mercoledì, aprile 30, 2008
Non prendete quel treno-aereo
Non prendete quell'autobus (tanto non c'è)
martedì, aprile 29, 2008
Diciamo
L'Alemanno spiegato agli Alemanni
Premiere Dame
L'ultimo volo di Tempelhof
Il pasticciaccio brutto degli 007 tedeschi
Ma anche
lunedì, aprile 28, 2008
E' Berlino a insegnarci come si fa una capitale
E però, davanti a quel surrogato i turisti fanno ressa e scattano foto. Non è manco facile arrivarci. Prendi la S-Bahn, la metropolitana di superficie e arrivi all’Ostbahnhof, in quella che era la stazione centrale di Berlino Est. Ti svincoli dall’ennesimo centro commerciale, superi chioschi di succhi di frutta biologica e currywurst, non ti lasci tentare dall’iper-moderno palazzetto dello sport non ancora inaugurato ma già sponsorizzato e t’infili per un vialone lungo e spazioso che un po’ ricorda i vecchi scenari della guerra fredda resi celebri da tanti film di spionaggio. Lì si trova l’East Side Gallery.
Fu l’invenzione di un mattacchione, al quale non sembrava vero che Berlino volesse fare a meno del suo Muro. Salvò dai bulldozer una ventina di lastroni, di quelli bianchi e immacolati che si trovavano sul lato orientale, e chiamò artisti aspiranti e affermati per rifare quello che si faceva sul lato occidentale: disegni e graffiti, un monumento anarchico alla libertà e alla pace. Qui ci hanno portato anche Gorbaciov, quando un anno fa, melanconico ma evidentemente allettato dal caché, ha girato la pubblicità della Luis Vitton, stretto sui sedili posteriori di una Mercedes nera, con la borsa griffata al fianco e il surrogato del Muro che sfilava dai finestrini. Sembrava una scena girata da Leni Riefenstahl, con l’ultimo segretario del Pcus al posto del Führer.
Oggi c’è l’audioguida. Klaus Wowereit (il sindaco, ne sentirete parlare fra qualche anno perché ha legittime ambizioni da cancelliere) l’ha presentata con grande enfasi. E’ una specie di telefonino gps che parla in tedesco o in inglese. Qui c’era il Checkpoint Charlie, lì spararono alle spalle dei fuggitivi, qua era la terra di nessuno, là le torrette di avvistamento. Sul display compaiono vecchi filmati. Ma bisogna immaginarselo il Muro, se non si è fatto in tempo a vederlo dal vivo, mentre altri gruppi turistici in bici e a piedi scorazzano a destra e a sinistra per la strada lungo il vecchio confine.
Berlino però è fatta così. E’ sempre stata così. Maciulla tutto nell’irresistibile frenesia del cambiamento. Velocità, innanzitutto. Come piaceva alla truppa di irrequieti futuristi italiani sbarcata sulla Sprea negli anni Venti del secolo scorso. Gli sarebbe piaciuta pure oggi, con i palazzi venuti su in soli cinque anni, la Friedrichstrasse tirata a lucido, la Potsdamer Platz di Renzo Piano e il Sony Center di Murphy e Jahn, la cupola di vetro e acciaio del Reichstag di Norman Foster che si avvita verso il cielo come il guscio trasparente di una lumaca, la Porta di Brandeburgo circondata dagli esperimenti architettonici della Pariser Platz. Un poema parolibero, come scriveva a quei tempi Filippo Tommaso Marinetti: “La Potsdamer Platz di Berlino era già trent’anni fa un palpitante poema parolibero col suo meccanizzato Polizei distributore di direzioni e lasciacorrere semaforico dominatore di queste correnti”. Correnti di traffico, di auto, di bus, di persone gestiti dal “lasciacorrere semaforico” che un fremito di nostalgia ha fatto ricostruire e piazzare lì dove era prima della guerra e delle bombe: sulla Potsdamer Platz.
E’ lontana la Roma sonnolenta e piaciona di Rutelli e Veltroni. Marinetti lo notava già negli anni Venti: “Lodo Berlino perché vorrei che si favorisse in tutti i modi la modernizzazione di Roma”. Sono passati diciotto anni dalla caduta del Muro e nel frattempo la rete di trasporto pubblico è stata rimessa tutta in funzione, ricollegando l’est all’ovest, con le linee metropolitane sotterranee e di superficie e i tram, e tutto si muove senza sosta, giorno e notte, collegando qualsiasi punto della città. A Roma, nello stesso lasso di tempo, Rutelli ha realizzato la linea 8 del tram. Una buona cosa. Una.
E intanto a Berlino i simboli della riunificazione già passano di mano. Il complesso della Potsdamer Platz e il centro della Sony sono stati messi in vendita. Le società che li hanno costruiti, Daimler e Sony, ripiegano sul tradizionale cor-business e abbandonano il mercato immobiliare scosso dalla crisi americana. Ma altri comprano. Colossi che poggiano sulle fondamenta solide dell’economia scandinava, come la Seb-Bank svedese o istituzioni dell’era globale, come la banca d’affari newyorkese Stanley Morgan, che scoprono l’attrazione di una metropoli a prezzi stracciati ma strategicamente decisiva per le sorti dell’Europa. Quella di oggi, non di domani. Berlino al centro del Continente, cerniera della Vecchia e della Nuova Europa. A metà strada fra Mosca e Parigi, leggendo la mappa da destra a sinistra, fra Stoccolma e Madrid, guardandola da sopra a sotto. Era la scommessa dell’Ottantanove. Ora è divenuta una realtà. Anche demografica.
