(post lungo)
Quando si parla di sistema tedesco come soluzione per l'interminabile transizione politica italiana, qui, di primo acchitto, andiamo a nozze. Poi ci frena l'ovvia constatazione che non basta una legge elettorale tedesca per fare dell'Italia una sorta di Germania mediterranea, così come non è bastato importare pezzi di sistema inglese per fare di Roma una Londra con il Colosseo. Questione di mentalità. Di storia. Di tradizioni politiche. In più, la lezione del 1993 ci ha insegnato che puntare sulla legge elettorale come panacea per l'intero sistema politico è un'illusione. Dunque, le disquisizioni sulla legge elettorale da adottare lasciano un po' il tempo che trovano: ogni legge può essere buona o cattiva, a seconda di come il sistema politico è capace di interpretarla. Certo, l'unica cosa giusta è che la legge attuale è la peggiore che si conosca dai tempi del listone di Mussolini o del partito unico di Stalin. I partiti decidono i candidati e agli elettori non resta che mettere la croce. Ne consegue che la selezione della classe dirigente non avvenga per vivacità di opinioni contrapposte ma per la fedeltà alle segreterie dei partiti. L'unica cosa decente è che in questo modo abbiamo assistito a un minore sperpero di denaro da parte dei candidati: ma a che prezzo! Su questo blog l'abbiamo avversata in ogni modo: credo che sia l'eredità peggiore che Berlusconi ha lasciato al paese. E pensare che quelli dell'Udc ancora si vantano di averla voluta.
Per tornare alla soluzione tedesca, qui di seguito un paio di appunti per contribuire al dibattito. Il primo è la legge così come è. Se ne parla, si conosce a malapena la regola dello sbarramento, ma poi mancano le nozioni essenziali. Adesso ci sono. Il secondo è estrapolato da un mio articolo pubblicato nell'autunno dello scorso anno, all'indomani del voto regionale a Berlino e nel Meklenburgo. Parla della crisi che questo sistema elettorale sta riscontrando nella stessa Germania: perché, in uno stesso paese, se cambiano le condizioni di base, anche una valida legge elettorale può aver bisogno di ritocchi o ricambi.
Appunto 1/ Il sistema tedesco.
Tendenzialmente proporzionale con sbarramento al 5%. L'elettore dispone di due voti: uno per il candidato dei partiti nelle circoscrizioni uninominali (è il voto più importante); l'altro per stabilire la rappresentanza dei partiti a livello federale. In questo secondo caso i seggi vengono distribuiti tenendo conto di quante preferenze hanno raggiunto le forze politiche nel primo voto. Possono essere assegnati seggi ai partiti che abbiano raggiunto almeno il 5% di voti a livello nazionale, o il 3% nei seggi uninominali. Sono perciò avvantaggiate quelle forze che ottengono sia il 5% che singoli collegi. È un sistema bicamerale imperfetto, con Bundestag e Bundesrat. La prima camera, il Bundestang, ha un numero di deputati che varia a seconda dei risultati circoscrizionali ed è l'unica che può dare o negare la fiducia al governo. La seconda camera, il Bundesrat, è invece una rappresentanza delle regioni, racchiude cioè al suo interno i componenti dei governi regionali e deve essere coinvola nella legislazioni in tutti i casi in cui una legge tocca gli interessi regionali.
Appunto 2/ Calo dei partiti storici e crisi del sistema politico.
[...] Dai voti ai sondaggi d’opinione, i risultati non cambiano. I più recenti, confezionati a metà ottobre dal prestigioso istituto demoscopico Allensbach e pubblicati dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, registrano rispetto alle elezioni nazionali del 2005 un calo di otto punti per i due partiti maggiori, equamente diviso a metà: meno 4 per la cdu e meno 4 per l’spd. I due pilastri del bipolarismo tedesco, che hanno rappresentato l’impalcatura della rimpianta Repubblica di Bonn, si attestano entrambi attorno al 30 per cento. Crescono invece i partiti cosiddetti minori, rimasti esclusi dalla Grosse Koalition: i liberali spingono sul tasto della lotta alla burocrazia e toccano la sorprendente quota del 12 per cento; i Verdi strappano ai socialdemocratici le fasce del ceto medio borghese urbano, colto e benestante, e si piazzano all’11 per cento; perfino i neo-comunisti rosicchiano qualcosa a sinistra dell’spd e sono accreditati quasi del 10 per cento. Confusi nella indistinta voce degli “altri” si nascondono i neo-nazisti dell’ndp: ma questa voce si avvicina pericolosamente alla soglia nazionale del 5 per cento e sfonda ad Est raggiungendo il 9 per cento. Nei nuovi Länder, cioè nei territori natali di Angela Merkel, la cdu si riduce a terzo partito, dopo socialdemocratici e neo-comunisti.
Non servono altri numeri per dare la misura del terremoto politico in corso in questi mesi: la crisi dei due partiti maggiori proprio nel momento in cui falliscono la loro missione straordinaria di unirsi per portare il paese fuori dal cul de sac delle riforme bloccate e la contemporanea crescita di formazioni che sino a qualche anno fa faticavano a mantenersi al di sopra della soglia di sbarramento del 5 per cento, segnano di fatto l’inizio della crisi del sistema partitico tedesco. L’alternanza fra conservatori e socialdemocratici con i liberali come ago della bilancia è ormai storia consegnata ai libri della Repubblica di Bonn. Ma la novità registrata con il primo governo di sinistra rosso-verde è stato solo il primo punto di rottura. La riunificazione, l’irruzione dell’Est nelle statiche regole politiche della Germania capitalista, la frammentazione della società e di conseguenza degli interessi spingono il sistema a un’ulteriore e più grande riforma: quella della politica. Il problema si è già posto per quel che riguarda l’aspetto federalista, ma oggi le esigenze diventano più grandi. Anche per la Germania si tratta di far compiere al proprio sistema democratico un salto di qualità: se la prima repubblica tedesca è legata all’infausto periodo di Weimar e la seconda al miracolo economico di Bonn, è giunto il tempo di modellare la terza repubblica di Berlino sulle esigenze di un grande paese riunificato e articolato in più forze politiche [...].