Lo scontro è fra città e campagna. Fra euro-ottimismo ed euro-scetticismo. Tra la voglia di accelerare le riforme liberali e la preoccupazione di ritagliarsi spazi protetti e garantiti. Ma è uno scontro che, qui in Polonia, si gioca tutto sulla destra del versante politico. Da un lato Donald Tusk, il leader di Piattaforma Civica, il maggior partito di opposizione. Dall’altro Jaroslaw Kaczynski, premier uscente alla guida di Giustizia e Libertà. Di qua il desiderio di riannodare i rapporti con i vicini, Germania e Russia in particolare e di tornare a guardare all’Europa e al futuro con fiducia e ottimismo. Di là il tentativo di giocare sempre sul filo della rottura, di esasperare il confronto con i vicini e con l’Europa, nella convinzione di poter cavalcare la tigre della demagogia interna e strappare più privilegi possibili per la Polonia. Due destre diverse in tutto: liberale ed europeista quella guidata da Donald Tusk, il primo, populista ed euroscettica quella di Jaroslaw Kaczynski. E tutte e due eredi dello spirito di Solidarnosc, anche se il padre nobile di quel movimento, Lech Walesa, ha sconfessato i Kaczynski considerandoli addirittura un pericolo per la democrazia.
In teoria avrebbero anche potuto essere alleate. Ma Tusk e Kaczynski hanno separato le proprie strade due anni fa, quando i gemelli vinsero la doppia partita delle legislative e della presidenza e decisero di non dividere il piatto con nessuno, se non con una piccola truppa di partitini ancora più estremisti del loro. A quel punto liberali e conservatori hanno cominciato ad essere alternativi. Tanto alternativi che lo scontro decisivo di questa campagna elettorale è stato il confronto televisivo tra i due. I sondaggi indicano oggi che il successo è andato a Donald Tusk. E che sarà lui a vincere le elezioni di domenica. A seconda degli istituti di ricerca (che nel dettaglio propongono dati concordanti nelle tendenze ma diversi nelle cifre) Piattaforma Civica oscilla tra il 34 e il 42 per cento, Giustizia e Libertà rispettivamente tra il 26 e il 32. I socialdemocratici dell’ex presidente Aleksandr Kwasniewski non superano il 12 per cento. Tra 7 e 8 per cento i centristi del PSL, fuori tutti gli altri. Dunque, la partita è in realtà un derby tra due diverse formazioni (e concezioni) della destra.
Vista da Varsavia, questa competizione appare sbilanciata. Le indagini sociologiche rivelano che proprio nei grandi centri è cresciuta l’insoddisfazione per il governo Kaczynski e che proprio qui, dove il business è realtà quotidiana, le frizioni internazionali causate dalla linea di politica estera degli ultimi due anni danneggiano l’immagine e gli affari del paese. Nelle città vive l’élite intellettuale imbarazzata dal populismo e prospera il nuovo ceto medio che vuole stabilità e moderazione e non ama la spregiudicatezza dei bizarri ministri degli ultimi anni. Fosse per Varsavia, Piattaforma Civica avrebbe già vinto. Anzi stravinto. Il sondaggio locale pubblicato dal quotidiano Gazeta Wyborcza è illuminante: nella capitale i liberali vincono 52 a 27, la forbice si riduce drasticamente nella provincia di Varsavia, 39 a 36. In una campagna elettorale che si gioca soprattutto in televisione, gli unici attivisti che si vedono in città sono i liberali. Casacca arancione (chiaro riferimento all’esperienza ucraina), volantini e materiale di propaganda, scorazzano in lungo e in largo soprattutto nel centro cittadino: quello commerciale dei grandi magazzini occidentali di fronte al palazzo della cultura sovietico regalato negli anni Cinquanta da Stalin, lungo l’elegante Nowy Swiat e nel centro antico di Stare Miasto, che poi tanto antico non è visto che è stato ricostruito di sana pianta dalle macerie della guerra tra gli anni Sessanta e Ottanta.
Il programma di Donald Tusk è chiaro e moderato, perché parla la lingua della ragionevolezza: dunque si vede. La propaganda dei Kaczynski invece non la vedi, è sotterranea, si muove per canali tutti suoi, penetra nelle campagne poco informate dove il business del distretto finanziario della capitale non arriva e al massimo suscita invidia. Lì, fra trattori e vita dura, l’Europa è una sanguisuga burocratica anche se poi si sopravvive di sussidi comunitari. Vale la retorica della polemica contro i nuovi ricchi, in nome di una pulizia morale. Un recente studio internazionale segnala che nell’ultimo anno il livello di corruzione nel paese è rimasto lo stesso. Un’altra battaglia persa dalla famiglia Kaczynski. Forse l’ultima.
(dall'Indipendente del 20 ottobre 2007).