giovedì, dicembre 27, 2007
Finalmente Brindisi. Arrivederci al 2008
mercoledì, dicembre 26, 2007
Leaving Berlin, never easy
Berlusarkò
martedì, dicembre 25, 2007
Oh Tannenbaum
sabato, dicembre 22, 2007
Parigi-Amsterdam-Roma
La Slovenia alla prova di maturità
venerdì, dicembre 21, 2007
La notte in cui caddero le frontiere
Malinconie
die alten Häuser noch,
die alten Freunde aber sind nicht mehr. (*)
(*) dedicata agli amici conosciuti in questi due mesi al Goethe-Institut che hanno lasciato Berlino e con i quali, spero, i contatti proseguiranno sul web. Ai pochissimi che sono rimasti, appuntamento alla ripresa di febbraio.
Giù le frontiere, l'Europa è più unita
mercoledì, dicembre 19, 2007
Il sesso di Repubblica
martedì, dicembre 18, 2007
Finalmente Julia
lunedì, dicembre 17, 2007
Weihnachten
sabato, dicembre 15, 2007
Dragostea din tei
Berlino-Monaco (quasi un Roma-Milano)
Aggiornamento. Sono sopravvissuto, Toni non c'era perché alla fine infortunato, la partita è finita zero a zero ma è stata vivace e la copertina del nonno provvidenziale. I giornali bavaresi si chiedono cosa stia accadendo al Dream Team di Monaco, che nelle ultime settimane s'è fatto risucchiare dal Werder Brema. La risposta è semplice: il Bayern ha un'ottima squadra ma un solo attaccante di razza. Luca Toni. Quando non c'è, vanno in bianco. Ma lì si sono convinti che Miroslav Klose sia un attaccante pure lui. Quanto all'Hertha, vale la prima parte della frase che il sindaco Wowereit aveva lanciato qualche anno fa per l'intera Berlino: povera ma bella. Catenaccio e contropiede. In panchina siede uno svizzero di belle speranze noto per il gioco frizzante. Ma la squadra gioca come se fosse allenata da Carletto Mazzone.
Un marziano a Roma
venerdì, dicembre 14, 2007
L'ultimo volo
lunedì, dicembre 10, 2007
In Italia troppe morti sul lavoro
domenica, dicembre 09, 2007
Corvo nero corvo bianco
Hertha sempre più giù (e sabato arriva Luca Toni)
mercoledì, dicembre 05, 2007
Un anno di Knut
Il deficiente
lunedì, dicembre 03, 2007
Anch'io l'Adventskalender
Giro giro tondo
Am Arsch der Welt
(Der Tagesspiegel, Kleine Geschichten aus Berlin)
venerdì, novembre 30, 2007
Italia tra Francia e Germania
mercoledì, novembre 28, 2007
martedì, novembre 27, 2007
Agli amici africani: la Svizzera è bella
Balle. Amici africani, vogliono prendervi per il culo. La Svizzera è un paese bellissimo e molto efficiente. Si lavora bene e la gente, una volta rotto il ghiaccio dei primi giorni, è addirittura allegra e ospitale. Il governo, come avrete potuto capire, lo è un po' meno. E in realtà anche questo spot pare abbia il consenso della maggioranza degli svizzeri: dunque qualche problema c'è anche nella popolazione, che non riesce più a distinguere tra la complessità del problema immigrazione e un filmatino egoista che solletica le paure più oscure e gli istinti peggiori. Ma da queste parti i governi cambiano e magari prima o poi anche questo Blocher ce lo toglieremo dalle palle. Dunque, non fatevi infinocchiare e, se cercate un paese sereno, un buon guadagno, una vita tranquilla, andate senza paura in Svizzera. C'è solo l'imbarazzo della scelta: Basilea o Zurigo, Losanna o Ginevra, Locarno o Lugano. Piste da sci d'inverno, laghi e prati d'estate e fonduta di formaggio tutto l'anno. Non saranno a portata di mano il primo giorno ma con lavoro e fatica tutto questo sarà raggiungibile. E chi emigra, in genere, ha più voglia di lavorare e di integrarsi di quanto non si immagini.
