domenica, novembre 09, 2008

Il 9 novembre dei cristalli incendiati


Il motivo per cui la Germania riunificata ha istituito la sua festa nazionale il 3 ottobre (giorno in cui la ex Repubblica democratica tedesca si costituì in Länder aderendo così alla Bundesrepublik) e non il 9 novembre (giorno della caduta del Muro di Berlino) è perché nella sua storia c'erano altri 9 novembre. Oggi cade il settantesimo anniversario di quello del 1938, il 9 novembre più brutto, una delle pagine più angoscianti della storia europea. Fu la notte dei cristalli, la Reichspogromnacht, la notte illuminata dagli incendi delle sinagoge e dei negozi degli ebrei: 267 sinagoge date alle fiamme, 7mila 500 negozi distrutti, 91 ebrei uccisi, 30mila internati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen. E' a questo avvenimento che quest'anno Walking Class dedica la copertina del 9 novembre: per parlare della riunificazione tedesca, si può attendere l'anniversario tondo del prossimo anno. Da qualche tempo a Berlino è tornata a luccicare la cupola dorata della sinagoga di Oranienburger Strasse, nel quartiere Mitte. Lo scorso anno è stata restituita all'attività la sinagoga di Rykestrasse, nel quartiere di Prenzlauerberg. La comunità ebraica è tornata a Berlino e prova a ridare alla città quella vivacità economica, umana e intellettuale che la dittatura nazista cancellò brutalmente. Quel mondo però non tornerà più, e l'Europa centro-orientale ha pagato, con un impoverimento straordinario della propria cultura, lo sradicamento di una comunità tanto vasta e vivace. Restano, in giro per la Germania e per i paesi dell'Est, tracce isolate di quella umanità, attorno alle quali provano oggi a raccogliersi i coraggiosi eredi di quella tradizione.

Per gli approfondimenti sulla notte dei cristalli, qui Wikipedia in italiano. Assai più approfondita la corrispondente pagina tedesca. Qui in sintesi dal sito del Deutsches Historisches Museum di Berlino. Qui la pagina speciale della ZDF con i programmi dedicati. E infine, in inglese, la pagina dell'Encyclopaedia Britannica.