Kein Weg führt nach Hessen. Nessuna strada porta in Assia. Voleva essere spiritoso lo striscione che per anni ha campeggiato sulla facciata dell'ambasciata regionale dell'Assia a Berlino. Faceva il verso alla boriosità dei romani dell'Impero (nel quale come è noto tutte le strade portavano a Roma), lasciando immaginare un Land fattivo, laborioso e modesto. Sembra invece la sentenza del suo destino politico, dopo che quattro ribelli dell'Spd hanno mandato a gambe all'aria il lungo e tormentato lavorìo di Andrea Ypsilanti per formare un governo che scalzasse l'odiato Roland Koch, presidente uscente e ora reggente della Cdu. Niente da fare. I quattro ribelli sono usciti allo scoperto il giorno prima della votazione in consiglio. Problemi di coscienza, hanno detto. Nel mirino, l'alleanza con la Linke, seppur realizzata attraverso l'astuzia bizantina (o italiana, se volete) di un appoggio esterno che qui chiamano con più efficacia "Tolerierung". Niente, nisba, niet: "L'alleanza è nociva agli interessi dell'Assia, il programma porterebbe a un aumento della disoccupazione". Salta così il progetto di un esecutivo tra Spd e Verdi che avrebbe dovuto reggersi con la sponda della Linke di Lafontaine e Gysi.
Nessuna strada porta in Assia e nessun governo sembra in vista nell'importante regione che ha per capitale Wiesbaden ma che ingloba il centro finanziario europeo di Francoforte. Roland Koch resta al suo posto, in attesa di soluzioni. Se si votasse domani, riprenderebbe la maggioranza perduta in un'elezione giocata sul terreno scivoloso dell'identità e della xenofobia, una sorta di ricetta teocon in salsa tedesca. Non era piaciuta all'elettorato che l'aveva punito, premiando la candidata dell'Spd, ma non fino al punto di concederle una vittoria chiara. L'impasse dell'Assia è diventata la cartina di tornasole della crisi politica della Germania, scivolata nell'arena pentapartitica senza avere ancora trovato soluzioni adeguate per farvi fronte.
Dieci mesi fa, "mai con la Linke" era stato il grido di battaglia della Ypsilanti, politica tanto tenace e testarda quanto ansiosa di arrivare al potere. In Germania le promesse pre-elettorali contano. Ma a urne aperte, l'Spd poteva costruire una coalizione solo con l'apporto della Linke. Peccato che l'alleanza fosse stata esclusa categoricamente in campagna elettorale. Dunque non si doveva fare. Non è apparsa credibile la giustificazione di Ypsilanti, che il voto all'Spd era soprattutto un voto anti-Koch e che dunque nel mandato fosse implicito il diritto a far di tutto pur di scalzare il politico conservatore dalla poltrona. Lunghi mesi di incertezza: difficile la trattativa con la Linke, difficilissima quella con i Verdi. Ma la pugnalata è arrivata dai suoi. Ypsilanti s'è infilata in un tunnel rischiosissimo, sfidando i sondaggi dei suoi stessi elettori che si dichiaravano contrari all'accordo, ignorando gli editoriali di fuoco della stessa stampa di area socialdemocratica (per tutti il fondo del direttore Giovanni Di Lorenzo sulla Zeit di questa settimana dal titolo "Un putsch di sinistra").
Tuttavia, la Ypsilanti pagherà in prima persona il fallimento del suo azzardo. C'è chi mette in dubbio anche il prosieguo della carriera politica, tanto alto era il trampolino del suo triplo salto mortale. Forse è esagerato. Di certo lo smacco di oggi peserà come un macigno sulle già fragili spalle del partito socialdemocratico, che sta tentando con il nuovo duo Steinmeier-Müntefering di risalire la china dei sondaggi. Dal fallimento si sfilano tutti. I Verdi, che potrebbero addirittura pensare a una coalizione Giamaica a guida democristiana magari senza Koch (che la sua partita seppur di sponda l'ha vinta e ora potrebbe togliere l'ingombro ritagliandosi un ruolo nazionale a Berlino). E la Linke, diretta concorrente dell'Spd per i voti di sinistra, che già parla a gran voce di inaffidabilità del partito socialdemocratico. Kein Weg führt nach Hessen, sembra davvero che la strada più probabile sia quella del ritorno alle urne.
(Immagine: il Landtag dell'Assia a Wiesbaden, fotowalkingclass).