lunedì, novembre 26, 2007
Avviso ai naviganti
Ucraina: Holodomor, la carestia degli Anni Trenta
La Grande Romania diventa piccola
Croazia, decide Stipe Mesic
Stadtschloss, si parte con l'Humboldt-Forum
Germanie
Realpolitik
A lezione di russo
Farse
Tornano i fuochi parigini
domenica, novembre 25, 2007
Croazia al voto, l'obiettivo è l'ingresso nell'UE
Berlineide
sabato, novembre 24, 2007
Gian Super Antonio Stella
martedì, novembre 20, 2007
Giovani rosse crescono
Da Santoro a Berlusconi (via Grillo)
domenica, novembre 18, 2007
Prodi e Veltroni 2.0
Segnalo la differente (e come sempre molto equilibrata) analisi di Stefano Folli dal Sole 24 Ore. Dalla quale dissento su due punti. Il primo: è vero che a sinistra tutte le contraddizioni restano in piedi ma è anche vero che se Prodi e Veltroni trovano una sintonia di azione, il futuro potrebbe essere proficuo per entrambi. L'attuale premier non può che giovarsi dell'appoggio di un leader di partito autorevole e Veltroni ha bisogno di arrivare alla campagna elettorale sulla scia di un centrosinistra che recupera consenso. Il secondo: quello che Folli considera un elemento a favore di Berlusconi, io lo considero un elemento a sfavore del centrodestra. E' vero che l'ex premier mantiene un carisma ineguagliato fra il popolo di centrodestra. Ma a che prezzo? E per farne cosa? Il prezzo è quello di aver ormai assuefatto la sua gente alla demagogia e averla allontanata dalla politica, tanto è vero che molti sono convinti che l'azione politica consista in questa continua produzione di slogan, boutade, tormentoni, barzellette, trasmissioni tv autoreferenziali, giornali autocompiacenti, cortei, vignette e altre amenità del genere. Per farne cosa è poi il discorso principale. Forza Italia difficilmente può sedersi al tavolo di una costruttiva trattativa con il centrosinistra per varare una riforma elettorale perché ha come unico scopo quello di consentire a Silvio Berlusconi di tornare al governo. E l'unico modo che ha di farlo è quello di puntare alla caduta immediata di Prodi. Quel che di buono - o di male, a seconda dei punti di vista - che il berlusconismo ha potuto dare a questo paese (in termini di modernizzazione della comunicazione politica, di sdoganamento del centrodestra come soggetto politico, di consolidamento della tendenza bipolare, di semplificazione del linguaggio politico) appartiene a un ciclo che si è ormai abbondantemente concluso. Il tempo non lavora per Berlusconi. Questo il Cavaliere lo sa: corre controvento e sembra disposto a tutto, pure ad inventarsi un nuovo partito, troppo carico di genitivi per esser serio e troppo carico di riferimenti a repubbliche popolari per non essere comico. Solo che, a mio avviso, il centrodestra non ha bisogno di questo. E l'Italia ancor di meno.
C'è un poliziotto a Roma
Il voto del Kossovo
Domenica non è più sempre domenica
Duisburg, la Polizei s'è distratta?
Fine della solidarietà: ognuno per sé
Sempre più turismo
Stima reciproca
venerdì, novembre 16, 2007
Blog molto a rilento
martedì, novembre 13, 2007
lunedì, novembre 12, 2007
Allo sbando
Ho visto un Re
domenica, novembre 11, 2007
Diciotto anni dopo il Muro
Berlino. Ci sono tanti modi per celebrare una data storica. Ad esempio, in questo umido e freddo autunno berlinese ci si può incamminare sul sentiero nella brughiera a sud di Zehlendorf, dove la città si stempera nella grande piana brandeburghese, lungo quello che fu il confine fra due città, due Stati, due mondi, due sistemi ideologici. O camminare sul porfido del Mauerweg, una stradina pedonale da poco asfaltata a due passi dalla nuova stazione centrale che costeggia il fiume Sprea: anche lì un tempo passava la frontiera. O ancora saltellare di qua e di là sulla Potsdamer Platz dove i grattacieli di Renzo Piano hanno riempito il vuoto fisico e morale della terra di nessuno, tanto cara a Wim Wenders. O, infine, arrivare alla Porta di Brandeburgo quando è già scuro, aggirare le transenne sulla Pariser Platz, e ammirare il muro di gomma illuminato che le autorità hanno voluto piazzare nel punto esatto dove c’era quello vero, per ricordare questo diciottesimo anniversario del 9 novembre 1989. Quando uno sventurato Günter Schabowski, allora portavoce di un regime in agonia, annunciò in una conferenza stampa l’apertura del Muro e il mondo cambiò volto in un secondo.