La composizione geografica degli abitanti si è ulteriormente frastagliata. Prima c’eravamo noi, gli italiani emigrati tra i Cinquanta e i Sessanta. Poi sono arrivati i turchi, in massa. E un po’ di arabi e di sudamericani in fuga dalla miseria e dalle dittature, oltre ai fricchettoni di tutto il mondo e di tutta la Germania: vivere a Berlino, all’ombra del Muro, esentava dal servizio militare tedesco. Ma da quando l’oriente europeo s’è scongelato, s’è aperta la diga: polacchi, russi, baltici, cechi e slovacchi, bulgari e rumeni e poi tutti quelli in fuga dalla premiata macelleria balcanica degli anni Novanta. La buona novella è che, più o meno, si riesce a convivere. Il “Carnevale delle culture”, una sorta di allegra sagra paesana che anima di concerti e carri allegorici il maggio di Kreuzberg, sintetizza il melting pot berlinese, fatto di inevitabile politically correct e buonismo ma anche di integrazione vera, cose concrete come casa e lavoro, ordine e disciplina, certezza della pena per chi sgarra ma tolleranza e accoglienza per chi sceglie Berlino per reinventarsi una vita. In fondo si chiamano politiche pubbliche, un termine che da noi sembra passato di moda.
La Russendisko (una specie di movida moscovita fatta di suoni e letteratura e vita mondana) è nata in uno scantinato del quartiere Mitte, il Caffè Burger, ritrovo dell’immigrazione polacca poi preso in gestione dal genio furbo di Wladimir Kaminer, dj e romanziere, affabulatore e ruffiano, che ha saputo radunare attorno a questo locale intellettuali e musicisti della diaspora russa, facendo rivivere l’ambiente artistico russo-berlinese dei tempi di Nabokov. Dall’Est più vicino non arrivano solo le badanti e le colf. Varsavia offre anche cultura e il festival “Film Polska” esibisce una volta all’anno il meglio del cinema underground polacco. I Paesi Baltici si presentano con la loro “Settimana Baltica” fra concerti di musica classica e mostre pittoriche. E alle note del compositore George Enescu si affida il centro di cultura di Bucarest per offrire del proprio paese l’immagine migliore possibile. Viene lo sconforto a pensare che la cultura rumena a Roma si perda nella barbarie dei campi nomadi, simbolo di una politica di integrazione che non conosce né accoglienza né fermezza. Così Berlino viaggia spedita nel suo piccolo secolo europeo. L’Europa Vecchia e Nuova non sarà più al centro del mondo ma resta un angolo importante. Per la storia ma anche per la sua diplomazia politica e soprattutto per la sua economia e la sua moneta. La capitale tedesca ne occupa stabilmente il centro.
Ovviamente non è tutto oro quello che luccica. E mentre i turisti sui battelli che navigano sulla Sprea restano ammirati quando attraversano il modernissimo quartiere governativo, ad Est, nei quartieri periferici dove dominano i casermoni, ci si chiede ancora se ne sia valsa la pena di buttare giù quel Muro. In diciott'anni, anche qui la musica è cambiata. Quei casermoni sono stati rimessi a nuovo, risanati e riverniciati nelle facciate di colori brillanti, di modo che quando c’è il sole sembra quasi di stare a Disneyland e non ai confini del Brandeburgo. E ad accrescere la sensazione del luna park ci sono nuovi centri commerciali di periferia, non belli ed eleganti come quelli del centro, si capisce, ma insomma anche qui il capitalismo ha provato a far sentire il suo benessere, anche se in versione un po’ stracciona.
Ma funziona poco. Le giornate grigie e piovose sono ancora più numerose di quelle assolate e l’arcobaleno posticcio dei palazzi non riesce a mistificare la realtà. Berlino ama raccontarsi al ritmo dei suoi film. Messi in archivio i tempi frenetici di Lola rennt o quelli nostalgici di Goodbye Lenin, l’ultima stagione ha decretato il successo di Du bist nicht Allein, che già dal titolo la dice lunga: non sei solo. Una commedia sentimentale e drammatica nella quale il protagonista, un operaio disoccupato che vive in un casermone alla periferia di Berlino Est, disperde le proprie illusioni in un rapporto impossibile e patetico con una giovane immigrata russa, vicina di casa, che non ricambia la passione. Il film suggerisce una speranza nel malinconico finale: la moglie dell’operaio ha ottenuto un lavoro e quando scopre lo smarrimento di suo marito, la compassione prevale sulla rabbia. I due si separano: lei resta a Berlino con il suo stipendio, il marito ormai ex cercherà in Olanda il lavoro e l’equilibrio perduto. Ma fuori dallo schermo, la vita resta dura e le speranze tramontano nel voto agli ex comunisti della Linke o nelle randellate affibbiate agli stranieri dalle bande vigliacche dei naziskin.
Violenza urbana, appunto. E non solo nei quartieri disperati dell’Est. A Ovest, l’immigrazione che non si integra ingrossa e sposta i mercati della droga. Negli ultimi anni alcune zone del quartiere di Neukölln hanno conosciuto il fiato marcio del degrado e il crollo del valore degli immobili: qui, nel milleduecento, si insediarono i primi coloni che diedero vita a Berlino. Ottocento anni dopo, chi può, vende e va via. E come nei quartieri malfamati delle città mediterranee, i conducenti degli autobus hanno paura a circolare di notte: le cronache cittadine riportano sempre più atti di violenza e vandalismo. E il bullismo degli adolescenti. E le gare alcoliche, fino a stordirsi. E le mamme che uccidono i propri figli, segno che la solitudine, anche in una città organizzata dove una donna trova sempre un consultorio aperto, può non riservare vie d’uscita.
Tracce di cronaca che aiutano a farsi un quadro più chiaro. A illuminare le zone d’ombra di una città di successo. La capitale di un Paese che non ha abdicato all’impegno di fare dei propri abitanti una comunità plurale ma che poi è costretta a misurare ogni giorno la distanza che resta da compiere.
