venerdì, novembre 03, 2006

La trappola

Non so se abbiate mai provato l'impressione di una trappola che vi si chiude improvvisamente addosso: non in senso traslato, ma materiale. E' piuttosto sgradevole. E a me è toccato stanotte.
Si era partiti alle nove di sera da Budapest a bordo di una piccola macchina che tirava la strada coi denti, diretti a Vienna: l'onorevole Matteo Matteotti, l'addetto stampa Cabalzar, e io.
Il ministro d'Italia, Franco, che aveva parlato poco prima con l'ambasciatore sovietico, Andropov, aveva ricevuto da lui l'assicurazione formale che la strada e la frontiera erano libere, che vi si potevano avviare anche donne e bambini.
Faceva un tempo da lupi, con raffiche di neve, e sulla mota l'automobile slittava. Non si vedeva anima viva. Solo ogni tanto una pattuglia di ragazzi della Squadra Nazionale, intirizziti, sbucavano dalla zona buia agitando una lampadina in aria, per intimarci l'alt ed eseguire il controllo. Regolarmente, era con loro una ragazza, anch'essa in divisa, con la pistola al fianco, le mani paonazze e le gote livide.
- Italiani?
- Italiani.
- Viva l'Italia, continuate pure.
E via su quella strada solitaria, nello sfarinio della tormenta.
poco prima di Győr, verso mezzanotte, raggiungemmo un enorme carro armato che procedeva nella nostra stessa direzione. Era uno Stalin di quaranta tonnellate che sbandava paurosamente. "Guardi" fece Matteotti "che bei panzer hanno lasciato i russi in eredità agli ungheresi". E con una certa impazienza facemmo segnalazioni con le luci perché ci lasciassero passare. Saltando goffamente, lo sferragliante scarafaggio si fece da parte, e con qualche rischio di vederlo beccheggiare addosso, lo rimontammo. Ma subito se ne parò davanti un altro, e poi un altro ancora. Finché l'intera colonna, che era di quindici, dovette fermarsi per un ingorgo, gli equipaggi scesero e fu allora che dovemmo accorgerci che quei carri russi non erano affatto ungheresi e che ci trovavamo praticamente imbottigliati in una colonna sovietica.
Indro Montanelli, Il complesso della vittoria, Corriere della Sera - 3 novembre 1956