’altra Germania, cosa che peraltro conferma una classifica sulla qualità degli studi in Germania che premia da sempre, sia a livello scolastico che accademico, gli istituti della Baviera. Dai dati risulta che la barriera geografica prevale anche su quella culturale, dal momento che gli studenti delle scuole tecniche di Monaco sono più preparati in materia rispetto ai liceali del Brandeburgo. Questi ultimi, però, vengono preparati per accedere alle università, mentre le scuole tecniche preparano ai praticantati e a una rapida immissione nel mondo del lavoro. Tuttavia, sebbene in Baviera (così come nel Nordrhein-Westfalen) prevalga il giudizio negativo sulla Ddr, restano comunque molto invidiati i bassi affitti e la sicurezza del posto di lavoro. Poco importa che le case popolari negli immensi casermoni prefabbricati dell’est fossero in realtà stretti, poco illuminati e costruite con materiali, per usare un eufemismo, non particolarmente pregiati e che per ottenerle occorresse una attesa lunga anche molti anni e qualche raccomandazione politica. O che molti di quei lavori fossero in realtà del tutto improduttivi e pronti a evaporare una volta che l’economia della Ddr fosse entrata in contatto con il più vasto circuito internazionale.
La memoria del passato comunista dell’altra Germania sembra ormai un grande scenario cinematografico alla Good Bye Lenin, il delizioso e bugiardo film di Wolfgang Becker che nel 2003 rappresentò il momento più acuto dell’Ostalgie, il fenomeno di rimpianto per il piccolo mondo antico perduto. E pazienza che con quel mondo fossero state cancellati anche i muri, i fili spinati, le spie a ogni angolo di strada, la milizia popolare che sparava sui fuggitivi, l’incertezza economica, le difficoltà quotidiane, le file davanti ai negozi di alimentari vuoti, la mancanza di libertà, il conformismo sociale, la costrizione politica e tutto l’armamentario della vita reale ai tempi del comunismo realizzato fatto sparire con un ruffiano gioco di telecamere.
Ma piuttosto che fare del moralismo sulla mancanza di consapevolezza storica della nuova gioventù post-unitaria, conviene cercare di seguire le tracce di questo corto-circuito culturale, anche al di là del giudizio critico sul sapere che la scuola – anche la rinomata scuola tedesca – offre oggi ai suoi studenti. E infilarsi in quel mondo parallelo fatto di icone, consumismo, musica, marketing che costituisce l’immaginario collettivo con cui i giovani costruiscono il loro immaginario collettivo, possibilmente alternativo rispetto al mainstream del momento, al pensiero considerato dominante.
Ecco che il passato immaginato, ripulito dai suoi significati reali, reso leggero e innocuo dal passare del tempo, idealizzato anche in contrapposizione alla durezza dei tempi moderni, diventa lo specchio di un’altra storia nella quale le miserie dalle quali i loro genitori e fratelli maggiori fuggirono si trasformano in magliette con la stella dell’Armata rossa da indossare, musica ska russa (ovviamente rimasterizzata in chiave moderna) da ascoltare, oggettistica povera con la quale arredare rivoluzionariamente il proprio appartamento. Un rifugio nella bolla di sapone dell’infanzia immaginata, edulcorata dalle durezze della realtà ed elevata a nuovo paradigma esistenziale.
Questa è l’Ostalgie. E’ un fenomeno culturale e commerciale allo stesso tempo, trend di tendenza attorno al quale fabbricare anche altra merce da vendere nel circuito del consumismo dal quale non si affranca neppure questa nuova generazione di comunisti immaginari. Ma intanto contribuisce a costruire un mondo di cartapesta, il Truman Show di un comunismo buono e innocuo come una maglietta con il volto di Lenin da indossare. Il paese che per decenni si è confrontato con l’ombra lunga del nazismo, si trova oggi a gestire il passaggio culturale e mentale di un altro totalitarismo mentre i problemi sociali ed economici della metà orientale si prolungano più del previsto e riportano anche politicamente in auge gli eredi di quell’esperienza. Non sono bastati vent’anni per sanare le differenze. E l’ondata del comunismo pop di ritorno rischia di estendere anche ad ovest l’atmosfera del Good Bye Lenin: e più che un addio sembra un beffardo ritorno, anche se la stella rossa stampata su una T-shirt fa meno impressione del cingolato di un carro armato.
(pubblicato sul Secolo d'Italia il 7 agosto 2008)