(Pubblicato sul Secolo d'Italia del 27 aprile 2008)
domenica, aprile 27, 2008
Tempelhof, l'ultimo volo è atterrato
Il referendum aveva valore consultivo, dunque coloro che hanno perso promettono ancora battaglia, forti del 60 per cento di "sì" tra coloro che si sono recati a votare. Tuttavia il risultato generale è chiaro (referendum fallito) e si somma alla decisione già presa dal Senato cittadino di chiudere lo storico aeroporto. Difficilmente Wowereit sarebbe tornato indietro, anche in caso di vittoria dei sì. Sarà impossibile che lo faccia adesso. Con molta probabilità, ad ottobre si chiude. Saranno invece da valutare le conseguenze del fallimento referendario per la Cdu, che negli ultimi tempi si era schierata a favore del mantenimento e soprattutto per Angela Merkel che si era spesa direttamente per il sì. E sarà interessante osservare il voto dei quartieri, e quello tra Est e Ovest. L'aeroporto di Tempelhof era atato quello del ponte aereo. Una vicenda che Est e Ovest aveva vissuto sotto opposte propagande e punti di vista. Oggi era visibile la differenza tra le due metà della città: seggi affollati nei quartieri occidentali, praticamente il deserto nei seggi orientali. Berlino resta una città spaccata a metà, diciotto anni dopo la caduta del Muro. Ne parleremo nei prossimi post.
sabato, aprile 26, 2008
La domenica di Tempelhof
Piccola (e ulteriore) rassegna stampa sull'argomento: Tagesspiegel, Berliner Morgenpost, Taz, Berliner Zeitung.
L'Islanda dei libri a Francoforte nel 2011
L'anno di Sarkozy e il futuro di Tempelhof
Ad Amburgo i Verdi si alleano col centrodestra
Alla fine sono arrivati i sondaggi e la benedizione del padre nobile dell’ecologismo tedesco Joschka Fischer a confortare in Germania il primo governo fra centrodestra e verdi a livello regionale. Ad Amburgo il borgomastro cristiano-democratico Ole von Beust potrà fare ancora affidamento sulla tradizionale luna di miele con gli elettori, nonostante per niente tradizionale sia l’esecutivo che guiderà. Secondo la rete televisiva Zdf, il 52 per cento dei tedeschi approva l’alleanza “nero-verde”, contro il 19 per cento dei contrari e il 26 degli agnostici. La curiosità è che i più entusiasti si ritrovano fra i simpatizzanti dei verdi più che tra quelli della Cdu. Il favore popolare può essere dunque considerato di buon auspicio per un’approfondimento dell’alleanza a livello nazionale.
E l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer, che dopo l’esperienza di governo ha (forse temporaneamente) abbandonato la politica per l’insegnamento, ha commentato nella sua rubrica settimanale sull’edizione online della Zeit: “Nonostante le smentite, l’opzione nazionale di una coalizione Giamaica tra centrodestra e verdi aperta anche ai liberali resta aperta. Mai dire mai”.
I dirigenti dei due partiti minimizzano e confinano l’esperimento al solo livello regionale. Finora, la strana alleanza aveva conosciuto solo piccole fortune a livello comunale, o in qualche circoscrizione, come quella pur importante di Zehlendorf a Berlino. Ma per un parlamento regionale, quale quello di Amburgo che è città-Stato, è assolutamente una primizia. E dopo Amburgo potrebbe essere il turno dell’Assia, la regione di Wiesbaden e Francoforte, dove il risultato elettorale di oltre un mese fa ha gettato i partiti nella paralisi e da qualche settimana si è iniziato a parlare di “Jamaika-Koalition”, dal colore delle tre formazioni che potrebbero allearsi: il nero dei cristiano-democratici, il giallo dei liberali e il verde degli ecologisti. I tre colori formano la bandiera giamaicana e l’accostamento esotico affascina elettori e politologi.
La politica tedesca è infatti alla ricerca di nuovi equilibri politici dopo la stabile inclusione nel quadro parlamentare della Linke, una sorta di Sinistra senza arcobaleno ma elettoralmente vincente. E non sono in pochi a ritenere che l’esperimento amburghese possa avere un riflesso nazionale e preludere a una rivoluzione nella storia politica del Paese, paragonabile forse solo al primo governo con un cancelliere socialdemocratico (si trattava di Willy Brandt) nel 1969.
La novità che giunge da Amburgo non è infatti solo nella forma ma anche nella sostanza. E’ nel processo che ha portato all’inedita coalizione. Non si è trattato di una scorciatoia, dettata solo dalla necessità di assicurare un governo alla città. Già prima del voto, anche di fronte a sondaggi che evidenziavano la difficoltà di ricorrere alle tradizionali alleanze politiche (i verdi con i socialdemocratici e i cristianodemocratici con i liberali) il borgomastro uscente Ole von Beust aveva avviato contatti con il gruppo ecologista. E si erano poste le basi per un accordo successivo, qualora i risultati avessero confermato le previsioni. Così è stato e le teste d’uovo dei due gruppi hanno confrontato programmi e proposte in un mese di incontri bilaterali. L’accordo è avvenuto su base programmatica, limando le differenze su molti punti e amalgamando le proposte complessive. Istruzione, asili nido, ruolo strategico del porto, energia e il destino di una storica centrale elettrica cittadina sono stati i temi più controversi. Il programma che ne è scaturito ha un respiro strategico.
