Abbattuti dai trentadue gradi afosi di oggi, ci siamo recati al seggio elettorale con rassegnata passione civica: un sì un po' svogliato. Più che altro la speranza che adesso ci lascino in pace con voti e campagne elettorali o referendarie e con tribune politiche sempre più spente, sempre più parodia di una classe dirigente che si dispone a fare ogni volta l'esatto contrario di quello che promette. Poi abbiamo acquistato la nostra solita mazzetta dei giornali, arricchita la domenica dei quotidiani del nuovo regime, per sapere meglio che aria tira. E ci siamo imbattuti nell'editorialessa di Eugenio Scalfari, che potete leggere anche on line qui (nel link quelli di Rep lo chiamano "commentone", minchia, manco Bondi col Berlusca).
Nel primo capoverso, il Fondatore riassume in sei punti la summa del no elaborata da Lui Medesimo e da una ristretta compagnia di reazionari doc (Zagrebelsky, Scoppola, Manzella) tutti autorevoli amici di Lui Medesimo, che in prima persona si pronuncia Io. Lui e gli amici di Io descrivono in sei punti il Manifesto della Restaurazione Continua. Ed è tutto quello contro cui abbiamo lottato dal 1992 in poi. Sì, intendo proprio dal 1992, da quando cioè Tangentopoli (che si sarebbe poi dimostrata più semplicemente una rivoluzione tradita e radiocomandata) sembrava aver aperto qualche speranza di cambiamento (ah, che errore di valutazione!). Mai così esplicita, sino ad oggi, era stata la posizione dei "signorno". Scalfari e i suoi vecchietti bocciano la riforma semplicemente perché bocciano qualsiasi possibile cambiamento. Vogliono mummificare il paese e le istituzioni per mummificare anche il suo futuro, il nostro futuro. L'Italia del dopoguerra, per sempre, finché morte non sopraggiunga. Per questo abbiamo perso la svogliatezza e, nonostante l'afa, vi invitiamo ad andare al seggio e votare sì.