mercoledì, ottobre 03, 2007

Kiev. Tra accuse e piazza, partono le trattative

Kiev. Da una settimana buona i militanti del Partito delle Regioni, i blu del premier uscente Viktor Yanukovich, hanno preso di fatto possesso della Maidan Nezalezhnosti, la piazza dell’Indipendenza di Kiev simbolo della rivoluzione arancione. Complici il comizio di chiusura di venerdì sera dello stesso Yanukovich e il timore che, ancora una volta, la piazza sarebbe stata decisiva per determinare gli equilibri politici del paese. Fosse solo per questo, la rivoluzione arancione avrebbe comunque lasciato il segno: la piazza dell’Indipendenza è diventato il luogo principale del confronto politico. E ora deve essere anche per una forma di scaramanzia che a due giorni da un risultato incerto che lascia i giochi aperti a qualsiasi soluzione, i “blu” non mollano la piazza e, seppur discretamente, sventolano le loro bandiere e mantengono i loro gazebo. Visivamente, sono molti di più dei rivali arancioni. Ciondolano tra un chiosco e l’altro con aria a un tempo stanca e minacciosa. Nessuno sorride. Gente che viene dall’est, dicono quelli di Kiev, dura e pura, che non ha alcuna voglia di farsi fregare di nuovo. Perché tre anni fa, secondo loro, la vittoria degli arancioni fu una sorta di colpo di Stato.

C’è come un’aria sospesa qui a Kiev, tanto nelle strade quanto nei palazzi ufficiali della politica, dopo che nel primo giorno post elettorale tutti avevano dichiarato la propria vittoria e a nessuno era venuto in mente di ammettere la sconfitta. Nella notte dello scrutinio, per alcune ore era sembrato che la rivoluzione arancione, scolorita in tre anni di litigi, compromessi e incertezze potesse rinascere come per incanto dal risultato delle urne. Colpa di un’operazione di marketing ben organizzata e di una stampa (specie quella occidentale) troppo ammalata di manicheismo: i buoni filo-occidentali da un lato, i cattivi filo-russi dall’altro. Il problema è che a trattare la politica ucraina con la bussola delle coordinate geografico-ideologiche, si finisce col non capirci nulla. Così è stato. Nel volgere di poche ore è emerso invece il dato che era stato previsto e temuto da tutti i sondaggi: nessuno ha davvero vinto e l’Ucraina resta né più né meno nella stessa condizione di incertezza del giorno prima. Appesa al buon senso dei leader in campo, che non è esattamente la loro dote principale.

Un paese diviso e polarizzato attorno a tre politici. La prima è una donna in ascesa, la rediviva Julia Timoshenko, la pasionaria dalla treccia bionda eroina della rivoluzione arancione, poi per breve tempo irrequeta primo ministro, infine scivolata all’opposizione contro la coabitazione Jushchenko-Yanukovich. Da qui ha ricostruito immagine e carriera sfruttando le sue doti populistiche che l’hanno portata oggi ad essere uno dei politici più amati del paese. Il suo “Blocco-Timoshenko”, che ha abbandonato l’arancio per un cuore rosso in campo bianco, ha raggiunto il 30,8 dei consensi. Il secondo è l’intramontabile Viktor Yanukovich, il cosiddetto filo-russo tesoriere del forziere elettorale orientale, che ha saputo pagare il fio dei brogli elettorali e tornare sulla scena politica grazie all’insipienza politica della compagnia arancione. Il suo Partito delle Regioni fa ancora una volta il pieno ad est e si piazza al primo posto con il 34,2 per cento. Il terzo è il presidente in caduta libera, quel Viktor Jushchenko simbolo fisico della rivoluzione arancione con il suo volto sfigurato per sempre dai veleni di una guerra politica senza quartiere, eppure capace di fallire tutti gli obiettivi di riforma promessi. La sua coalizione arancione raccoglie solo il 14,3 per cento e deve ringraziare la tenuta dei partiti minori.

Dietro di loro si muove il vero potere dell’Ucraina di oggi, quello degli oligarchi, i miracolati delle liberalizzazioni cui i clan politici hanno consegnato le chiavi dell’apparato produttivo ex-sovietico. Dalle imprese di Stato alle imprese di pochi, con passaggi di proprietà avvenuti all’ombra di interessi personali: un patto scellerato e criminale che ha consegnato la politica all’oligarchia finanziaria. I giochi politici si svolgono tutti dietro le quinte.

Ecco perché i commentatori ucraini sostengono che le alleanze le decideranno i boss delle imprese. Il paese è in pieno boom economico (tasso di crescita del 7 per cento all’anno), l’edilizia vola e la società si sviluppa con enorme vivacità, anche se al prezzo di diseguaglianze feroci. La stessa tensione tra tentazioni europee e nostalgie russe è scemata: il colore dei soldi è lo stesso, a Bruxelles come a Mosca e gli affari non conoscono geografie né confini. Gli oligarchi vogliono stabilità e temono l’incertezza. Al contrario la politica sembra offrire solo quella. Yanukovich è sicuro di formare un governo mentre non è detto che la vecchia coppia arancione (Jushchenko-Timoshenko) ritrovi d’incanto l’accordo. E non sono escluse alleanze inedite, in nome dell’emergenza nazionale. Le trattative continuano sullo sfondo della corsa presidenziale che si disputerà fra due anni, mentre nelle piazze i militanti prendono posizione, pronti ad essere spostati di qua o di là come burattini. La società civile, attratta dai consumi e delusa dalla politica, guarda disincantata. E intanto sono partite le reciproche accuse di brogli.

(dal Secolo d'Italia, 3 ottobre 2007)