Il dibattito ora rimbalza a Berlino, dove oltre al governo nazionale c’è quello locale: qui un’altra alleanza “proibita” – quella tra socialdemocratici e sinistra radicale – governa la capitale, che come Amburgo è città Stato. Se a destra si guarda ai verdi e all’esempio anseatico, a sinistra il nuovo ha paradossalmente il colore rosso della Linke, costituita lo scorso anno dalla convergenza fra i post-comunisti dell’Est e i massimalisti dell’Spd guidati da Oscar Lafontaine. Ma proprio la presenza di quest’ultimo alla leadership del partito – considerato dai suoi ex compagni un traditore desideroso solo di vendetta – rende aspro il confronto. In più l’alleanza con gli ex comunisti non viene vista di buon occhio dalla maggioranza degli elettori, specie nelle vecchie regioni occidentali. La guerra di leadership che sta lacerando l’Spd e le ripetute gaffe nostalgiche verso gli anni del regime della Ddr di alcuni esponenti della Linke rendono il percorso su questo versante della politica piuttosto accidentato.
A destra, invece, la ricerca di nuovi scenari procede con maggiore speditezza, nonostante le prudenze pubbliche di Angela Merkel e Renate Künast, le donne che guidano Cdu e verdi a livello nazionale. La pubblicistica politica ne discute ormai da tempo. Lo scorso mese, il mensile progressista di cultura politica Cicero ha trovato anche il simbolo per la nuova stagione prossima ventura: la “Bionade-Republik”, dal nome della bevanda cult che negli ultimi anni si è imposta sul mercato giovanile tedesco. La Bionade è una sorta di limonata fermentata con il malto, non alcolica, dissetante e prodotta con sistemi biologici, inventata una dozzina di anni fa dal mastro birraio bavarese Dieter Leipold. La politica, si sa, si nutre anche di miti. E tra Giamaica e Bionade, l’alleanza nero-verde sembra averne trovati di accattivanti.
giovedì, aprile 24, 2008
Bioturchia: il Kebab alla moda
Wikipedia di carta, il dibattito
Fantastico Hawking
Stephen Hawking
martedì, aprile 22, 2008
La guerra del fumo
lunedì, aprile 21, 2008
Contenuti
'E' stato un incontro molto simpatico, gli ho detto che rispetto le sue opinioni'. Cosi' il candidato del Pdl a sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha commentato l'incontro avuto questa mattina con Francesco Totti.
17:29 Anche Rutelli in visita da Totti
Dopo Gianni Alemanno, anche Francesco Rutelli va a Villa Stuart a visitare Francesco Totti. "Sono stato a trovare Totti - ha detto il candidato del Pd al Campidoglio - intanto perché lo dovevo ringraziare per la sua affettuosità e per questa amicizia che ha speso per il bene della nostra città. Poi conta il riconoscimento a un grande campione, a un'icona di Roma e a un uomo che ha dimostrato e sta dimostrando di saper fare tanto per tutta la città".
La campagna elettorale capitolina assume contorni ridicoli. Per rimanere in tema, nel periodo non collegato mi era sfuggita la proposta liberale del candidato di sinistra Rutelli sul tema della sicurezza: il braccialetto elettronico alle donne. E' ufficiale: Rutelli è impazzito. Fermatelo.
domenica, aprile 20, 2008
sabato, aprile 19, 2008
Trans Europa Press. Roma chiama Mosca
giovedì, aprile 17, 2008
Fantozzi sarà lei
mercoledì, aprile 16, 2008
Fantozzi
ps. è uscito il sole.
Endorsement
Cri cri... sbang!
Lufthansa bipartisan, Aeroflot da sola
martedì, aprile 15, 2008
Berlusconi alla prova della Merkel
Comunque vada l'Italia stavolta diventa europea
(articolo lungo del 13 aprile)
Se questa campagna elettorale aprirà una fase nuova della politica italiana ce lo dirà il risultato delle urne lunedì prossimo. Se dopo anni di transizione il nostro paese approderà in Europa, ce lo diranno gli elettori. La politica ha fatto quel che doveva e poteva, accelerando la semplificazione di un quadro partitico degenerato nella proliferazione dei cespugli, delle liste personali, delle bandiere che servivano a eleggere notabili che tenevano in scacco questo o quel governo con il ricatto di una manciata di seggi. Stabilire cosa abbia lacerato il governo Prodi – se la continua ostruzione dell’estrema sinistra, la disaffezione del suo elettorato, l’eterogeneità della coalizione, la leadrship testarda e poco duttile – è compito che spetterà ai politologi. Ma che a buttarlo giù concretamente sia bastato il capriccio di qualche senatore espressione di micro-partiti, è un fatto che nessuno può smentire. La Seconda Repubblica è naufragata per eccesso di frammentazione, la Terza, o come si chiamerà, attende lunedì il via libera degli elettori. Che potranno confermare questa svolta innescata dalla politica: dare forza a due grandi partiti contrapposti, il Popolo della libertà e il Partito democratico, omogenei e in grado di governare senza dover mediare all’infinito con posizioni estreme o con interessi particolari.
Una risposta all’antipolitica, pur in presenza di una campagna elettorale per altri versi deludente. Uno scatto in avanti che la politica propone agli elettori per uscire dalla crisi ed entrare in Europa. In fondo, la tensione verso un modello di democrazia più moderna era alla base della svolta del 1994, quattordici anni fa, all’indomani della più grave crisi della storia repubblicana. Il vecchio sistema politico, al di là della questione corruzione, appariva bloccato e incapace di fornire risposte adeguate alle sfide del mondo nuovo, così come si veniva configurando dopo la caduta del Muro di Berlino e dei comunismi est-europei. Un sistema figlio della guerra fredda, che non aveva saputo interpretare e accompagnare dal punto di vista istituzionale le grandi trasformazioni che erano avvenute in Europa, proprio al nostro confine orientale. Il referendum sulla legge elettorale del 1993 fu un grimaldello inserito nel punto più vulnerabile del vecchio sistema politico e fece saltare il vecchio quadro. Sembrò che, dalle macerie dei partiti che avevano fatto la storia dell’Italia repubblicana, potesse venir fuori un equilibrio nuovo, più simile a quello vigente nella maggior parte dei paesi europei. L’Italia, si disse, si avviava a colmare il ritardo accumulato. Si scongelarono le eterne opposizioni, si avviò un processo di revisione ideologica per la destra e per la sinistra e il quadro che ne derivò, nelle prime elezioni della “nuova era” del marzo 1994, era carico di aspettative e speranze. Due coalizioni contrapposte, alternative, un centrodestra e un centrosinistra ancora impigliati nella viscosità di una fase di passaggio, eppure pronte a darsi battaglia, a vincere e a perdere, a governare e ad opporsi, nel nome di un’alternanza di stampo europeo.