Il Muro non c’è più e i berlinesi, che hanno una vocazione a fare piazza pulita delle vestigia del passato, non ne hanno lasciato in piedi neppure un pezzettino. Così ogni anno, quando il 9 novembre si avvicina, si è costretti ad inventarsi qualcosa. Questo diciottesimo anniversario sarà ricordato per il Muro di gomma colorato, installato davanti all’unica porta cittadina sopravvissuta alle rivoluzioni urbanistiche e alle guerre del Novecento. Può sembrare una trovata turistica. E invece fa effetto. Se si arriva dal Tiergarten, il grande parco urbano di Berlino, il Muro è posizionato nel punto esatto dove si trovava l’originale. E i colori luminosi richiamano la gioia e l’entusiasmo della notte dell’Ottantanove. Pare quasi di rivederli quei giovani aggrappati sul cornicione, che danzano e cantano sotto i getti d’acqua ormai inoffensivi dei Vopos. Se ci si lascia un po’ andare, e magari si socchiudono gli occhi, pare quasi di risentirle quelle grida e quelle canzoni: si odono gli schiocchi dei tappi di champagne, le mani gli applausi e le grida di goia di chi ancora non crede che tutto quello stia davvero accadendo. I clacson impazziti delle auto, l’odore dolciastro del monossido di carbonio delle Trabant ingolfate ai checkpoint, le saracinesche dei negozi che si aprivano, gli strilloni per le vie con le edizioni straordinarie dei quotidiani, il fiato condensato nell’aria umida dei berlinesi dell’Ovest, accorsi con bottiglie e bicchieri par festeggiare i fratelli ritrovati. Una città in festa. Non sarebbe durata a lungo.
Il Muro non c’è più da diciotto anni. Una generazione se n’è andata. Chi aveva vissuto le ferite della guerra e della divisione ritrovandosi di colpo spaesato nella nuova Germania, non c’è più. Chi è stato protagonista di quel cambiamento, ha poi sperimentato sulla propria pelle le durezze della transizione. E chi in quei giorni era in fasce vive nel modo più naturale possibile la propria vita in una città che non ha più confini. Tante Germanie diverse, in una stessa nazione. Una generazione: era il lasso di tempo che i pessimisti si davano perché le cose andassero a posto: l’est avrebbe raggiunto economicamente l’ovest e la Germania sarebbe finalmente diventata un’unica, omogenea e benestante Vaterland. Non è andata così. Ci vorrà probabilmente ancora più tempo, forse dovrà passare un’altra generazione, ancora diciott’anni. Tuttavia, forse per la prima volta dal 1989, questo anniversario si annuncia senza la solita cascata di lamentele e recriminazioni, su quello che non è stato e che doveva essere, sulle promesse tradite e le speranze deluse.
Quest’anno c’è un’aria nuova. Un po’ dovuta alla ripresa economica, che inanella mese dopo mese dati confortanti sull’occupazione e la crescita, un po’ al ritrovato ottimismo di Berlino, la capitale che dopo anni di trasformazioni frenetiche ha saputo consolidare il suo ruolo centrale nella politica e nella cultura dell’Europa allargata. Il dibattito sul bilancio della riunificazione assume toni più sfumati. Il chiaroscuro sostituisce la durezza del contrasto assoluto. Alla denuncia degli errori si affianca l’indagine sui cambiamenti avvenuti. E ci si accorge che tanto è stato fatto.
Lentamente il paese si riconcilia con se stesso. La ventata dell’Ostalgie, il fenomeno di nostalgia per gli anni della DDR simbolizzato cinematograficamente dal successo di Good bye Lenin, ha restituito alla metà “sbagliata” del paese orgoglio e dignità. C’era una vita dietro il cemento, fatta di oggetti e sentimenti, passioni e difficoltà, che non poteva essere liquidata con un tratto di penna. Ad ovest hanno capito e la Germania “giusta” ha cominciato a guardare la vita degli altri con minore arroganza e più comprensione. Forse questa è la vera conquista dopo diciott’anni di travagli: non la parità economica, che arriverà chissà quando, ma la consapevolezza di condividere un destino comune.
