La crisi della socialdemocrazia tedesca passa dalle chiuse stanze di un giurì d’onore di partito della regione Nord Reno-Vestfalia. Lì, la commissione dell’Spd ha deciso di dare il benservito a Wolfgang Clement, esponente di primo piano del partito, presidente di quella stessa regione dal 1998 al 2002, poi super-ministro dell’Economia e del Lavoro nel secondo governo Schröder, quello delle riforme che hanno consentito alla Germania di superare la stagnazione di inizio secolo. L’accusa è di aver danneggiato il partito, mettendo in guardia lo scorso gennaio gli elettori dal votare Andrea Ypsilanti, la candidata spd alla presidenza dell’Assia, la regione di Wiesbaden e Francoforte.
Motivo dello scontro: la politica energetica. Ypsilanti aveva dichiarato la sua opposizione a nuovi insediamenti industriali, sia nucleari che a carbone. Clement, che però siede nel consiglio di vigilanza del colosso energetico Rwe, aveva bollato come demagogica questa scelta. La polemica era stata rovente, la Ypsilanti perse le elezioni per un soffio, l’Assia vive ancora oggi una situazione di transizione con un governo di minoranza guidato dalla Cdu.
Ma è la prima volta che nell’Spd un uomo politico viene messo alla porta per aver espresso un’opinione politica di dissenso. Clement ha già fatto ricorso, ma la sua sfida ricalca una spaccatura che si va approfondendo sempre di più all’interno del partito: quella tra i riformisti, legati all’esperienza del Neue Mitte di Gerhard Schröder e la maggioranza che si raccoglie attorno al segretario Kurt Beck, che pensa di reagire alla concorrenza a sinistra della Linke spostando ancora più a sinistra il baricentro del partito. La cacciata dell’ex ministro vede contrapposte nelle reazioni le due anime del partito.
Ha così gioco facile il segretario generale della Cdu, Ronald Pofalla, ad accusare gli alleati-avversari di far fuori, gradualmente, tutti i moderati legati alla stagione delle riforme di Schröder, la famosa “Agenda 2010”. Con quella stagione l’Spd attuale sembra voler tagliare completamente i ponti per impostare una campagna elettorale tutta spostata sul sociale, recuperando i temi tradizionali della socialdemocrazia anni Settanta, con l’obiettivo di contenere l’affondo della sinistra radicale che in Germania vive una stagione del tutto opposta a quella dei suoi omologhi italiani. E invece lo spirito di quell’Agenda è stato di recente ripreso proprio dalla Merkel, con un riconoscimento “postumo” all’azione dell’ex cancelliere, come filo conduttore dell’azione riformista della Cdu.
La crisi dei socialdemocratici è contrassegnata da molte prime volte. In tutti i sondaggi è data ormai da qualche mese inchiodata al 25 per cento, il punto più basso dal dopoguerra. E nel numero degli iscritti è stata scavalcata dal partito della cancelliera (e anche questo non era mai accaduto): per un partito che faceva della militanza uno dei suoi punti di forza è un segnale pesante di disaffezione. Il suo leader, Kurt Beck, è in fondo a tutte le classifiche di popolarità ed è considerato da simpatizzanti e avversari uno dei motivi di sicuro insuccesso alle elezioni dell’autunno 2009.
Ecco perché l’Spd si trova ora di fronte alla sua ultima contraddizione: la scelta del candidato che dovrà affrontare la Merkel fra poco più di dodici mesi. Preso atto dell’impopolarità, Beck avrebbe già rinunciato alla sfida e sarebbe pronto a lanciare l’unico socialdemocratico che potrebbe almeno provare a giocarsi la partita: il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier. Il paradosso è che si tratta di uno schröderiano di ferro, un riformista che dell’ex cancelliere è stato il braccio destro prima ad Hannover, poi a Berlino. E chissà che il caso-Clement non faccia saltare anche quest’ultimo, fragile equilibrio.
Tutto facile dunque per Angela Merkel? Tutta in discesa la strada verso la riconferma alla Cancelleria? Nient’affatto. Nonostante al momento la “donna più potente del mondo” non abbia concorrenti nella competizione diretta, bisogna ricordare che la Germania non è una Repubblica presidenziale e il capo del governo viene espresso sempre dai partiti e dalle loro coalizioni.
Anche a destra non mancano motivi di preoccupazione. A settembre bisognerà valutare la capacità di tenuta della Csu, la costola bavarese cristiano-sociale, anch’essa in crisi di fiducia con il proprio elettorato. Poi c’è da tenere unito il partito, nel quale scalpitano le componenti liberali da un lato e conservatrici dall’altro, deluse dalla politica erhardiana di stampo sociale che la Merkel ha portato avanti in questa legislatura. Gli ambienti imprenditoriali, tradizionalmente più vicini al centrodestra, lamentano da parte loro lo scarso riformismo della Grosse Koalition, i costi sociali fatti pagare alle imprese, l’eccessiva enfasi posta sul tema dei cambiamenti climatici.
E l’economia, sino ad ora punto di forza del governo, comincia ad accusare qualche frenata. Pesano i costi dell’energia che si riflettono sull’aumento dei carburanti, dei beni alimentari mentre salgono gli affitti e, dopo mesi di ininterrotta diminuzione, in luglio il numero dei disoccupati è tornato a crescere, seppur di poco. Dall’autunno il clima potrebbe cambiare, la locomotiva tedesca frenare pericolosamente proprio in dirittura elettorale anche se i fondamentali restano buoni e il paese pare al riparo da ripercussioni dirette della crisi immobiliare americana.
Ma anche il quadro politico generale proietta più dubbi che certezze sulle ipotesi di coalizione post-elettorale. I partiti si ripresenteranno con le stesse opzioni del 2005: Cdu-Csu e liberali da un lato, Spd e verdi dall’altro. Con la Linke a far da outsider solitario con il rischio di confermare i sondaggi che al momento l’accreditano di un risultato che oscilla fra il 10 e il 14 per cento. In gran parte si tratta di consensi erosi all’Spd. Ma se tale sarà l’esito delle urne, nessuna delle coalizioni tradizionali sarà possibile e l’instabilità si proietterà come un dato strutturale sulla politica tedesca. E allora avrà avuto ragione un altro riformista socialdemocratico, l’attuale ministro delle Finanze, Peer Steinbrück, che qualche giorno fa aveva rilanciato la provocazione dell’ineluttabilità di un’altra stagione di Grosse Koalition. La Germania si troverebbe dunque a fare i conti con l’ipotesi di una lunga stagione di centro-sinistra, un’alleanza di tipo “austriaco” che diventerebbe strutturale e non più emergenziale come è stato in questa legislatura. Magari in attesa che le auspicate nuove alleanze possano maturare, con lo sdoganamento a livello federale della sinistra radicale (al cui interno è presente la forte componente “orientale” erede della Sed, il partito unico della Ddr) e del rapporto fra centrodestra e verdi, che ad Amburgo ha permesso di varare la prima tappa di una “coalizione Jamaika”.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 2 agosto 2008)