Queste le premesse. La storia, poi, ha preso strade oblique e le resistenze al cambiamento sono state tante e tali da ingarbugliare i passaggi successivi. Ancora in questa tornata elettorale, la novità dei contenitori, che dovrà poi essere riempita dall’elaborazione di contenuti più solidi, utili ad offrire una prospettiva al paese e non solo ad affrontare una campagna elettorale, si è scontrata con la rigidità di regole e norme che non tengono il passo. La par condicio, tanto per fare un nome, che ha messo sullo stesso piano partiti destinati a rappresentare quasi metà degli italiani e forze che avranno vissuto il brivido di un’estemporanea avventura elettorale. Tanto che il confronto diretto, che in ogni paese democratico rappresenta il momento più alto dello scontro politico, che incolla milioni di spettatori al piccolo schermo, che consente ai veri candidati di misurarsi direttamente su temi e programmi, noi non lo abbiamo avuto.
Silvio Berlusconi e Walter Veltroni si sono giustamente rifiutati, per evitare di finire nel frullatore delle cento voci e delle cento prepotenze di altri candidati – rispettabilissimi – che avrebbero però presumibilmente colto l’occasione per ricavare visibilità. Delle elezioni francesi ricordiamo tesissimo il dibattito fra Nicolas Sarkozy e Ségolène Royal. In Spagna quello più pacato tra José Luis Rodrìguez Zapatero e Mariano Rajoy. Negli Stati Uniti l’abitudine è tale che ci si confronta già nelle primarie. In Germania ci hanno preso talmente gusto che hanno esportato l’avvenimento anche nelle più agguerrite elezioni amministrative: in Assia, dove si correva testa a testa, si sono confrontati a pochi giorni dal voto il cristiano-democratico Roland Koch e la socialdemocratica Andrea Ypsilanti. Milioni incollati alla tv, anche spettatori di altre regioni che non sarebbero andati a votare. Se comizi e appuntamenti pubblici hanno mantenuto, a dispetto di chi li dava per morti, la loro capacità di attrazione, la televisione è l’agorà moderna, uno spazio di informazione in più a disposizione del cittadino. Perché negarla?
La par condicio è tuttavia solo un esempio. Sta alla novità dei due grandi partiti che caratterizza questa elezione come le vecchie regole istituzionali stanno all’intero sistema politico. Quanto più questo tendeva al cambiamento, tanto più le istituzioni si sono irrigidite, non ne hanno accompagnato il percorso, spesso lo hanno ostacolato. Resta così come eredità ai politici che interpreteranno la prossima stagione, il compito di riformarle, modernizzarle, modellarle affinché assicurino una democrazia compiuta.
Due grandi partiti. Il Popolo della libertà e il Partito democratico. A ricostruire la stabilità dell’alternanza dalla frammentazione paludosa degli ultimi due anni. Al di là della retorica del voto utile, i cittadini possono dare una mano a tirare la politica fuori dalle secche. D’altronde, laddove la democrazia funziona, funziona così. Va sempre più di moda la Spagna, non fosse altro perché ormai da qualche tempo ci tampona nella classifica un po’ prosaica dei paesi con il più alto prodotto interno lordo. Per altre cose, la politica ad esempio, ci è davanti da più di un decennio. Con il socialista Gonzales, gli spagnoli hanno incontrato la modernità. Con il popolare Aznar lo sviluppo. Con il socialista Zapatero i diritti civili. Tutti hanno potuto governare per almeno due mandati e hanno saputo circoscrivere le richieste e i ricatti dei partiti autonomisti, che pure in Spagna hanno il loro peso. Nelle ultime elezioni di un mese fa, i due partiti maggiori sono addirittura cresciuti in termini di consensi, consolidando un sistema politico che oggi molte democrazie più “anziane” invidiano.
Per non rifarci sempre a modelli settentrionali, la semplicità del quadro partitico agevola anche le vicende portoghesi, dove moderati e progressisti si confrontano ad ogni elezione ottenendo dagli elettori mandato pieno a governare. Lo stesso accade in Grecia. Ad Atene Nea Democratia e Pasok racchiudono nel loro orizzonte le speranze dei conservatori e dei progressisti e per quanto il clima politico ellenico sia sempre piuttosto rovente, e persistano forze minori capaci di farsi rappresentare in parlamento, i governi che escono dalle urne non ricordano neppure lontanamente l’armata brancaleone che il povero Romano Prodi s’è trovato a guidare nelle due sue esperienze di premier.
Il ritardo che la politica italiana ha accumulato in questi ultimi anni è più grave proprio se lo si raffronta con l’accresciuta efficienza degli altri modelli mediterranei. Non è un caso che proprio l’affanno nei confronti di paesi simili e concorrenti sia stato il tratto più marcato del declino italiano.
