domenica, febbraio 17, 2008
The Cure, il concerto
Robert Smith era in forma straordinaria. Sarà stato questo Velodrom splendido e zeppo come un uovo. Sarà stato che fuori, una volta tanto, la temperatura era sotto zero e nessuno aveva voglia di uscire. Sarà stato che - ancora, una volta tanto - i berlinesi sembravano impazziti come un pubblico mediterraneo. Sarà stato chissà che, ma io uno che suona e canta per tre ore e mezzo, ad un concerto, non l'avevo mai visto. Via gli sparring partners, arrivano sulla scena The Cure. Manca un quarto alle nove, loro partono freddi e sparati con le sonorità alternative-rock che segnano l'ultima stagione della lunghissima storia del gruppo. Rispetto ai componenti degli inizi c'è in verità solo lui, Robert Smith, gli altri sono tutti nuovi e questo spiega anche la capacità del gruppo di rinnovarsi continuamente, senza restare aggrappato alle mode. Chitarre elettriche a tutto volume e la voce di Smith straordinaria, come sempre, anzi visti gli anni che passano verrebbe da dire più di sempre.
Il Velodrom è gremito e la generazione degli anni Ottanta è numerosa e ben rappresentata, con gli immancabili fan-nostalgia asserragliati nel look dark-gothic, riesumato per l'occasione. I capelli sono bianchi - i loro - fanno un po' tenerezza ma in fondo li sento tutti miei fratelli. Smith e i suoi invece concedono poco alla nostalgia, un paio di canzoni, nulla più. Ma la nuova musica è buona, buonissima, l'avevo sentita di sfuggita alla radio, merita tutto lo scatenamento di cui siamo capaci. Si balla, abbiamo deciso di conquistare il "parterre" lasciando gli spalti ai più tiepidi (che si scalderanno nell'ultima ora). Due ore dura il concerto base. Poi la sfilza dei bis. Uno dietro l'altro. Tornano in scena tre volte i Cure, tra gli applausi e le grida sempre più forti. Ricordo il mio primo concerto importante, il tremendo sbarco degli U2 a Roma, nell'afa di fine maggio del 1987, un concerto da schifo, violenza, polizia impreparata, organizzazione da denuncia penale, uno stadio Flaminio che grida ancora vendetta. E loro, i ribelli degli slums di Dublino, che la tirano lunga per un'ora, tutta grazia ricevuta.
Qui i Cure sembrano mettercela tutta per convincerci che sono una band che ha ancora cose da dire. Il ricordo del passato appartiene tutto agli ultimi due bis. E' musica dolce che fa bene ai ricordi e loro continuano ad alternarla alla produzione più recente. Invecchiano con noi, ma come noi non restano prigionieri degli anni che sono passati. E' la lezione dei Cure. Chi li ama li segua. Anche oggi che sono lontani da "Kiss me, kiss me, kiss me".