(Il Palast der Republik nel 2004: qui verrà ricostruito il Castello; fotowalkingclass)
Dopo la Potsdamer Platz ridisegnata da Renzo Piano, sarà dunque un altro architetto italiano a ricostruire un pezzo della Berlino che fu. Questa volta tocca a Franco Stella, vicentino, al quale una giuria composta da architetti e politici tedeschi ha affidato, la scorsa settimana, il compito di rimettere in piedi il vecchio castello degli Hohenzoellern, al centro della città, nello spazio compreso fra il Duomo, l’Altes Museum di Schinkel, il fiume Sprea e la Unter den Linden, il grande viale berlinese che ricorda i Campi Elisi parigini e che corre dalla Porta di Brandeburgo verso questo immenso piazzale oggi vuoto.
Si tratta del cuore storico della capitale, l’ennesimo vuoto apertosi dopo le tante ferite del Novecento che segnano la storia e l’urbanistica di Berlino. Ed è un riconoscimento alla creatività e alla progettualità italiana da parte di una città divenuta il laboratorio urbanistico della nuova Europa. Il progetto di Stella deve aver messo tutti d’accordo, ponendo fine a una polemica infinita che si trascinava avanti da quasi venti anni, quando il facoltoso commerciante amburghese Wilhelm von Boddien si fece promotore dell’idea, allora considerata poco più di una boutade, di rimettere in piedi il castello dei principi e dei Kaiser, abbattuto dopo cinque secoli di onorata carriera dalle ruspe del regime comunista.
Danneggiato dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, lo Stadtschloss, il “castello di città” – questa la sua esatta denominazione – rimase intrappolato nel settore sovietico della Berlino divisa. Poteva essere restaurato ma venne invece completamente raso al suolo nel 1951, tra le proteste della comunità internazionale, in nome della nuova urbanistica real-socialista. Sebbene già dopo la rivoluzione del 1918 non fosse più residenza del Kaiser, il castello andava abbattuto perché l’aristocrazia prussiana degli Hohenzollern ricordava il tragico passato imperialista e guerrafondaio. Le cariche di esplosivo fecero giustizia di quelle meste mura, lasciando spazio ai metri cubi di cemento della nuova era comunista.
Sulle macerie di un tempo che andava cancellato venne innalzato il nuovo Palazzo della Repubblica, squadrato esempio del razionalismo socialista, per quarant’anni sede dei congressi unanimi del parlamento, di concerti, di appuntamenti culturali, di feste e balli popolari, cui venivano invitati funzionari e burocrati di partito, sindacalisti ossequiosi, eroi del lavoro, cittadini meritevoli. Questo nelle sale interne. Fuori, sul vasto piazzale, sfilavano le figurine classiche del regime, i soldati e i loro carri armati, i lavoratori delle industrie pesanti, le giovani fanciulle con le messi dorate raccolte dai campi, i giovanissimi con il fazzoletto azzurro dell’associazione giovanile di partito al collo, la Freie Deutsche Jugend, forgiata sul modello della tanto vituperata Hitlerjugend. Il Primo Maggio, la festa della Repubblica popolare, le parate militari davanti agli ospiti del Patto di Varsavia, gli anniversari della Rivoluzione d’ottobre: tutto il calendario celebrativo dell’universo comunista. Su quella piazza, di fronte a quel palazzo, si consumò anche l’ultimo atto della Ddr, con Gorbaciov e Honecker che salutavano senza guardarsi i soldati che sfilavano in occasione dei quarant’anni della Germania est, a pochi giorni dalla caduta del Muro e mentre i contestatori premevano sui cordoni di sicurezza della Volkspolizei.
Dunque, per il sogno di von Boddien c’era un ostacolo: il Palazzo della Repubblica. A suo modo un altro pezzo di storia, memoria contro memoria in una città che dopo la riunificazione stava cancellando i simboli dell’ennesimo regime appena caduto: forse con troppa fretta e con un po’ di arroganza, come avrebbe dimostrato l’inatteso fenomeno della Ostalgie. Tra le indecisioni e i litigi della politica, i veti incrociati del Senato della città e del governo federale, fu il Palazzo stesso a fornire la soluzione, sprigionando dalle sue giunture il veleno dell’amianto che lo condannò all’abbattimento sicuro. Nel frattempo i fautori della ricostruzione si erano organizzati in fondazione, al commerciante anseatico non mancavano spirito d’iniziativa e gusto dell’avventura. Nel 1993 trenta artisti parigini guidati da Catherine Feff dipinsero su un enorme telone di plastica il castello così come era e come lo avrebbe voluto ricostruire von Boddien: fu uno straordinario colpo d’occhio e da quel momento la boutade divenne progetto concreto.
Può sembrare strano che in una città così tumultuosa come Berlino le decisioni vengano prese con così tanta lentezza, ma le polemiche sono un po’ il sale di questa nuova capitale europea. Così ci sono voluti altri quattordici anni perché il governo avocasse a sé la decisione, trovasse i finanziamenti e desse il via al progetto.
Ora, dunque, tocca ancora una volta a un italiano. Franco Stella dovrà abbandonare per un po’ di tempo i suoi corsi di progettazione architettonica all’Università di Genova e tuffarsi a capofitto nella realizzazione dell’opera. Non si tratterà però di un vero e proprio castello perché i tempi non sono più quelli delle fiabe, dei principi e delle dame di corte. Le indicazioni del Bundestag sono precise: la struttura sarà un grande contenitore culturale, divisa in spazi ampi e moderni e solo tre delle quattro facciate replicheranno perfettamente il castello così come era. La quarta, quella che si affaccia sul lungofiume, è stata lasciata alla libera interpretazione dell’architetto e Stella sembra essersi ispirato al palazzo della Civiltà del Lavoro dell’Eur, a Roma, sviluppando la successione di archi in orizzontale invece che in verticale. Un bel colpo d’occhio.
Il complesso si chiamerà Humboldt-Forum e verrà affidato alle cure della omonima e vicina università. Stella si prepara a riempire i quarantamila metri quadrati dell’area. Fuori dalla sala della giuria che gli ha consegnato un premio di 100mila euro si sprecano i commenti positivi di politici e architetti: “Un progetto perfetto e geniale, un compromesso fantastico di antico e moderno”. Era dai tempi di Renzo Piano che un italiano non veniva avvolto da tanto entusiasmo qui a Berlino. Domenica scorsa è calato l’ultimo colpo di piccone sui resti del Palazzo di Honecker. Il castello della cultura di Stella sarà pronto nel 2013.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 4 dicembre 2008)