Perché se poi si sale verso Nord, allora il confronto neppure si pone. Era d’altronde verso questi paesi – la Francia, l’Inghilterra, i paesi scandinavi – che si guardava dall’Italia agli inizi degli anni Novanta. A modelli che sapessero coniugare influenza diretta degli elettori, stabilità del quadro politico, rapidità delle decisioni governative: più poteri al premier o al presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo, a seconda delle proposte. Come in Francia, dove un sistema uninominale a doppio turno elegge i parlamentari e rende complesso il proposito di interdizione di un partito centrista. E dove il presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo, rappresenta la nazione e nomina un governo di sua fiducia. E’ il sistema semi-presidenziale. Eppure in Francia non mancano i partiti minori, a testimonianza di una tradizione politica pluralista: oggi c’è il centro di François Bayrou, c’è il radicalismo della destra lepenista e c’è, in declino, una componente comunista che un tempo poteva addirittura paragonarsi al Pci per forza e contenuti. Ma nel 1958 il passaggio dalla Quarta alla Quinta Repubblica avvenne proprio nel segno della semplificazione e del superamento dei veti incrociati. Oggi, che il partito di Bayrou potrebbe innescare il germe dell’instabilità, la legge elettorale blocca il rischio di paralisi, pur non mortificando l’azione, la propaganda e anche la conquista di seggi parlamentari.
Non cede alle tentazioni del terzo partito la solida democrazia inglese, nonostante ogni volta i liberaldemocratici siano indicati in grande spolvero. I due partiti principali hanno però risorse innovative straordinarie e, dopo l’epopea del New Labour una nuova stagione potrebbe aprirsi per i Tories ringiovaniti dalla cura di David Cameron. Come in Scandinavia, territorio stabile e laborioso per eccellenza, che tuttavia affida la sua vocazione alla stabilità a un solido sistema che disincentiva la proliferazione partitica. Di tanto in tanto, sbocciano piccole formazioni ribelli, specie negli ultimi tempi per il disagio di un’immigrazione ritenuta fuori controllo. Ma la loro ascesa non mette mai in crisi il sistema.
E scivolando più ad Est, anche le giovani democrazie di quella che fu l’Europa sovietizzata privilegiano sistemi politici che neutralizzano la frammentazione. Eppure nei primi anni la fame di libertà aveva acceso la fantasia di tanti protagonisti. E’ stato il caso della Polonia, per lungo tempo esempio di instabilità continentale. Ma pur con tutte le sue anomalie, la Polonia oggi sembra aver recuperato un quadro meno frastagliato e più stabile, specie se paragonato con gli anni in cui i partiti in parlamento si contavano a doppia cifra. Relativamente ordinata si svolge la vita politica nei Paesi Baltici, che tendono a imitare il modello scandinavo e nelle nazioni della Mitteleuropa, le Repubbliche Ceca e Slovacca e l’Ungheria, che guardano con maggiore propensione ai modelli dell’area tedesca.
Ma è proprio in Germania che la prova del nove trova la sua conferma. A Berlino, il consolidamento elettorale della Linke, il partito della sinistra radicale, sta mettendo in crisi il sistema. La Grosse Koalition è di fatto già il prodotto della crisi, diffusasi nell’ultimo anno a livello regionale. L’affermarsi di un quinto partito, oltre i quattro tradizionali, sta minando le basi di un sistema al quale, non a caso, in Italia hanno guardato con cupidigia soprattutto i piccoli partiti centristi, con l’obiettivo di scardinare il possibile bipartitismo. Un modello di stabilità come quello tedesco, in crisi per un quinto partito. Può sembrare un paradosso, se letto con gli occhi affollati dalla miriade di simboli che ancora questa volta troveremo in Italia sulla lista elettorale. Ma tocca agli elettori, come fecero quindici anni fa con il referendum elettorale, imprimere alla politica la svolta che può finalmente portare il paese in Europa.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 13 aprile)
lunedì, aprile 14, 2008
E' stato un terremoto
Vi lascio allo speciale di Ideazione
Senato Liguria (61%) avanti il Pdl
Proiezione Senato (copertura 62%)
Forse
Proiezione Consortium Lazio
Proiezione regionale per il Senato
Berlino: + 14
Seconda proiez. Consortium: centrodestra + 6,7
Prima proiez. Sen. (Mediaset): centrodestra + 9,1
Gianni Letta lo abbiamo lasciato dormire. Quando si sveglierà, gli diremo che sarà solo ministro.
Prima proiezione Senato (Rai), sale il Pdl: +4,6
Gianni Letta ha chiuso un occhio. Poi, prima di appisolarsi, ha mandato un sms (credo a palazzo Grazioli). Ora dorme. Ha chiesto di essere svegliato alla prossima proiezione.
Avvertite il cronista di Sky
Raffaele Lombardo è tra il 49 e il 53%, Anna Finocchiaro tra il 36 e il 40%.
Un lettore mi scrive ricordando che l'altra volta gli exit poll sopravvalutarono il voto al centrosinistra. Secondo lui, il centrodestra potrebbe riprendere vantaggio non appena arriveranno i voti reali. Gliel'ho detto a Gianni Letta, che infatti s'era già prudentemente riseduto (ma non s'è appisolato lo stesso, tranne un momentino solo, quando Massimo Franco su Sky ha parlato per più di quattro minuti). Segnalo con piacere il Liveblogging di Andrea che è partito con i dati reali dei seggi (ma la percentuale è al momento irrisoria). Gli ricordo che i primi dati arrivano dalle piccole sezioni del Nord (che sono piccole e più efficienti), laddove il centrodestra - ma soprattutto la Lega - fa man bassa. Però, come ancora giustamente mi fanno notare, anche le regioni rosse sono efficienti e blindate nell'espletamento dello scrutinio. Insomma, appena saranno un po' più consistenti, converrà affidarsi solo allo scrutinio reale.
