Il rischio era che di compromesso in compromesso, alla fine il risultato potesse essere quasi insignificante. Che a furia di ricercare l’unanimità, il tanto atteso passo in avanti verso il nuovo mini-trattato europeo fosse in realtà una sorta di passo del gambero. All’indietro. E ora che l’accordo è stato raggiunto, in una delle notti più convulse e drammatiche della storia dell’Unione Europea, i dubbi restano e ciascuno dei due fronti può cantare vittoria o lamentare una sconfitta. Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda della prospettiva dalla quale lo si guarda. Mezzo pieno per la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha condotto fino alle luci dell’alba l’estenuante trattativa con i gemelli Kaczynski, dimostratisi osso durissimo. L’Europa riparte, ha detto la Merkel, che alla fine ha imposto la sua ormai leggendaria “diplomazia del cardigan”: trattare, trattare, trattare, anche a costo di scontentare coloro che erano schierati fin dall’inizio al suo fianco, i cosiddetti europeisti. Italia compresa.
“Abbiamo ottenuto un mandato chiaro per la Conferenza intergovernativa – ha proseguito la Merkel in conferenza stampa – c’è una grande opportunità per avere un nuovo Trattato in vigore nel 2009. C’è stato bisogno di molta volontà e abbiamo fatto ricorso a molti compromessi, ma alla fine ciò che conta è che siamo riusciti ad uscire dall'impasse e a rilanciare il Trattato su basi nuove . E lo abbiamo fatto portando tutti e 27 gli Stati membri sulla stessa strada: tutti hanno dovuto accettare qualcosa o rinunciare a qualcosa”. Stanchezza e soddisfazione si mescolano nel volto e nella voce della Cancelliera, che poche ore prima aveva dovuto quasi rassegnarsi alla prima sconfitta della sua brillante carriera internazionale. La Polonia era rimasta fuori e si prospettava il rinvio alla Conferenza intergovernativa senza l’appoggio di Varsavia, che per bocca del suo gemello premier (Jaroslaw, rimasto in patria ma in perenne contatto telefonico col fratello presidente Lech a Bruxelles) minacciava in una tv locale l’esercizio del veto. Poi una nuova apertura, la ripresa del dialogo, nuovi scontri e alla fine l’accordo. La presidenza tedesca si chiude comunque con un successo, il processo europeo è ripartito, la palla passa adesso in mano ai portoghesi che hanno nel presidente della Commissione Josè Manuel Barroso uno sponsor potente.
Giacché l’accordo è scaturito nella notte tra venerdì e sabato e i quotidiani possono solo oggi darne conto, riepiloghiamo brevemente i punti essenziali. L’ultimo e più duro scontro è stato con la Polonia sul meccanismo di voto nelle decisioni prese dal Consiglio europeo. Varsavia non accettava la soluzione della doppia maggioranza: 55 per cento degli Stati membri e del 65 per cento delle popolazioni. Questo sistema di calcolo favorisce i paesi più grandi. Ma alla fine i Kaczynski hanno strappato una tale quantità di concessioni da rendere forse digeribile al proprio elettorato il sistema proposto dalla Merkel. Esso entrerà in sperimentazione nel 2014 e in vigore nel 2017 (con otto anni di ritardo rispetto alla previsione del 2009) e la Polonia potrà comunque avvalersi del cosiddetto “compromesso di Ioannina” (dalla città greca dove venne approvato), che consente a un piccolo gruppo di Stati di chiedere di riesaminare e rivotare una decisione approvata con la doppia maggioranza. Una sorta di veto presidenziale italiano, con il rinvio della legge alle Camere.
Altri compromessi erano stati trovati nel corso dei “tempi regolamentari” del vertice con Gran Bretagna e Francia, su aspetti considerati sensibili per i rispettivi interessi nazionali da Blair e Sarkozy. La Gran Bretagna temeva le nuove regole sul mercato del lavoro e i contorni troppo imopegnativi del ruolo del nuovo ministro degli Esteri europeo. Ed è stata accontentata su entrambi i punti: la Carta dei diritti fondamentali contenuta nel Trattato non interferirà con il funzionamento del sistema legale britannico, che differisce da quello degli altri Stati membru Ue; il futuro rappresentante della politica estera europea non si fregerà del nome di ministro ma di “Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza”. Chissà se il declassamento nominalistico ne ridurrà anche le competenze che dovrebbero sommare quelle attuali di Javer Solana e del commissario per le Relazioni Esterne. La Francia ha invece ottenuto una minore rigidità sulla libera concorrenza, uno dei dogmi dell’Ue: non sarà più “uno degli obiettivi dell’Unione” ma “il principale strumento per raggiungere gli obiettivi della crescita”. Via libera, dunque, anche ad altri strumenti. La grandeur è salva e con essa anche le preoccupazioni antiglobal che avevano spinto gran parte dei francesi a bocciare due anni fa la Costituzione. Ma Sarkozy è stato ricompensato anche per il prezioso contributo che ha dato alla trattativa con la Polonia. E per la svolta che ha imposto al suo paese, strappandolo da una protesta improduttiva e accompagnandolo verso un europeismo realista e costruttivo.
(pubblicato sul Secolo d'Italia il 24 giugno 2007)