martedì, febbraio 19, 2008

L'Europa e il Kossovo

Quando torna di scena il Kossovo, a me vengono in mente le immagini cui ho assistito nove anni fa, in una Tirana assediata dai profughi, mentre al di là del confine a nord i macellai di Milosevic inscenavano l'ultimo capitolo del medioevo balcanico. Conosco la complessità della politica, figuriamoci di quella dei Balcani. Ma non mi è mai capitato di recriminare sull'intervento della Nato, che anzi giudicai tardivo, perché ho visto con i miei occhi le tragedie scatenate dalla sete di potere del tiranno serbo. Di quei giorni passati nel fango della capitale albanese resta questo vecchio reportage, che ogni tanto ripropongo ai lettori del blog. Ci sono i dolori e le speranze di quel pezzo di storia balcanica che mi è capitato di vivere direttamente. Oggi, quando a Pristina sventolano le bandiere di un altro nazionalismo, quello pan-albanese, un po' mi vengono i brividi, perché mi pare di ascoltare venti di intolleranza uguali e contrari. Ma poi penso che questa indipendenza, questa chance di libertà, i kossovari se la siano meritata. La speranza è che sappiano utilizzarla bene.

I tempi passano, nove anni sono tanti, le situazioni si evolvono. Oggi quell'area si trova davvero ad uno snodo cruciale. Gli Stati Uniti avevano fatto anche troppo, se si tiene conto del fatto che l'area di crisi balcanica, in fondo, non era di vitale importanza per la geopolitica di Washington. L'Europa ha fatto quel che ha potuto e saputo fare. Cioè poco. Ha messo le toppe a una ricostruzione faticosa e difficile con i suoi soldati e i suoi aiuti economici. Ma è stata tiepida nell'azione politica. Certo, la transizione serba è stata lenta e complessa, la lunga teoria di assassini politici - clamoroso quello del premier Dijndrijc nel 2003 - ha ripetutamente messo in dubbio la sua marcia democratica, ma negli ultimi tempi l'appoggio alla linea moderata del presidente Tadic (rieletto da qualche giorno per il rotto della cuffia) è stata determinata dalla fatica dell'Unione più che dalle lentezze di Belgrado.

L'indipendenza è cosa fatta. Accadde la stessa cosa con Slovenia e Croazia. Il dado è tratto, l'annuncio è arrivato e i riconoscimenti seguiranno, con la prudenza che la diplomazia in questi casi richiede. Ancor prima degli Usa è arrivato il sì della Francia, prima fra le grandi nazioni europee. Seguirà a breve quello della Gran Bretagna. Quindi sarà la volta di Germania e Italia. Solo la Spagna ha giurato che non riconoscerà il nuovo Stato, aprendo di fatto una piccola crisi diplomatica all'interno della Ue, che ha lasciato liberi i propri membri di decidere autonomamente la linea da adottare: un ulteriore segno di debolezza. Proprio mentre ci vorrebbe forza e compattezza per indicare al "paese mutilato" un'alternativa concreta. La Serbia può digerire con il tempo il boccone amaro (ma meritato) del Kossovo indipendente solo se vedrà che l'alternativa a un nazionalismo rancoroso e asfittico è una nuova strada di prosperità. Questa strada porta da Belgrado a Bruxelles. E passa per Zagabria e Lubiana. L'esempio dei vicini ex nemici. E la buona volontà dell'Unione. Facciamo in modo che Belgrado possa volersi bene, una volta tanto. Faremmo del bene anche a noi stessi.