Vi rammento lo speciale di Ideazione che ha appena aggiunto le dichiarazioni dei politici, divertenti, da conservare se poi gli exit poll faranno cilecca. Dopo i primi venti minuti abbottonati, si stanno lanciando in dichiarazioni epocali.
E per la serie "chissenefrega" e/o pubblicità occulta, da quissù le elezioni italiane si seguono sorseggiando una Budweiser (Budvar), ottima birra ceca da non confondere con l'omonima (ma più leggera) Budweiser americana.
Letti i dati, Letta...
Primo exit poll
EXIT POLL ore 15.00
CAMERA
Pdl+Lega Nord 42 %
Pd+Idv 40 %
SENATO
Pdl+Lega Nord 42,5 %
Pd+Idv 39,5 %
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In dettaglio: secondo il primo exit poll, realizzato da Consortium, alla Camera, Pd più Idv sono tra il 37 e il 43%; il Pdl tra il 32 e il 36%; la Lega tra il 6 e l'8%; l'Mpa allo 0,5%. Dunque il Pd è in vantaggio sul Pdl. Complessivamente, però, Pdl più Lega più Mpa sono tra il 38,5 e il 45,5%. In Senato, Pdl più Mpa più Lega sono tra il 39 e il 46%; il Pd più Idv tra il 36,5 e il 42,5%.
Questi, invece, i dati dei partiti minori. Alla Camera, secondo gli exit poll Consortium, l'Udc si piazza tra il 4,5 e il 6,5%; la Sinistra arcobaleno tra il 3,5% e il 5,5%. Al Senato, l'Udc è tra il 4,5 e il 6,5%; la Sinistra arcobaleno tra il 4 e il 6%.
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Speciele elezioni su Ideazione
Il ritorno dei maoisti
Aspettando i risultati - Vintage/3
PRIMI EXIT POLL RAI. CDL: - 5 PER CENTO
Unione tra il 50 e il 54 per cento. Casa delle Libertà tra il 45 e il 49 per cento.
SECONDO EXIT POLL RAI/NEXUS: UNIONE +5
Risultato invariato nel secondo exit poll Rai/Nexus, sia per quanto riguarda la distanza tra le due coalizioni (Unione 50-54; CDL 45-49) che per i dati dei partiti. Per ora si ragiona solo su questi dati. Per la prima proiezione su dati reali bisogna attendere le 16,30 circa.
INDISCREZIONI SU PRIMA PROIEZIONE
Secondo gli esperti della Nexus che stanno elaborando i dati per la prima proiezione su voti reali, non ci si deve attendere spostamenti di rilievo. La proiezione, quindi, dovrebbe confermare sostanzialmente i dati dei due exit poll, già sorprendentemente identici tra di loro (fonte Tg2).
FINITA LA PRUDENZA. L'UNIONE FESTEGGIA IN PIAZZA ALLE 21
Non c'è più prudenza dalle parti dell'Unione. Già prenotata Piazza del Popolo per le 21 di questa sera. Si festeggerà in piazza. D'Alema parla di risultato di portata storica. E' la prima dichiarazione ufficiale di un leader dell'Unione.
UN'ORA DI RITARDO SULLA PRIMA PROIEZIONE COMPLETA
Salvo i dati appena comunicati su alcune regioni, è un'ora che si attende dalla Nexus la prima proiezione sulla base di voti reali. Il ritardo non è stato più giustificato.
RAGIONI DEL RITARDO
Contestazioni da parte di rappresentanti di lista nei seggi elettorali scelti statisticamente per le proiezioni.
PRIMA PROIEZIONE: SVANTAGGIO RIDOTTO A - 1,8
Risultati più complessi, quelli delle prime proiezioni regionali. Unione 50,4 per cento, Casa delle Libertà 48,6. Sarebbero alla CdL regioni come Piemonte e Puglia, mentre nel Lazio lo svantaggio sarebbe assai più ridotto rispetto al - 5 per cento di prima. Dati partiti: Forza Italia 23,5, Alleanza Nazionale 12,2, Udc 6,7, Lega Nord 3,9. A sinistra, Ds 18, Margherita 10,8, Rifondazione 7,5, Rosa nel pugno 2,6.
CONTRORDINE COMPAGNI
Il Senato torna in ballo appena la musica passa ai dati veri. Unione e CdL sono divise da meno di due punti percentuali, al Senato diventano pochi i seggi di vantaggio per il centrosinistra.
PRODI RINVIA IL DISCORSO DAL PALCO DI SS. APOSTOLI
L'entourage di Prodi avverte che Prodi arriverà sul palco di Piazza SS. Apostoli solo quando sarà certo della vittoria. L'orario previsto è per le 19,30. Di fatto i primi dati delle proiezioni raffreddano gli entusiasmi e consigliano maggiore prudenza.
SECONDA PROIEZIONE SENATO. TESTA A TESTA, CdL -1
Copertura 50 per cento. Unione 50,0 per cento, Casa delle Libertà 49,0. Lo svantaggio scende a un punto percentuale. In seggi: 151 per la CdL, 158 per l'Unione, sette senatori in più per la futura maggioranza.
LO STALLO DI NEXUS E IL NOSTRO
Tutto si gioca su un pugno di voti. La Nexus dichiara lo stallo totale. Parità sugli ultimi punti decisivi. Bisogna aspettare il dato definitivo del Viminale. La Campania è decisiva per il Senato: chi prende la Campania vince le elezioni al Senato. Il centrosinistra vincerebbe di un seggio, il centrodestra di sette. Al momento, in Campania è in leggero vantaggio l'Unione. Anche alla Camera leggero vantaggio dell'Unione, in lenta erosione man mano che si completa il quadro. E tuttavia, comunque andrà a finire, il dato politico resta quello di un paese spaccato a metà.
