lunedì, dicembre 22, 2008
domenica, dicembre 07, 2008
In giro per l'Europa
sabato, dicembre 06, 2008
Questioni morali
venerdì, dicembre 05, 2008
Davide contro Golia all'Allianz Arena
Staufen, l'ecologia e il ritorno di Faust
giovedì, dicembre 04, 2008
La nuova Berlino e il castello di Franco Stella
mercoledì, dicembre 03, 2008
Ci facciamo sempre riconoscere
Italienisch für Ausländer: Ilaria Party
Mamma li turchi: l'Hertha in trasferta a Berlino
Nevica di brutto, ma l'Olympiastadion potrebbe registrare il tutto esaurito, questa sera, per l'incontro di Coppa Uefa Hertha-Galatasaray. Potrebbe. Perché nei chioschi autorizzati alla vendita dei biglietti, compare ancora un cartello: "Noch Karten übrig, Ostkurve, Hertha-Fan Block". Insomma, se qualche ritardatario ci ripensa, qualche biglietto nella curva dei tifosi dell'Hertha lo può ancora rimediare. Nell'altra curva, quella dei tifosi turchi, non c'è posto neppure per uno spillo. Da giorni.
India: le conseguenze sono ancor più terrificanti
martedì, dicembre 02, 2008
Vintage: Hoffenheim, il villaggio della serie A
A Stoccarda la Merkel si riprende il partito
Contrordine compagni (rumeni)
La notte porta scompiglio. Non cambia la forma, cambia la sostanza. La forma: la Romania è proprio come l'Italia, cioè gli exit poll giocano brutti scherzi. La sostanza: i socialisti si svegliano l'indomani senza la vittoria annunciata (anche se la formazione del governo sarebbe stata comunque difficile). Quando alle domande si sono sostituite le schede, il quadro è cambiato, le distanze tra socialisti e conservatori si sono riavvicinate e gli equilibri potrebbero riportare al governo il centrodestra. La chiave del nuovo esecutivo è infatti in mano ai liberali del Pnl che con il loro 18 per cento decideranno le nuove alleanze. A sinistra Pds e Pc si sono attestati al 33 per cento, appena mezzo punto avanti ai conservatori del Pd-l (il trattino non è un errore). Rispetto ai larghi dati della sera precedente, si deve parlare di un testa a testa. E il confronto con la tornata precedente ora addirittura penalizza la sinistra. La delusione del suo leader Mircea Geoana, è palpabile, anche perché gli exit poll seguivano una sgriscia di sondaggi tutta favorevole al suo partito.
Nella legislatura uscente, liberali e conservatori hanno governato assieme, per poi dividersi alle elezioni. La cosa più probabile ora è che tornino assieme: divisi hanno preso ancora più voti. Ora il pallino passa nelle mani del presidente della Repubblica Badescu, che avrà sessanta giorni per sbrogliare la matassa, incaricando il premier in pectore che dovrà avviare le trattative. Tariceanu, leader dei liberali, spera tocchi ancora a lui. La costituzione stabilisce modi e tempi: sessanta giorni e due tentativi. Se lo stallo permane si torna al voto. Potrebbe quindi fermarsi il pendolo della politica rumena dopo anni di continue alternanze, questa volta a destra. Se questo significherà anche stabilità e progresso, saranno i prossimi mesi a dircelo. Approfondimento da: Faz, Nine o' clock, The Right Nation.
lunedì, dicembre 01, 2008
Un problema (anche) di lettori
Il pendolo rumeno premia ora la sinistra
Aggiornamento. Contrordine compagni (rumeni).
Deve essere una nemesi. Una parte degli italiani se la prende con i rumeni, ma i rumeni assomigliano agli italiani sempre di più. Specie in politica. Come a Roma così a Bucarest la transizione sembra non riuscire a trovare un punto di equilibrio. Ad ogni votazione, gli elettori ribaltano i ruoli dei partiti, punendo il governo e premiando l'opposizione. Se alla guida ci sono i socialisti, allora premiano i conservatori. Se è il turno dei conservatori, allora il voto va ai socialisti. E' un'alternanza che non porta benefici con il ricambio del personale governativo e che testimonia semplicemente la delusione per coloro che gestiscono la cosa pubblica. Questa volta tocca vincere alla sinistra, che torna al governo dopo una legislatura (turbolenta anche questa) gestita dalla destra. Un pendolo continuo, in uno dei paesi più difficili dell'Unione Europea che sembra non trovare pace. Il premier uscente, Calin Popescu Teraiceanu, a capo del partito nazional-liberale (l'acronimo, a proposito di similitudini, è Pdl) è stato sconfitto, fermandosi al 30 per cento. Il Pds, il partito socialista, vince con il 35 per cento. Nessuno ha dunque raggiunto la maggioranza assoluta e in realtà la soluzione governativa resta aperta ad ogni possibile combinazione. L'unico dato che non si cancella è quello dei votanti: 39 per cento, il livello più basso da quando nel paese sono state introdotte le elezioni libere. Una cifra che la dice tutta sul livello di disaffezione dei cittadini. Approfondimenti dalla Süddeutsche Zeitung.
