domenica, ottobre 21, 2007

Perché i Kaczynski possono ancora vincere

(Esclusiva Walking Class e post lungo).

Varsavia. “Non prendete i sondaggi per oro colato. Anche due anni fa tutti indicavano la vittoria di Piattaforma Civica alle politiche e di Donald Tusk alle presidenziali. Poi, invece, i gemelli Kaczynski hanno vinto tutte e due le volte”. La confidenza viene da un esperto di eccezione, Robin Lautenbach, da tre anni corrispondente a Varsavia per la prima rete televisiva tedesca, l’ARD. Lautenbach conosce ormai a fondo tutti i segreti della società polacca, a cominciare dal modo in cui i sondaggi vengono costruiti. “Non c’è alcuna affidabilità, vengono fatte delle telefonate senza precisi criteri statistici, in verità non ci prendono quasi mai”. A dire il vero, qualche sospetto ci era venuto, leggendo cifre tanto diverse nei sondaggi pubblicati dai principali quotidiani venerdì scorso, ultimo giorno disponibile prima del silenzio della vigilia. E tuttavia la tendenza appariva chiara, a prescindere dai numeri.

Su questo anche Lautenbach un po’ conviene: “Questa volta sembra diversa l’atmosfera, il confronto televisivo fra i due principali rivali, che ha incollato l’intero paese alla tv, è stato davvero paragonabile a quello famoso fra Kennedy e Nixon, a favore di Donald Tusk. Ma non è detto che poi tutti coloro che hanno apprezzato Tusk in tv andranno alle urne a votare”. Non sarebbe poi la prima volta che il vincitore di un dibattito televisivo vede infrangere le proprie illusioni nell’urna elettorale. Per quanto la politica sia diventata molto mediatica, permangono (per fortuna) molti altri fattori che determinano il voto dei cittadini.

Un indicatore importante sarà la percentuale dei votanti. Se sarà alta, allora Piattaforma Civica ha buone speranze di vincere le elezioni. Se si manterrà bassa, allora la partita potrebbe volgere a favore di Jaroslaw Kaczynski. L’elettorato del Pis è militante e molto disciplinato. Quello liberale è ondivago come tutti gli elettorati di opinione. E l’astensionismo sta diventando una cartina di tornasole della sfiducia con cui i polacchi seguono la politica. Due anni fa per il rinnovo del parlamento si recò ai seggi poco più del 40 per cento, una delle percentuali più basse d’Europa. Alle presidenziali si arrivò al 50: un elettore su due. Se si raffronta il 27 per cento ottenuto la scorsa volta da Giustizia e Libertà con il numero totale degli elettori potenziali, si capisce come governo e presidenza della Repubblica si fondino tutto sommato sul consenso diretto del10 per cento degli elettori.

Numeri e statistiche a parte, ci siamo messi alla ricerca dei motivi del fenomeno Kaczynski, al di là dei facili cliché che noi europei occidentali gli abbiamo appiccicato addosso e che i gemelli, in verità, fanno di tutto per tenersi appiccicati. Il politologo Radoslaw Markowski ci offre una chiave di lettura più polacca: “Se si analizzano le dichiarazioni ufficiali dei leader di Giustizia e Libertà, secondo gli standard europei potremmo definire questo partito come nazionalista e populista; tradotto in termini polacchi diremmo che si tratta di un partito patriottico e solidarista”. Sul concetto patriottismo-nazionalismo torneremo in un’altra occasione (con un reportage più ampio sulla rivista cartacea Ideazione), perché la questione è molto delicata, non riguarda solo la Polonia ma quasi tutti i paesi est-europei. Qui basti anticipare il concetto che Giustizia e Libertà ha riempito in questi ultimi anni un bisogno identitario e patriottico profondo della società polacca, che si è approfondito proprio nel momento in cui l’ingresso nelle istituzioni europee ha chiuso una fase storica di transizione e ne ha aperto una nuova, nella quale il paese ricerca ragioni, spazio e collocazione. La memoria della Polonia affonda nella debolezza della sua storia e nell’orgoglio della sua gente, una miscela dalla quale emerge la paura primordiale per i suoi ingombranti vicini, la Germania e la Russia. Che la Germania oggi non sia più il Reich minaccioso del passato è questione che è inscritta nell’esperienza di noi europei occidentali, che abbiamo sperimentato sessant’anni di pace e collaborazione nell’ambito di un’Europa via via sempre più integrata. I paesi dell’Est, e la Polonia più di tutti, si affacciano oggi a questa nuova dimensione portando in dote tutte le paure e le ansie del passato, appena scongelate da un’altra dominazione-occupazione, quella sovietica. Trascorrere una giornata come quella di ieri, tra il museo della rivolta di Varsavia del 1944 e la proiezione del nuovo film su Katyn (che tanta polemica sta suscitando in Polonia, Russia e Germania), aiuta a capire i processi di questa necessaria ma ambigua definizione dell’identità nazionale in atto ad est dell’Oder.