Il successo di Berlino, in fondo, è tutto qui, nella sua capacità quotidiana di scompaginare i confini, di travasare uomini e sentimenti da un lato all’altro della città e di accogliere nuovi arrivati da tutto il mondo nella speranza di diventare davvero una Weltstadt. Resteranno ancora per anni, forse per sempre, le tracce della città divisa: i casermoni socialisti delle periferie a est, le ville lussuose sui laghi a ovest, i tram gialli di là dove il sistema pubblico non aveva vissuto la rivoluzione su gomma, gli autobus a due piani di qua, gli omini del semaforo ciccioni e simpatici a est (si chiamano “Ampelmännchen” e sono diventati una piccola industria del gadget), quelli anonimi e standardizzati a ovest. E ci saranno ancora per un po’ i Wessi e gli Ossi, con i loro pregiudizi e la loro diffidenza reciproca. E tuttavia l’est vive oggi la sua rivincita: sono lì i quartieri più “in” del momento. Il Mitte, centrale e turistico, dove la vita non si ferma mai e le strade brulicanti di ristoranti, discoteche, atelier e gallerie ingoiano giorno e notte frotte di berlinesi e turisti. Prenzlauer Berg, raffinato e bohémien, con i suoi supermercati biologici, i caffè etnici, le boutique eleganti e la sua fauna di giovani in carriera, mamme con carrozzine, bambini che spuntano da ogni portone: tedeschi benestanti emigrati dall’ovest in questo spicchio sopravvissuto della Berlino pre-bellica, dove prima vivevano gli oppositori del regime e oggi gli affitti sono sestuplicati con il risanamento delle abitazioni e lo sbarco delle multinazionali immobiliari. E infine Friedrichshain, il nuovo triangolo alternativo e trasgressivo, locali ribelli e vita notturna avventurosa, culla storica delle lotte operaie di inizio Novecento, oggi rifugio di chi ha sempre qualcosa da rinfacciare al sistema, qualunque esso sia. Sono queste le nuove zone della scena berlinese, che hanno soppiantato le vecchie icone di Berlino Ovest, la Kurfürstendamm, Schöneberg, Kreuzberg.
Se nella metropoli l’est vive la sua riscossa, nella Germania profonda i toni si fanno meno entusiastici ma non sono poi del tutto diversi. C’è provincia e provincia. Lipsia, ad esempio, la città che diede il via alla rivoluzione del 1989, è tornata ad essere quel centro fieristico internazionale che guardava ai mercati est-europei: le sue strade sono eleganti e affollate, l’università mantiene il suo prestigio. Dresda risplende della sua eterna bellezza, ha ricostruito la Frauenkirche dalle macerie della guerra lontana e il centro storico dai detriti dell’inondazione di cinque anni fa. A Jena le industrie tecnologiche hanno soppiantato gli arruginiti impianti del passato. Certo, il Brandeburgo rimane una splendida ma desolata landa malinconica, dove si può viaggiare per chilometri senza incontrare altro che foreste e campi incolti. E il Meclenburgo, ancora più a nord, offre lo stesso panorama, appena mitigato dall’attivismo delle città costiere anseatiche.
Da queste regioni ogni mese emigrano i migliori, anzi le migliori: quasi sempre donne cui le statistiche attribuiscono maggiore cultura, più alto quoziente intellettivo e capacità di iniziativa. Nelle piccole città restano gli uomini, a riempirsi la pancia di birra e magari a sfogare le frustrazioni su qualche malcapitato immigrato di passaggio. E’ accaduto ancora una volta qualche mese fa, contro un gruppo di indiani che gestiva una pizzeria in un piccolo paese della Sassonia. Ma succede molto più spesso, anche se non fa notizia. Qui i movimenti neonazisti scavano odio nelle piaghe della riunificazione fallita e anche il partito postcomunista della Linke fa il suo pieno di voti di protesta. Quarantasei anni fa, il regime comunista alzò il Muro proprio per fermare l’emorragia di manodopera qualificata che metteva in crisi il sistema produttivo collettivista. Nessuno si ricorda più che quella cicatrice di cemento venne costruita per motivi economici, non politici.
