Angela Merkel, manifesto elettorale 2005, (fotowalkingclass)
Non si agita mai ed è la sua forza. Anche adesso che la crisi economica morde la carne viva dell’economia tedesca e il cardigan, o la politica del cardigan, che ha segnato i suoi primi anni alla Cancelleria non basta più a tenere caldi se stessa e il paese. Angela Merkel è fatta così. Attorno scoppia la tempesta e lei evita di lasciarsi trasportare dai venti. In qualche modo offre un’immagine di stabilità e sicurezza. Ma ora che i tempi si sono fatti duri, la fronda che si muove nel suo stesso partito teme che questa immagine possa essere scambiata per immobilità e incertezza.
Strano destino per questa donna piombata sulla scena politica europea con le stimmate di una lady di ferro in versione teutonica. Niente di più lontano dalla sua storia e dalla sua natura. Sono le semplificazioni della stampa internazionale, che affibia le etichette utilizzate per altre figure, per altre epoche e per altre nazioni. Di ferro, nel senso thatcheriano del termine, Angela Merkel non è mai stata. Era semmai “la ragazza”, come amava chiamarla Helmut Kohl, che se la ritrovò al suo fianco negli anni successivi alla caduta del Muro. O la ragazza venuta dall’Est, come la indicavano con qualche sufficienza i notabili della Cdu del tempo. La ragazza ha fatto strada ma non con l’arte del ferro.
Nata ad Amburgo, figlia di un pastore protestante che si trasferì per lavoro con la famiglia a Est mentre la maggior parte dei tedeschi orientali fuggiva verso Ovest, Angela Merkel ha stupito prima di tutto il mondo. In patria hanno cominciato ad apprezzarla dopo. E più i cittadini che i politici. Il circuito chiuso della politica berlinese, quello che si muove fra le stanze dei partiti, delle istituzioni e dei media, non le ha mai riservato gli entusiasmi che le sono stati tributati dai leader mondiali. E oggi in qualche modo le si rivoltano contro, accusandola di tentennare di fronte alle emergenze del paese. C’è una buona dose di ingratitudine e forse anche di cattiveria, di invidia un po’ maschilista, oltre che il naturale gioco della concorrenza. Lei lo sa. E aspetta.
Quattro anni fa, la sera in cui i risultati elettorali le consegnarono la prima, grande delusione, nessuno avrebbe scommesso più un euro su di lei. I sondaggi avevano fatto cilecca e la Cdu si ritrovò il secondo peggior risultato dal dopoguerra: avrebbe dovuto superare il 40 per cento, si fermò al 35,2. Era sempre un punto avanti ai socialdemocratici, ma ai nastri di partenza della campagna elettorale il vantaggio su Gerhard Schröder era di oltre venti punti. Ora il Cancelliere schiumava di rabbia per quell’ultima manciata di voti non recuperata, ma in fondo poteva considerarsi il vincitore morale della competizione.
Di fronte al quadro fosco del nuovo governo, nella tavola rotonda televisiva che mise di fronte gli incerti protagonisti della nuova stagione dell’instabilità tedesca, uno Schröder un po’ alticcio gelò la Merkel: “Ma voi credete seriamente che il mio partito accetterà di discutere la proposta di un governo in cui lei sarà Cancelliera”? Anche quella volta la Merkel restò zitta. Porse l’altra guancia alla perfidia del suo interlocutore, ma solo davanti alle telecamere. Il giorno dopo compattò il partito attorno a sé e avviò le trattative per una Grosse Koalition. Due mesi dopo era Cancelliera e a Schröder non restò che rimpiangere quel bicchiere di rosso di troppo bevuto prima di andare in trasmissione.
Il partito, il suo partito, Angela Merkel raramente se lo ritrova compatto attorno. I notabili della Cdu, tutti suoi coetanei, la sentono come un corpo estraneo. Fanno parte del cosiddetto Andenpakt, il patto andino. Bisogna andare un po’ indietro negli anni, fino al 1979, quando un gruppo di promettenti politici in erba, militanti dell’organizzazione giovanile della Cdu, stringono durante un viaggio in Sud America un patto di ferro: in futuro nessuna guerra fratricida, nessuna candidatura contrapposta, nessuna accusa reciproca in pubblico. Di fatto è una corrente. Un vincolo più o meno segreto lega giovani che di lì a qualche anno inizieranno a scalare i vertici del partito: Roland Koch, Christian Wulff, Günther Oettinger, Peter Müller, Friedrich Merz, Hans-Gert Pöttering, Friedbert Pflüger. Oggi molti sono presidenti di Länder, Pöttering guida il parlamento europeo, qualche altro si è perso per strada. Ma tutti hanno due elementi in comune: il sesso maschile e la formazione nella Germania occidentale.
In quegli anni Angela Merkel era un’oscura scienziata all’Accademia delle scienze di Berlino Est. Laureatasi in fisica a Lipsia, non aveva svolto alcun tipo di attività politica nella Ddr. Entrò in alcune organizzazioni giovanili socialiste, condizione necessaria per mantenere il posto di lavoro ma non amava il regime. Tuttavia non la si è mai vista attiva nei gruppi di opposizione, neppure nell’anno magico del 1989. Solo dopo la caduta del muro entrò in politica: la madre era con l’Sdp (la nuova versione orientale dei socialdemocratici), lei scelse il partito del Risveglio democratico che più tardi confluirà nella Cdu. Fu portavoce del governo di Lothar de Maizière, l’esecutivo tecnico che preparò la riunificazione. Nelle prime elezioni unitarie del 1990 venne eletta al Bundestag per la Cdu in un collegio nord-orientale del Meklemburgo, sul Baltico ed entrò, come più giovane ministra della repubblica, nel quarto governo Kohl.