Quanto al solidarismo, questo è un punto che divide davvero le due destre che oggi si contendono la guida del paese. Se Tusk è un liberale convinto, i gemelli propongono un mercato controllato e una maggiore attenzione ai ceti più poveri. E due anni fa, i polacchi avevano voglia di tirare un po’ il fiato dopo anni di corsa a tutto spiano. Infatti, nei due anni di governo hanno bloccato le liberalizzazioni e mantenuto il controllo statale su molti settori dell’economia, dall’energia alle banche.

Qui si inserisce però anche la polemica furiosa che il PiS ha lanciato contro i comunisti e i post-comunisti, le cui liberalizzazioni sarebbero state realizzate favorendo gruppi oligarchici legati al partito socialdemocratico (ex comunista). “E’ un’accusa che ha fondamento – concede Lauterbach – perché in Polonia il processo di privatizzazione ha seguito lo stesso scenario dei paesi dell’est europeo, Estonia e Repubblica Ceca escluse. I comunisti, diventati post, hanno gestito le dismissioni statali, favorendo gruppi economici a loro vicini, quando non si sono appropriati loro stessi di pezzi dell’economia”. Ecco spiegati gli scandali che hanno affossato il partito socialdemocratico dopo dieci anni ininterrotti di presidenza di Aleksander Kwasniewski. Ed ecco perché il binomio anti-liberalizzazioni anti-comunismo si salda nel programma politico dei Kaczynski. Aggiunge Markowski: “Oggi, rispetto a due anni fa, la divisione che si impone nel confronto politico non è più tra liberisti e solidaristi ma tra anticomunisti e postcomunisti.
E’ di questo che si parla oggi”.

E ad aver riposizionato il dibattito politico è stato proprio Jaroslaw Kaczynski. “Il PiS – conclude Markowski – a differenza dei liberali, sa bene come si vincono le elezioni, che è poi lo scopo primario di una forza politica. I suoi dirigenti solleticano l’istinto degli elettori, impongono con spregiudicatezza i temi della campagna elettorale, costringono tutti a misurarsi sulla loro lunghezza d’onda. Fino al dibattito televisivo, questa campagna era stata un’assoluta vittoria per Jaroslaw Kaczynski che negli ultimi tempi era sempre stato in vantaggio nei sondaggi. Il PiS sembrerebbe aver perduto l’appoggio giovanile e sta cercando di recuperare con il voto nelle campagne. Ma sarebbe curioso rivederlo al governo, magari con una maggioranza solida: chissà che sciolti dallo stress di dover conquistare giorno per giorno la maggioranza parlamentare, i suoi dirigenti non possano riportarlo sulla traccia delle sue radici conservatrici”. Ancora poche ore e sapremo il responso delle urne. Dalle 20 exit poll e risultati che potrete seguire collegandovi ai principali siti internazionali (consiglio BBC e CNN) e ai siti e blog polacchi inseriti nel colonnino qui di fianco nella sezione Europa centro-orientale.