sabato, novembre 29, 2008
Hoffenheim-Bayern, settimana di fuoco
venerdì, novembre 28, 2008
Un altro italiano ricostruisce il cuore di Berlino
Chi è capitato a Berlino nei mesi passati avrà avuto modo di vedere la piazza di fianco al Duomo più o meno così, come appare nella foto che ho scattato lo scorso settembre. Una buffa impressione, quasi un'immagine da Berlino post-bellica, quando i bombardamenti aerei avevano consegnato alla città un panorama di macerie. Si tratta degli ultimi resti di quello che fu il Palazzo della Repubblica, la culla del potere politico della Ddr (vi si riuniva l'unanimemente plaudente parlamento) ma anche centro culturale, di concerti, di feste popolari. In questi giorni stanno tirando giù gli ultimi spuntoni. Dicono che l'ultimo sarà domenica. Poi via libera alla ricostruzione del vecchio castello degli Hohenzollern, raso al suolo dalla DDR nel 1951 per motivi politici e con la scusa che era stato danneggiato dai bombardamenti. Non sarà una ricostruzione totale, solo tre delle quattro facciate saranno le stesse, più la cupola. La quarta sarà moderna e l'architetto che ha vinto il concorso farà di testa sua, così come gli spazi interni, che saranno moderni e adibiti a musei e allestimenti culturali. Chi ha vinto? L'architetto prescelto si chiama Francesco Stella, più noto con il diminutivo Franco, vicentino, professore a Genova. Dopo la Potsdamer Platz di Renzo Piano sarà di nuovo un italiano a colmare un vuoto nel cuore della nuova Berlino.
La ricchezza nel mirino
Il mito dell'Hotel Taj Mahal
Voci dall'India ferita: Rasheeda Bhagat
Quindici centimetri di dimensione artistica
Berlino centra Kyoto
giovedì, novembre 27, 2008
Conseguenze geopolitiche dell'attacco in India
Disoccupazione, Germania-Italia 4-3
Francia e Germania, la crisi femminile dei socialisti
martedì, novembre 25, 2008
President-Elect
Spd, se ne va il socialista rompiscatole
Effetti inintenzionali etc. etc: ovvero Wikilinke
Cucù, cucù, la Merkel non c'è più
lunedì, novembre 24, 2008
Lächerlich
Soffrono le economie dell'est
I mercati e le economie dell'Est europeo avevano resistito con una certa disinvoltura alla crisi innescata dallo scoppio della bolla dei mutui americani subprime. Fino a quando, la scorsa estate, non si è abbattuta la scure delle stretta creditizia. Economie più giovani e fragili oltre che il crollo verticale delle quotazioni del petrolio hanno messo in ginocchio l'area - con diversi governi che hanno chiesto il sostegno di Ue, Banca Mondiale e Fmi (Ungheria e Ucraina su tutti, con 116,4 e 25,1 miliardi di euro rispettivamente) - e naturalmente anche le Borse [di Alberto Annicchiarico, continua su il Sole 24 Ore].
Il Natale della crisi
domenica, novembre 23, 2008
Cem Özdemir, il pragmatismo multikulti dei Grünen
L’Obama tedesco si chiama Cem Özdemir e non ha genitori che vengono dall’Africa. Più naturalmente, trattandosi di Germania, vengono dalla Turchia, da quella vasta e povera area interna che da anni fornisce braccia operaie alla florida industria tedesca e oggi spesso turba i sonni di parte del mondo politico: l’Anatolia. Non è neppure diventato il presidente del più potente paese del mondo ma più prosaicamente il co-presidente del partito dei Verdi, seppur nello stato più importante d’Europa. Non è poco.
Özdemir è nato a Bad Urach, in Svevia, ha quarantadue anni, cinque in meno di Obama ma incarna a suo modo quel salto generazionale che ormai preme alle porte anche della politica tedesca e che i Verdi, come tradizione, hanno in parte anticipato, affiancando alle figure storiche del partito (Claudia Roth, co-presidente confermata, Renate Künast e Jürgen Trittin candidati di vertice per le elezioni politiche del prossimo anno) questo giovane figlio di emigrati nella cabina di regia del partito.