La Germania è cambiata in questi diciotto anni e a forza di lamentarsi per le promesse mancate ha perso di vista quelle mantenute. La storia prende le strade che vuole e i tedeschi sono rimasti per troppo tempo avvinghiati al quadretto idilliaco dell’89. Nel frattempo l’economia ha vissuto le sue stagioni, le città dell’est le loro trasformazioni e la politica tutta insieme la sua grande rivoluzione. Non solo geografica, con il passaggio dei palazzi istituzionali da Bonn a Berlino. Oggi, quando si va a votare, non si sa più chi vincerà e chi governerà. Il sistema elettorale, che molti in Italia vorrebbero adottare proprio ora che qui non funziona più, non garantisce la stabilità. L’est è entrato con tutta la sua forza e disperazione nella vita dell’intero paese e, non sentendosi rappresentato dai partiti tradizionali venuti dall’ovest, ha dato voce a quello che conosceva, anche se lo aveva per anni detestato. Certo, la Linke assomiglia poco a quel blocco granitico e privilegiato che era la Sed ai tempi della Ddr. Ha unito la sinistra orientale post-comunista che Gregor Gysi ha abilmente condotto fuori dal cono d’ombra del passato a quella occidentale massimalista di Lafontaine che ha origini socialdemocratiche. Ma oggi ha trovato la forza per uscire dal ghetto dell’est e proporsi come terza forza del paese. Fa vedere i sorci verdi all’Spd. La sua agibilità nella politica delle alleanze sarà il tema di fondo dei prossimi anni. E l’ostracismo non potrà durare a lungo: oggi la sua forza impedisce la formazione di governi omogenei. Chissà che la soluzione non venga proprio dall’esperienza di Berlino, dove la Linke già governa assieme all’Spd. Sarebbe un paradosso, ma la vita politica ci ha abituato a questo. Solo la piena integrazione dell’est nel quadro politico nazionale potrà aiutare il paese a trovare i nuovi equilibri nella Germania riunificata. E non è detto che l’unica via d’uscita sia a sinistra. Prima dei partiti ci hanno pensato gli individui a salire sulla plancia di comando. Angela Merkel non è solo la prima donna ma anche la prima tedesca dell’est ad essere diventata cancelliera. E porta nella sua azione quotidiana l’esperienza dolorosa della Germania “sbagliata”: non è un caso che il paese abbia ritrovato proprio attraverso il nuovo afflato europeista la sua collocazione al centro del Continente allargato, l’Europa a due polmoni di wojtyliana memoria. Lentamente, le cose stanno cambiando. E guardando i giovani di oggi, quelli che compiono diciott’anni assieme alla loro Germania riunificata, si ha l’impressione che il peggio sia già passato. E che d’ora in poi il processo d’integrazione sarà più naturale e veloce.
(pubblicato sul Secolo d'Italia dell'11 novembre 2007)sabato, novembre 10, 2007
Perché all'Italia non serve più Berlusconi
Nevica
venerdì, novembre 09, 2007
La Germania unita è maggiorenne
Attenti all'onda
giovedì, novembre 08, 2007
Mimì e Cocò
In Georgia stato d'emergenza
mercoledì, novembre 07, 2007
Io sono un rumeno
La Trabi fa 50
martedì, novembre 06, 2007
L'articolo degli altri
Se non son rose sfioriranno
lunedì, novembre 05, 2007
giovedì, novembre 01, 2007
Blog un po' a rilento
mercoledì, ottobre 31, 2007
A volte ritornano (ma a volte no)
Putin presenzia a cerimonia vittime Stalin
(Fonte: Radio Free Europe/Radio Liberty).
Turchi e curdi a Berlino
E segna sempre lui
martedì, ottobre 30, 2007
Fiori d'arancio (secondo estratto)
La memoria di Kurapaty
(Fonte Radio Free Europe/Radio Liberty).
domenica, ottobre 28, 2007
I viaggi del folletto
Piccoli consigli per l'ambiente
- Chiudete il rubinetto dell’acqua mentre vi lavate i denti o v’insaponate i capelli.
Non solo risparmierete acqua, ma anche energia occorrente per riscaldarla. - Abbassate la temperatura di lavaggio in lavatrice.
I detersivi di ultima generazione contengono enzimi che non solo consentono ottimi risultati a basse temperature (30-40°C), ma lavano peggio a temperature troppo elevate. Lavare a 95°C non serve a nulla, tranne che a rovinare la biancheria e consumare energia inutilmente. Se la biancheria non è impregnata di schifezze, bastano spesso 40°C. - Usate detersivi concentrati.
A parità di forza lavante ne occorre una quantità inferiore, il che significa abbattere l’impatto energetico per il trasporto e produrre una quantità molto inferiore di rifiuti per via dell’imballaggio più piccolo e leggero. - Fate attenzione all’efficienza energetica al momento dell’acquisto di nuovi elettrodomestici.
Gli elettrodomestici a basso consumo sono più cari, ma vi fanno risparmiare sulla bolletta (informazioni sul tema elettrodomestici). - Spegnete la luce quando uscite da una stanza.
- Usate prese di corrente dotate di interruttore per tutti gli apparecchi dotati di funzione stand-by.
(TV, lettore CD/DVD, stereo, computer) e spegnete l’interruttore quando non li usate. Risparmierete corrente elettrica e allungherete la vita dei vostri elettrodomestici (informazioni sul tema) - Utilizzate lampadine a basso consumo energetico.
