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Colmare il deficit di politica.
di Pierluigi Mennitti
Schematizziamo un po’. Di là c’è il declino, di qua la ripresa. Di là la competizione globale perduta, di qua il riscatto industriale. Di là il lamento sulle piccole imprese spazzate dalla concorrenza cinese, di qua la forza di imprese divenute medie e capaci di aggredire nuovi mercati. Di là «l’addio alla dolce vita», di qua «le schegge di vitalità economica». Di là l’Economist, di qua il censis. Ma non semplificheremo sino al punto di sostenere che di là c’è l’Unione e di qua la Casa delle Libertà, anche se il centrosinistra ha impostato la sua campagna elettorale sul lamento autocompiacente dei tempi magri e il centrodestra sulla bontà di un miracolo economico oggi difficile da rintracciare. Fatto sta che l’Italia si avvia alla campagna elettorale per rinnovare Parlamento e governo dipinta con colori diversi da due “istituzioni” europee: usa colori cupi il più autorevole settimanale economico continentale, tinteggia con colori pastello il più accreditato centro studi italiano. Nessuna delle due “istituzioni” può essere tacciata di parzialità. Vero che l’Economist rappresenta gli interessi dell’establishment finanziario britannico, ma non v’è dubbio che quando si passi dai commenti alle analisi sul campo, il magazine londinese rappresenti un punto di riferimento irrinunciabile. Così come i sospetti per una certa accondiscendenza del censis verso la realtà nazionale che osserva, vengono dissipati da decenni di indagini serie e precise che hanno sempre segnalato, e spesso anticipato, le tendenze della società italiana [... continua].