LE UNDICI COSE CHE (COMUNQUE) NON DIMENTICHEREMO
1) La folla in Piazza SS. Apostoli alle 15,30.
2) La prenotazione dell'Unione di Piazza del Popolo.
3) D'Alema: "E' una svolta storica. Il berlusconismo è finito".
4) Il mezzo spogliarello di Ferrara a Otto e mezzo.
5) La folla in Piazza SS. Apostoli alle 18,30.
6) La faccia di Cacciari all'arrivo della prima proiezione della Camera.
7) La faccia di Angius quando è arrivato il primo exit poll della Nexus.
8) La folla in Piazza SS. Apostoli alle 19,30.
9) La prenotazione dell'Unione di Piazza del Popolo annullata.
10) La folla in Piazza SS. Apostoli alle 23,50.
11) Il podio sudamericano alle 2,50 ai SS. Apostoli.
ITALIANI ALL'ESTERO: IL SENATO VA ALL'UNIONE
Allora, sono arrivati i dati definitivi degli italiani all'estero, a metà mattinata. Grazie alle cantonate nostalgiche prese da Mirko Tremaglia, il voto ha premiato l'Unione che così ribalta il dato nazionale della notte portandosi in vantaggio di due seggi: al Senato il risultato finale è 158 a 156, più un indipendente. Resta il dato politico della maggioranza numerica del centrodestra (+1,2 per cento). In seggi non vale nulla, ma è uno dei dati da tenere presente per affrontare con serietà le prossime ore. Alla Camera con lo 0,08 per cento (pare secondo ultimi dati poco meno di 20mila voti) l'Unione si aggiudica il premio di maggioranza e ottiene un vantaggio più che tranquillizzante in termini di seggi. Anche qui la valutazione numerica dovrebbe suggerire una certa sobrietà nelle dichiarazioni dei vincitori.
PREVISIONI DEL TEMPO NEXUS
Finalmente, dopo giorni e giorni di annunci di piogge e temporali e rovesci e acquazzoni che hanno rischiato di mettere in crisi la piccola industria turistica italiana della Pasqua, oggi a Roma non dico che ci siano piogge e temporali e rovesci e acquazzoni, ma almeno il cielo è coperto anche se non fa freddo. Da indiscrezioni, pare che ultimamente il servizio meteorologico italiano sia passato dall'Aeronautica militare alla Nexus. Buona Pasquetta a tutti.
SETTIMANE A CHIEDERE IL RECOUNT
Sarebbe il caso di abbandonare il pallottoliere e rimettersi a far politica, anche perché tutte queste strampalate trovate d'ingegno allontanano le scelte strategiche e tattiche. Prima si comincia, meglio è. Conclusa la verifica sulle schede contestate si eviti di menarla per le lunghe. Il centrodestra ha fatto una sua proposta, mettersi attorno a un tavolo per un breve esecutivo di Grosse Koalition. Il centrosinistra l'ha respinta e Prodi vuol provare a varare un governo. Auguri, si parta.
Aspettando i risultati - Vintage/2
Aspettando i risultati - Vintage/1
(Walking Class, sabato 8 aprile 2006)
Rosso di sera...
domenica, aprile 13, 2008
Sole
sabato, aprile 12, 2008
Si vota per Gianni Letta premier
Trans Europa Press. L'Italia in crisi sotto i riflettori
Piove
giovedì, aprile 10, 2008
Gattopardi
L'Italia chiusa in se stessa
Monaco e München: potrà capitare anche a voi
mercoledì, aprile 09, 2008
Una cosa è certa...
Secondo me è una lettera vera
Febbre da cavallo
Donne di ferro: Margaret Thatcher
Bulgarian Mafia chronicler shot and killed in Sofia
Knut e Flocke, la guerra degli orsi bianchi
martedì, aprile 08, 2008
L'Italia (vista dall'estero) tra voto e mozzarelle
lunedì, aprile 07, 2008
L'hanno spenta
AGGIORNAMENTI IN TEMPO REALE: Le Figaro, la Repubblica.
domenica, aprile 06, 2008
Spegnete quella fiaccola
sabato, aprile 05, 2008
Trans Europa Press. Chi ha vinto al vertice Nato?
venerdì, aprile 04, 2008
Politici e cittadini
Di questo tema, a Ideazione, ce ne siamo occupati fin dagli anni Novanta, quando una correzione era ancora possibile. Del 1996 era il libro di Giuseppe Pennisi, pubblicato dalla casa editrice, "La guerra dei trentenni". Assai più recente, l'articolo di apertura del numero bimestrale 6/2004 di Vittorio Macioce, che affrontava il nodo fra flessibilità del lavoro e rigidità della società: dal sistema creditizio e bancario agli ammortizzatori sociali. Se non c'è flessibilità da entrambi i lati, resta solo il precariato. E una vita incerta.
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Dalla cronaca di Repubblica prendiamo spunto, invece, per la seconda questione. Di questi tempi consola molto gli elettori la convinzione che la responsabilità di un paese malato come l'Italia sia tutta della politica e che i cittadini invece costituirebbero una sorta di isola felice in un mare di corrotti. Spesso, invece, noi siamo come e peggio dei politici. Non solo la gente disperata e senza lavoro, che specie al Sud si raccomanda per un posto al sole, che spesso nessuno può dare se non a patto di innescare quella catena clientelare di cui ci lamentiamo tanto (ma che in qualche modo alimentiamo). Ma - ed è ancora più grave - fior di professionisti che non hanno emergenze finanziarie e godono al contrario di status sociali invidiabili. Come quei professori universitari, fior fiore della cultura di un paese, che dovrebbero formare la futura classe dirigente del paese. A Bari, alcuni, la formano così.