Non devono necessariamente essere lampadine fluorescenti (che comunque ormai esistono di tutte le fogge e dimensioni, facendo crollare su sè stesse divere argomentazioni contrarie); anche le alogene consumano meno delle tradizionali lampadine ad incandescenza. Altra tecnologia interessante è quella dei diodi luminosi (LED) (informazioni sui vari tipi di sistemi d’illuminazione ed il loro consumo energetico) - Utilizzate borse per la spesa in tessuto invece dei sacchetti di plastica.
Hanno anche il vantaggio di non rompersi così facilmente e di “sopportare” pesi maggiori. - Controllate la pressione dei pneumatici della vostra auto.
Le gomme mezze sgonfie, oltre ad essere meno sicure, contribuiscono ad aumentare il consumo di carburante e si consumano più in fretta, entrambe le cose a causa del maggiore attrito. - Cercate di utilizzare l’auto meno frequentemente.
Le alternative sono tante, dai mezzi pubblici all’organizzarsi tra colleghi per utilizzare un’auto sola.
sabato, ottobre 27, 2007
La lunga notte di Harry e Kurt
Una tivvù non si nega a nessuno
venerdì, ottobre 26, 2007
Kiosk. L'altro Putin, quello visto dai russi
di Sergio Romano su Panorama.
"A che gioco giocano gli inglesi?"
di Sergio Romano su Panorama.
"Putin in versione premier per completare la transizione"
di Stefano Grazioli su Ideazione.
"Two Categories"
di Georgy Bovt su Russia Profile.
"Experts Panel: Putin in Iran"
a cura di Vladimir Frolov su Russia Profile.
Kiosk. Sinistre di lotta, governo e pensiero
di Gian Enrico Rusconi sulla Stampa.
"Europa, non gettare il tuo sogno al vento"
di George Soros sulla Stampa.
"Prodi, parole necessarie ma tardive"
di Stefano Folli sul Sole 24 Ore.
"Die Linke, la sinistra che cambia i rapporti in Europa"
di Graziella Mascia su Liberazione.
"Für eine neue Kapitalismuskritik"
di Oscar Negt sulla Süddeutsche Zeitung.
"Näher an Beck"
di Christoph Seils sulla Zeit.
"Die Kunst des Chamäleons"
di Heribert Pranti sulla Süddeutsche Zeitung.
"Boss Beck menschelt wieder"
di Carsten Volkery sullo Spiegel.
"Es kann nur einen geben"
di Jan Kuhlmann sul Rheinischer Merkur.
"Come Back?"
di Jürgen Busche su Cicero.
Si scrive Bielorussia, si legge DDR
(Fonte: Radio Free Europe/Radio Liberty).
Salvate l'aeroporto di Tempelhof
Minsk e la legge sugli eventi di massa
(Fonte: Radio Free Europe/Radio Liberty).
Indulto alla bielorussa
(Fonte: Radio Free Europe/Radio Liberty)
mercoledì, ottobre 24, 2007
Kaczynski, la questione del veto presidenziale
La Polonia di Donald Tusk
Chissà se ne sarà capace, questo minuto professore di storia di Danzica, appassionato di foto d'epoca, sposato con due figli, la cui timidezza innata consiglierebbe tutt'altro ruolo che quello del leader politico. Due anni fa perse la corsa alle presidenziali anche a causa di una bugia su suo padre lanciata in corsa da un assistente di Lech Kaczynski, alla quale non seppe ribattere con la tempestività necessaria. Eppure proprio lui, con la sua timidezza e la sua moderazione, è l'uomo che ha determinato la svolta in questa campagna elettorale. Quel faccia a faccia televisivo, che ha inchiodato allo schermo milioni di polacchi, è stato paragonato al famoso duello che oppose negli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e Richard Nixon. Lui, Tusk, ha sostenuto il ruolo di Kennedy, giovane, spigliato, addirittura aggressivo. Chissà quanto avrà forzato il suo carattere per aggredire Jaroslaw Kaczynski e inchiodarlo alle responsabilità di un governo disastroso. E il premier è rimasto sorpreso, spiazzato: il suo copione – che fino ad allora aveva funzionato alla perfezione – s'è scompaginato e il gemello cattivo è apparso di colpo un piccolo provinciale capitato per caso alla guida di un grande paese europeo.