Una carriera rapidissima ma che nulla ha a che fare con quella dei suoi antagonisti interni, tutti cresciuti a Cdu e occidente. Lei non c’era, quando i giovani leoni scalpitavano dietro Helmut Kohl. Non c’era, quando la Cdu si alimentava delle sue radici cristiane nel cuore profondo della vecchia capitale renana. Non c’era, quando il partito si misurava con l’altra Germania. Non c’era, quando il capo incontrastato si trasfuse nella storia come cancelliere dell’unità. Lei era da un’altra parte, anzi dall’altra parte.
Ma la forza di questa donna è nel seguire con determinazione la propria strada e nel cogliere le opportunità che le si presentano. Finora non ne ha mancata una. “Deutschlands Chancen nutzen”, cogliere le opportunità della Germania, è stato lo slogan elettorale che l’ha portata alla Cancelleria e racchiude il nocciolo del successo della sua carriera politica. Senza la caduta del muro e senza lo scandalo dei fondi neri che estromise Kohl dalla scena politica, la leadership della Cdu se la sarebbero contesa quelli del patto andino. Ma la “ragazza venuta dall’est” seppe trasformare le sue debolezze in altrettanti punti di forza.
Quanta Ddr si nasconde dentro Angela Merkel? La domanda ritorna periodicamente nelle sue non numerose biografie. Dirk Kurbjuweit, capo della redazione berlinese dello Spiegel, che ha appena pubblicato un libro sui primi quattro anni di cancellierato, pensa che ce ne sia parecchia, non tanto nella sua visione del mondo, ormai perfettamente incardinata nel solco della Bundesrepublik, quanto nel comportamento, nel modo di agire. L’estraneità rispetto all’ambiente renano, nel quale era cresciuta gran parte della nomenklatura cristiano-democratica, le consentì di tagliare con più leggerezza il cordone ombelicale con il vecchio leader. Lo liquidò con una lettera aperta sulla Frankfurter Allgemeine: ora è tempo di cambiare strada. La strategia del silenzio adottata ai tempi della Ddr, quando ogni muro aveva orecchi e occhi per ascoltare e spiare, la rende guardinga nelle dichiarazioni: non se ne conta una fuori posto. Difficile che attacchi frontalmente un avversario (esterno o interno che sia), impossibile che inciampi nell’infernale macchina mediatica che ruota attorno al quartiere politico berlinese. Sempre compita, sempre attenta, sempre studiatamente equilibrata. E’ la cancelliera, il suo ruolo è unire il paese non dividerlo, per questo le sue dichiarazioni sono sempre sfumate fino al limite dell’indeterminatezza, fino ad annacquare il profilo riformista con il quale si era presentata alla guida del governo. L’assenza di vere radici nel territorio (nata a ovest, cresciuta a est, catapultata nel cuore della Germania unita) la rende impermeabile alle nostalgie regionali che spesso limitano la carriera di altri politici tedeschi.
Una donna totalmente votata alla politica: con pochi interessi esterni, con una vita personale e sentimentale che resta in ombra perché tutto, in lei, è politica. Dalla mattina alla sera, sette giorni su sette. Con un ristretto gruppo di fedeli, solitaria anche all’interno del suo stesso partito. Angela Merkel è un’auto in corsa, destinata sempre ad andare avanti, a vincere, a non poter perdere il passo. Dovesse fermarsi o voltarsi indietro, sarebbe la fine.
Troppo sociale, troppo laica, troppo moderna. Eppure, fuori dal circuito chiuso della politica, piace. E’ lei il valore aggiunto di un partito che fatica a mantenere il suo ruolo di movimento di massa, un po’ come sta accadendo all’Spd. La società si frammenta e i grandi partiti stentano a conservarne l’aderenza, a rappresentarne gli interessi. La Cdu non fa eccezione, ma la Cancelliera colma per ora questo scarto.
E’ il paradosso di un temperamento per nulla emozionale. Eiskalt, spietata, è l’agettivo che spesso ricorre per descriverla. Lei però, refrattaria a ogni pulsione populista, ha trovato un modo tutto personale di entrare in sintonia con la gente comune, parlandone la stessa lingua quando occorre. E’ ormai una vera professionista della politica, a suo agio con i giornalisti in tv, con gli elettori ai comizi, con i grandi del mondo ai summit internazionali. Due immagini a distanza di otto anni segnalano la sua crescita. Berlino gennaio 2001, congresso del Ppe. La Merkel è da poco diventata leader della Cdu. E’ il suo turno sul podio, la curiosità è tanta ma lei, tesa e rigida, assopisce la platea con un discorso monocorde e poco incisivo, privo di emozione ma anche di ritmo. Berlino febbraio 2009, conferenza con la stampa estera. La cancelliera Merkel si destreggia con abilità tra le decine di domande diverse dei corrispondenti stranieri. Salta da un argomento all’altro con competenza e maestria, modella le frasi, piazza la battuta giusta al momento giusto, dosa le pause con consumata sapienza. Poca emozione anche questa volta, ma appare distesa e rilassata, addirittura sorridente.
La ragazza è cresciuta ma sa che può solo andare avanti. I cancellieri che sono stati in carica per un solo mandato non se li ricorda più nessuno. E anche se lei resterà la prima donna e la prima cittadina dell’est ad aver varcato la soglia del potere più alto, ha bisogno almeno di una riconferma. Anche perché difficilmente riesce a immaginare una vita senza politica. E gli andini del partito, i conservatori, gli identitari, i nostalgici della Cdu renana, gliela farebbero pagare.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 28 marzo 2009)