A parte uno spiritoso titolo del quotidiano berlinese Tagesspiegel che gioca con il suo nome (“Yes we Cem”) le analogie con Obama finiscono qui. Il resto è tutto nelle mani di Özdemir, ex pupillo di un altro padre nobile del partito, Joschka Fischer. Non è stata semplice la sua elezione alla prima carica dei Verdi: non era lui la prima scelta ed è toccato a lui solo perché i candidati più accreditati hanno rinunciato. Non avrà neppure compito facile, stretto tra i vecchi dirigenti, personalità di grande impatto che certamente gli ruberanno la scena. A lui spetta un ruolo più oscuro, di organizzatore e di mediatore fra le diverse anime del partito: dovrà provare a ricondurre a unità le tendenze a volte indipendentiste delle varie sezioni regionali, tremendamente gelose della loro autonomia e poco propense a farsi governare dal centro.
E tuttavia questo turco-tedesco dalla faccia allungata, dalle basette pronunciate, che assomiglia a un Elvis Presley arrivato fuori tempo massimo, potrebbe ribaltare il ruolo da fochista che gli viene preannunciato. Giovane di belle speranze non lo è più. Quando nel 1994 venne alla ribalta della scena politica nazionale, eletto deputato nella sua regione del Baden-Württemberg, aveva solo 28 anni e un futuro davanti a sé. Amato e coccolato da tv e giornali, ove compariva sciorinando la sua brillante parlantina, sembrò giocarsi quel futuro inciampando in un paio di scandaletti: un credito a tassi vantaggiosi ricevuto da un consulente di pubbliche relazioni e l’utilizzo per viaggi privati dei bonus aerei ottenuti con viaggi di servizio (peccato che costò anche al postcomunista Gysi, oggi uno dei due leader della Linke, la poltrona di assessore all’Economia del Senato berlinese).
Si eclissò per un po’ di tempo, prima facendo il ricercatore negli Stati Uniti, nel German Marshall Fund, il think tank di Washington specializzato nella cura dei rapporti transatlantici, poi rientrando in politica dalla porta secondaria (si fa per dire) del Parlamento europeo: oggi è ancora eurodeputato, anche se ormai di nuovo abile e arruolato per la politica interna. Nel frattempo ha pubblicato anche un libro di successo sulla Turchia, raccontando ai tedeschi, in maggioranza contrari all’ingresso di Ankara nell’Ue, ma anche ai turco-tedeschi, che del paese dei loro avi hanno una visione idealizzata, la complessità e le potenzialità della Turchia moderna.
Nell’arena politica tedesca si riaffaccia con qualche idea nuova, tenuta un po’ in sordina nel lungo e difficile cammino che lo ha portato al vertice del partito, nel timore di scatenare dibattiti e di fare ancora un passo falso. Da lui ci si attende un ulteriore passo verso un partito meno ideologico e più pragmatico. Le sue idee sull’ecologia sono eterodosse rispetto al canovaccio storico deiGrünen: in estate si era pronunciato per una visione realista della questione energetica, non escludendo l’ipotesi di appoggiare la costruzione di centrali a carbone pulito per rendere credibile la prevista fuoriuscita dal nucleare entro il 2021. Ma proprio la settimana scorsa i Verdi hanno rispolverato il movimentismo di un tempo, partecipando in massa al blocco dei treni contenenti scorie radioattive francesi dirette al deposito di Gorleben, in Bassa Sassonia.
Tuttavia, il giorno dopo la sua nomina Özdemir è sembrato avere le idee chiare sul tema che già manda in fibrillazione la politica tedesca: quello delle alleanze. L’affermarsi di uno schema pentapartitico nel paese (ai tradizionali partiti di massa Cdu e Spd e alle formazioni dei liberali e Verdi ora si è aggiunta quella della sinistra radicale, la Linke) impone la ricerca di alleanze inedite rispetto agli equilibri passati e offre alle due formazioni più centriste (liberali e Verdi, questi ultimi irrobustiti negli ultimi tempi dal voto borghese) l’opportunità di essere l’ago della bilancia in coalizioni di colore differente. Per restare al caso dei Verdi, sta ormai facendo scuola il laboratorio di Amburgo, dove gli ecologisti governano con il centrodestra. E Özdemir non si è fatto sfuggire l’occasione per dichiarare di guardare anche a destra: nessun pregiudizio per una coalizione nero-verde o Giamaica (in Germania va di moda rappresentare i governi con i colori dei partiti e la Giamaica si riferisce al giallo dei liberali, al nero della Cdu e al verde degli ecologisti) anche a livello federale.
E’ troppo presto per dire se il 2009 sarà l’anno della grande svolta per i Verdi. E tuttavia con un quadro politico in movimento e con la prospettiva dell’abbandono della classe dirigente sessantottina dopo l’ultima battaglia, potrebbe spettare proprio all’Obama tedesco il compito di completare il cambio generazionale del partito, fornendogli quella veste pragmatica nuova che gli elettori di più recente acquisizione sembrano apprezzare.