Donald Tusk ha pescato voti un po' dovunque. Secondo le prime analisi del flusso elettorale, Piattaforma Civica ha eroso in parte l'elettorato più moderato del PiS, il partito dei gemelli, (presumibilmente il voto giovanile, nel 2005 attirato dal messaggio moralista dei Kaczynski ma poi imbarazzato per le brutte figure internazionali) e in parte ha riportato alle urne cittadini che due anni fa si erano astenuti. Un piccolo afflusso è venuto anche da sinistra, moderati che hanno individuato nel PO l'unica forza politica in grado di contrastare i Kaczynski. Al nuovo vincitore si presenta dunque una sfida tutta politica che va al di là della stessa esperienza amministrativa di capo del governo: costruire le basi di un moderato partito liberal-conservatore. Certo, c'è anche da governare il paese, ma questa sembrerebbe quasi la cosa più facile giacché la Polonia continua a offrire performance economiche di tutto rispetto e presenta una società vitale e aperta, forse la più dinamica fra quelle dell'Europa centro-orientale. Gli investimenti dall'estero proseguono, l'ingresso nell'Unione Europea garantisce fondi che tranquillizzano il settore agricolo e contribuiscono al boom di quello edilizio, l'organizzazione con l'Ucraina dei campionati europei di calcio nel 2012 assicura flussi finanziari anche per i prossimi anni. Il problema è semmai convincere i troppi lavoratori qualificati emigrati all'estero (in Gran Bretagna e in Irlanda soprattutto) a rientrare in patria: lì non basterà il richiamo del cuore, serviranno paghe più alte.
Il compito è dunque grande per Donald Tusk. Servirà la grinta e la tenacia che si nascondono dietro la timidezza. Anche perché l'opposizione sarà agguerrita. I gemelli Kaczynski hanno subito una dura sconfitta ma la politica polacca resta instabile e volatile. E se si guardano le differenze con le elezioni di due anni fa, Giustizia e Libertà ha addirittura accresciuto i consensi in termini percentuali. Lech resta presidente della Repubblica e di fatto, dal punto di vista istituzionale, si apre una nuova era di coabitazione. il premier sconfitto ha riconosciuto la vittoria dell'avversario, gli ha augurato buon lavoro, ha accusato stampa e tv di aver influenzato la campagna elettorale e ha promesso un'opposizione dura. le ragioni di fondo che due anni fa diedero il successo ai gemelli non sono venute meno. Giustizia e Libertà mantiene un robusto consenso specie nelle zone rurali e nella provincia e sarebbe una lettura affrettata quella di considerare chiusa la loro stagione politica.
(dall'Indipendente del 23 ottobre 2007)
Le grandi città incoronano Donald Tusk
Una sfida tutta politica per questo fragile e timido professore di storia nato a Danzica da una famiglia di origini tedesche, appassionato di fotografie d'epoca poi catapultato nell'agone della politica a dispetto del suo carattere introverso. Eppure la grinta non sembra mancargli. Tenace dietro lo specchio della timidezza, Donald Tusk è il vero valore aggiunto della campagna elettorale che si è conclusa. E' stato lui a determinare la svolta decisiva vincendo il dibattito televisivo con il rivale Kaczynski e invertendo la tendenza che sino ad allora aveva premiato il premier uscente. E ora promette di usare la stessa determinazione per riportare il paese sulla strada delle riforme economiche e sulla via del tradizionale europeismo.
I timori che anche questa volta i sondaggi degli ultimi giorni potessero fare cilecca (come era avvenuto due anni fa) s'è andato fugando man mano che dai seggi elettorali giungevano i dati parziali sull'affluenza. Alla fine ha votato il 60 per cento degli elettori, un balzo in avanti di venti punti rispetto alle politiche del 2005, segno evidente che l'elettorato d'opinione (bacino naturale di Piattaforma Civica) aveva risposto all'appello. Secondo le prime analisi di voto, questa volta è stata forte la mobilitazione delle grandi città e delle regioni settentrionali e occidentali della Polonia, dal Baltico alla Wielkopolska, tradizionalmente vicine al partito di Dusk. Che ha convinto anche l'elettorato giovanile, due anni fa attratto dalla lotta moralizzatrice dei Kaczynski ma poi deluso dal bilancio del governo e preoccupato dal peggioramento dell'immagine internazionale del paese. I giovani rappresentano in Polonia la fascia più dinamica e moderna della popolazione e da loro giunge la spinta a riprendere il processo di modernizzazione per non sprecare le grandi opportunità della crescita economica e dell'ingresso nell'Unione Europea. Spicca su tutti il dato di Varsavia, dove i due principali rivali si confrontavano direttamente: Donald Tusk ha ottenuto il 47 per cento dei voti, Jaroslaw Kaczynski solo il 21. La capitale è stata questa volta lo specchio fedele degli umori del paese.
