Varsavia. La Polonia volta pagina, l'ennesima della sua recente storia democratica. Ma è un segnale di vitalità e normalità. Donald Franciszek Tusk, leader del partito di centrodestra liberale e moderato Piattaforma Civica (PO) batte nettamente il premier uscente Jaroslaw Kaczynski nel paradossale derby politico che ha visto di fronte le due anime della destra. Dieci punti di distacco e un 41 per cento (nel momento in cui scriviamo i dati non sono ancora ufficiali) che garantisce al nuovo premier in pectore la formazione di un governo stabile ed omogeneo, probabilmente con il partito centrista dei contadini. Ma a Donald Tusk i polacchi hanno offerto un'altra e più ambiziosa prospettiva: quella di costruire il primo grande partito moderato di centrodestra dopo venti anni di transizione dal comunismo alla democrazia.
Una sfida tutta politica per questo fragile e timido professore di storia nato a Danzica da una famiglia di origini tedesche, appassionato di fotografie d'epoca poi catapultato nell'agone della politica a dispetto del suo carattere introverso. Eppure la grinta non sembra mancargli. Tenace dietro lo specchio della timidezza, Donald Tusk è il vero valore aggiunto della campagna elettorale che si è conclusa. E' stato lui a determinare la svolta decisiva vincendo il dibattito televisivo con il rivale Kaczynski e invertendo la tendenza che sino ad allora aveva premiato il premier uscente. E ora promette di usare la stessa determinazione per riportare il paese sulla strada delle riforme economiche e sulla via del tradizionale europeismo.
I timori che anche questa volta i sondaggi degli ultimi giorni potessero fare cilecca (come era avvenuto due anni fa) s'è andato fugando man mano che dai seggi elettorali giungevano i dati parziali sull'affluenza. Alla fine ha votato il 60 per cento degli elettori, un balzo in avanti di venti punti rispetto alle politiche del 2005, segno evidente che l'elettorato d'opinione (bacino naturale di Piattaforma Civica) aveva risposto all'appello. Secondo le prime analisi di voto, questa volta è stata forte la mobilitazione delle grandi città e delle regioni settentrionali e occidentali della Polonia, dal Baltico alla Wielkopolska, tradizionalmente vicine al partito di Dusk. Che ha convinto anche l'elettorato giovanile, due anni fa attratto dalla lotta moralizzatrice dei Kaczynski ma poi deluso dal bilancio del governo e preoccupato dal peggioramento dell'immagine internazionale del paese. I giovani rappresentano in Polonia la fascia più dinamica e moderna della popolazione e da loro giunge la spinta a riprendere il processo di modernizzazione per non sprecare le grandi opportunità della crescita economica e dell'ingresso nell'Unione Europea. Spicca su tutti il dato di Varsavia, dove i due principali rivali si confrontavano direttamente: Donald Tusk ha ottenuto il 47 per cento dei voti, Jaroslaw Kaczynski solo il 21. La capitale è stata questa volta lo specchio fedele degli umori del paese.
Sul piano parlamentare, il nuovo Sejm, la camera bassa, può consentire a Piattaforma Civica di governare con il solo apporto del PSL, il partito dei contadini, una formazione centrista che negli ultimi tempi ha spostato il proprio baricentro dalla difesa corporativa degli interessi agricoli a una prospettiva più moderna, che guarda agli ambienti imprenditoriali e ai giovani. da questo punto di vista è dunque il partner ideale per Donald Tusk, che può così fare a meno dei rischi di una Grande Coalizione con i socialdemocratici del LiD, un rassemblement nel quale, accanto a storici esponenti della sinistra di Solidarnosc, siedono ancora i postcomunisti. Questa alleanza non ha ottenuto un buon risultato: inchiodata al 13 per cento, sconta l'onda lunga degli scandali legati alle liberalizzazioni manipolate che hanno caratterizzato l'era Kwasniewski e la mancanza di ricambio generazionale. Dunque, Tusk può dar corpo a un esecutivo che potrebbe contare una maggioranza di 10-15 seggi circa (a seconda della ripartizione finale): non tantissimo ma sempre meglio che azzardare un governo di solidarietà nazionale, quando il paese sembra comunque tutto sbilanciato a destra.
Perché è vero che il voto di domenica segna una sconfitta pesante per i gemelli Kaczynski e per il loro governo (testimoniata dal crollo dei due partiti estremisti minori che Jaroslaw aveva imbarcato nell'esecutivo, entrambi sprofondati all'1 per cento). Ma è anche vero che Giustizia e Libertà (PiS) mantiene il consenso di un terzo dell'elettorato polacco e in termini percentuali è addirittura cresciuto del 5 per cento rispetto al 2005, quando vinse le elezioni. Segno che il profondo disagio identitario di cui i gemelli si sono fatti portavoce persiste ed è stato semplicemente mal tradotto in una strategia politica avventata e arrogante. La stagione dei Kaczynski non è affatto conclusa, e nelle rassegne di stampa occidentali di oggi c'è qualche trionfalismo di troppo. Lech resta presidente della Repubblica e per la Polonia si apre una delicata fase di coabitazione istituzionale. E Jaroslaw, slegato dalle tensioni quotidiane di governo, potrebbe riprendere in mano le redini del partito, riflettere sugli errori compiuti, guidare un'opposizione dura e ricalibrare messaggio e programma. L'abilità non gli manca così come non gli fa difetto una certa spregiudicatezza politica. Resta l'immagine positiva di un paese ormai pienamente integrato nel sistema politico europeo. Appena è stata resa nota la prima, chiara proiezione, il vincitore si è presentato davanti ai suoi sostenitori e, appena ha concluso il suo discorso, lo sconfitto gli ha concesso pubblicamente la vittoria augurandogli buon lavoro. Niente male dopo una campagna elettorale tesa e velenosa.
(dal Secolo d'Italia del 22 ottobre 2007)