(diretta Phoenix del Cdu Parteitag di Stoccarda)
Non c’è nulla di meglio dell’arena di un congresso quando si è per la prima volta sulla graticola delle critiche. Quando la crisi economica impone sfide straordinarie. Quando i giornali influenti d’Europa smettono di esaltarti e si chiedono cosa ti stia accadendo. Quando l’insicurezza e i dubbi s’insinuanno nelle fila del tuo stesso partito, fra i militanti, e alimentano la fronda dell’opposizione interna. Quando la stampa del tuo paese pensa di scoprire che il re è nudo, anzi la regina: Merkel scoraggiata, il crepuscolo della Merkel, Merkel cercasi urgentemente. In successione sono titoli dello Spiegel, della Zeit e della Süddeutsche Zeitung. Allora non c’è nulla di meglio dell’arena di un congresso, del tuo congresso. Delegati stretti in fila dietro i banconi, il gotha della Cdu a fianco sul tavolo della presidenza, i giornalisti scettici raccolti nello spazio stampa, le telecamere collegate in diretta con le tv all-news. E dietro quelle telecamere, l’intero paese.
E’ allora che tiri fuori la grinta che ti accusano d’aver perso. In quel momento lasci da parte lo spartito ordinario, guardi diritto negli occhi i militanti e il paese e provi a sparigliare le carte. Angela Merkel ci è riuscita, nel discorso che ieri ha aperto il Parteitag della Cdu-Csu a Stoccarda, mescolando fermezza e aperture. Dopo settimane di appannamento, la cancelliera è tornata sulla scena con un discorso duro ed efficace, ma soprattutto sentito e vibrante. Non sono corde caratteristiche del suo stile. La cancelliera ama i toni soffusi, l’approccio diplomatico, la retorica piatta e descrittiva. Ma ieri, con gli occhi dei delegati puntati addosso, ha tirato fuori quello che le si chiedeva: il sentimento. E così ha ricompattato il partito, ottenendo la riconferma alla guida con oltre il 94 per cento dei voti, quasi due punti percentuali in più del plebiscito ottenuto due anni fa. Segreteria confermata e rafforzata, ma i contrasti rimangono.
La contesa con i contestatori, che sembrano aver trovato nel liberista Merz il proprio alfiere, verte su una delle misure da prendere per allentare la crisi, soprattutto quella che attanaglia il ceto medio, bacino elettorale del centrodestra: il taglio delle tasse. La Merkel non vuole sentirne parlare, almeno fino alla fine della legislatura. Ma una parte del partito pensa che sia la soluzione giusta per sostenere i consumi ed evitare che la spirale depressiva ingolfi i motori del commercio e dell’industria, più di quanto sia già lecito temere. La cancelliera promette una più vasta riforma del sistema tributario dopo le elezioni del prossimo settembre e intende farne un cavallo di battaglia della campagna elettorale: teme che un taglio una tantum non servirà a lenire i disagi e possa pregiudicare gli equilibri di bilancio. I cristiano-sociali bavaresi puntano i piedi e temono invece che nella prossima legislatura possa essere troppo tardi.
Le inquietudini legate alla crisi si moltiplicano a seconda delle sensibilità regionali, così forti nei partiti tedeschi che replicano anche a livello organizzativo la struttura federale dello Stato. Così dai Länder che ospitano le grandi case automobilistiche giungono stimoli a intervenire con sostegni economici per salvare le industrie e i posti di lavoro, da quelli che puntano sui macchinari arriva la richiesta di non lesinare denaro per gli investimenti. Da quelli più poveri dell’est (Berlino compresa) giungono proposte per irrobustire i sussidi di disoccupazione. Una coperta sempre troppo corta per le esigenze di una società divenuta estremamente frastagliata. E il governo deve provare a farsi carico di tutto, cercando tuttavia di non disperdere in mille rivoli gli interventi possibili.
La Merkel è costretta a fare il parafulmine. All’accusa di aver dato soldi alle banche, negandoli alle famiglie, la cancelliera ribatte fiera: sostenendo le banche abbiamo difeso i risparmi dei cittadini. Ma non basta, quando la crisi si trasforma in un buco nero che inghiotte il futuro, non basta neppure mettere in fila i successi fin qui ottenuti. Ora la Merkel sembra averlo capito. Sul punto delicato del taglio delle tasse offre anche una velata apertura: il governo monitora quotidianamente la situazione e se ci saranno motivi gravi per intervenire, lo farà tempestivamente e senza escludere qualsiasi opzione. La via maestra resta quella della riforma nella nuova legislatura ma in quel “qualsiasi opzione” c’è il compromesso trovato con gli oppositori in questo difficile congresso.
Se la cancelliera sarà riuscita oltre a ricompattare il partito anche a convincerlo, si vedrà nelle prossime battute. Di certo i delegati hanno seguito col fiato sospeso il suo discorso sull’economia, ma il primo applauso è partito solo quando la Merkel ha affrontato gli argomenti più squisitamente politici, attaccando gli alleati attuali della Grosse Koalition (l’Spd) che saranno i principali avversari della campagna elettorale e la Linke. Lì ha avuto gioco facile, mettendo in evidenza le contraddizioni dei socialdemocratici e paventando il pericolo di un governo con gli ex-comunisti, che la cancelliera considera una catastrofe per il futuro del paese.
Anche la Cdu ha però i suoi problemi. La piattaforma sociale, su cui la cancelliera ha portato quasi tutto il partito, lascia scoperta a destra l’area più tradizionalista e quella liberista. E la conquista del centro, anche di molti elettori socialdemocratici delusi dal proprio partito e rassicurati dal moderatismo della nuova Cdu, viene pagata con la disaffezione degli ambienti imprenditoriali. E’ qui che Merz ha trovato lo spazio per ritagliarsi un chiaro ruolo di oppositore al di là della votazione finale.
Poi c’è l’incognita dei Freie Wähler, le liste civiche che cavalcano lo scontento per la politica tradizionale e le sensibilità locali. In Baviera hanno dimostrato di poter essere una spina nel fianco della Cdu e i suoi sparpagliati leader promettono di rinsaldare le fila per tentare lo sbarco a livello federale: il vento del populismo spira in tutta Europa e può invadere anche la Germania. Ecco perché il congresso di Stoccarda è un passaggio importante. Ora la Cdu può presentarsi come l’unica grande forza che, nonostante i contrasti interni, è capace di rappresentare un punto di aggregazione rispetto a un panorama partitico che si frantuma. Una boa sicura alla quale aggrapparsi anche al tempo della crisi.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 2 dicembre 2008)