Nella sinistra europea, ed in particolare in quella di matrice socialdemocratica, è in corso un dibattito, non semplice né scontato, sull'accettabilità del modello di democrazia che lei ha definito di antagonismo collaborante. Ci si chiede se l'adesione a quel modello non porti, nei tempi lunghi, allo smarrimento di ogni peculiarità e all'accettazione obbligatoria di un universo politico permeato da un pensiero unico, che relativizzi sempre più le differenze tra sinistra e destra. Non teme che queste riflessioni possano, anche in Italia, riproporre in chiave di attualità il problema della diversità che, cacciato dalla porta, rientrerebbe così dalla finestra?
Il rischio dell'uniformizzazione politica è reale. Esso non deriva da una crisi del modello dell'alternanza, ma da ragioni più vaste e complesse. Si sta riducendo lo spazio di agibilità politica per la progressiva affermazione del mercato e della mondializzazione dell'economia. Quando i governi nazionali si trasformano in mere tecnostrutture, che devono eseguire le politiche che sono dettate loro dalla logica della competizione globale, non è solo il progetto socialdemocratico a perdere le sue chances, ma anche una qualsiasi affermazione ideale e nazionale di destra. La politica finisce così per trasformarsi in una mera lotta di potere per porsi al servizio dei banchieri, i nuovi sacerdoti della religione del mercato mondiale. Non è un caso che questo problema abbia interessato non solo la sinistra ma anche la destra, per esempio in Francia...
(Tratto da "Noi, sinistra di mercato", intervista a Massimo D'Alema di Gaetano Quagliariello pubblicata su Ideazione, gennaio-febbraio 1997. Qui il testo integrale di quell'intervista).