Sul piano parlamentare, il nuovo Sejm, la camera bassa, può consentire a Piattaforma Civica di governare con il solo apporto del PSL, il partito dei contadini, una formazione centrista che negli ultimi tempi ha spostato il proprio baricentro dalla difesa corporativa degli interessi agricoli a una prospettiva più moderna, che guarda agli ambienti imprenditoriali e ai giovani. da questo punto di vista è dunque il partner ideale per Donald Tusk, che può così fare a meno dei rischi di una Grande Coalizione con i socialdemocratici del LiD, un rassemblement nel quale, accanto a storici esponenti della sinistra di Solidarnosc, siedono ancora i postcomunisti. Questa alleanza non ha ottenuto un buon risultato: inchiodata al 13 per cento, sconta l'onda lunga degli scandali legati alle liberalizzazioni manipolate che hanno caratterizzato l'era Kwasniewski e la mancanza di ricambio generazionale. Dunque, Tusk può dar corpo a un esecutivo che potrebbe contare una maggioranza di 10-15 seggi circa (a seconda della ripartizione finale): non tantissimo ma sempre meglio che azzardare un governo di solidarietà nazionale, quando il paese sembra comunque tutto sbilanciato a destra.
Perché è vero che il voto di domenica segna una sconfitta pesante per i gemelli Kaczynski e per il loro governo (testimoniata dal crollo dei due partiti estremisti minori che Jaroslaw aveva imbarcato nell'esecutivo, entrambi sprofondati all'1 per cento). Ma è anche vero che Giustizia e Libertà (PiS) mantiene il consenso di un terzo dell'elettorato polacco e in termini percentuali è addirittura cresciuto del 5 per cento rispetto al 2005, quando vinse le elezioni. Segno che il profondo disagio identitario di cui i gemelli si sono fatti portavoce persiste ed è stato semplicemente mal tradotto in una strategia politica avventata e arrogante. La stagione dei Kaczynski non è affatto conclusa, e nelle rassegne di stampa occidentali di oggi c'è qualche trionfalismo di troppo. Lech resta presidente della Repubblica e per la Polonia si apre una delicata fase di coabitazione istituzionale. E Jaroslaw, slegato dalle tensioni quotidiane di governo, potrebbe riprendere in mano le redini del partito, riflettere sugli errori compiuti, guidare un'opposizione dura e ricalibrare messaggio e programma. L'abilità non gli manca così come non gli fa difetto una certa spregiudicatezza politica. Resta l'immagine positiva di un paese ormai pienamente integrato nel sistema politico europeo. Appena è stata resa nota la prima, chiara proiezione, il vincitore si è presentato davanti ai suoi sostenitori e, appena ha concluso il suo discorso, lo sconfitto gli ha concesso pubblicamente la vittoria augurandogli buon lavoro. Niente male dopo una campagna elettorale tesa e velenosa.
(dal Secolo d'Italia del 22 ottobre 2007)
lunedì, ottobre 22, 2007
Kulinaria. Pierogi che passione
Il giorno di Donald Tusk
La normalità della Polonia
Detto della "concorrenza", i miei reportage dei giorni precedenti (che potete rileggere scorrendo giu' per il blog) sono uno spaccato fedele di quanto si agita oggi sulla scena polacca. Una sola cosa voglio segnalare qui, in attesa di proporvi gli articoli scritti oggi per i giornali cui collaboro a commento del voto. Appena e' stata comunicata la prima proiezione elettorale che dava chiaramente la misura del risultato, il vincitore Donald Tusk si e' presentato davanti ai suoi sostenitori per la dichiarazione di vittoria. Un breve e secco discorso. Appena ha finito, Jaroslaw Kaczynski e' apparso davanti ai suoi sostenitori per concedere la vittoria all'avversario. Anche per lui brevi, pacate parole, poi un rimbrotto alla stampa a suo dire partigiana nella campagna elettorale (i cliche' non vanno abbandonati), infine gli auguri di buon lavoro a colui che adesso prendera' il suo posto. Una piccola lezione di stile da un paese nuovo membro dell'Ue che pur vive campagne elettorali intense e combattute come le nostre.
Carletto Darwin campione del mondo di Formula 1
domenica, ottobre 21, 2007
Polonia, guida al voto
Siti consigliati per risultati e commenti:
Rete televisiva nazionale polacca;
Gazeta Wyborcza;
BBC News;
The Beatroot (blog);
Sueddeutsche Zeitung.