Chissà quanto tempo ci vorrà perché gli amanti del Kazakistan (e di tutte le terre ad Est dell'Oder che da tre lustri a questa parte si sono incamminate lungo lo scivoloso pendio del disgelo post-comunista, da Varsavia ad Astana, da Mosca a Kiev, a Bucarest, a Belgrado) apprendano la sottile arte dell'ironia. La Reconquista di identità nazionale e ruolo specifico in cui si sono impegnate le leadership dei nuovi paesi, spesso vissuta in opposizione al vecchio ombrello pan-totalitario sovietico, può giocare qualche scherzo se declinata senza il giusto equilibrio. E disporre il volto alla smorfia dell'offesa invece che a quello più sereno di una franca risata. Eppure non è difficile capire che, come è del tutto evidente, Borat non è un attacco all'identità kazaka, né un'offesa alla sua popolazione, e neppure un capolavoro da Oscar: è, semplicemente, un film satirico, divertente, evidentemente surreale che non può fare male a nessuno. Semmai, solo a chi s'imbarca, lancia in resta, in - queste sì, ancor più surreali - censure e scomuniche, come è accaduto in Russia (che poi, oggi, anche dalle parti di Mosca basta andare su internet e aggirare qualsiasi bando e divieto).
Insomma, Borat è una divertente sequenza di sketch, niente di più, niente di altro. Ma il suo successo, come spesso accade, invece di ridicolizzare gli amici kazaki, li ha resi popolari e noti in tutto il mondo. Sappiamo benissimo che le loro donne guidano le auto e che il paese è una sorta di paradiso delle religioni (anche per gli ebrei) che convivono fianco a fianco come difficilmente avviene da altre parti. Adesso, però, può spiegarcelo a tutti anche il ministro degli Esteri kazako, quel Rakhat Aliev che fino a ieri nessuno conosceva e che oggi si propone ai media internazionali per far conoscere meglio il suo paese. Quando avremo smesso di ridere dei kazaki alla Borat e quindi un po' anche di noi stessi, cominceremo a studiare meglio questo paese, la sua storia e tutti gli altri paesi intorno ai quali quel pazzo di Sacha Baron Cohen ha dato un volto e una voce, anche se surreale. E sarà un bel giorno quando qualcuno potrà ridere o arrabbiarsi guardando Borat anche in un cinema di Mosca o di Astana.
Qui un riepilogo della controversia da Transition on Line.