domenica, luglio 22, 2007

Berlino e la Bild

(post lungo)


Inizio a riportare sul blog gli articoli pubblicati in queste ultime settimane su alcuni quotidiani italiani. Si tratta di corrispondenze da Berlino, che riguardano generalmente la Germania e l'Europa, con particolare riferimento a quella centro-orientale e all'area centro-asiatica. Sarà una sequenza cronologica, dunque alcuni articoli si riferiranno a vicende passate. Un modo per sopperire a quello che in Germania chiamano "Sommerloch". Buone vacanze a tutti (e buona lettura).


Sarà come dice il suo direttore Kai Diekmann, che le motivazioni sono squisitamente politiche e patriottiche. Ma la notizia del trasferimento da Amburgo a Berlino della redazione centrale della Bild, il quotidiano popolare tedesco da 4 milioni di copie vendute al giorno (e dieci milioni di lettori), pare avere più a che fare con il mercato e l’ambiente. Il mercato è quello delle notizie scandalistiche, che siano di cronaca o di politica, di costume o di spettacolo. L’ambiente è quello effervescente che Berlino offre a una redazione assetata di sensazionalismo. Amburgo resterà sempre l’Heimat, la madrepatria, con una robusta redazione che si crogiolerà nel ricordo di quando, nel 1952, Axel Springer fondò il giornale. Ma la vita è altrove, così come le notizie. “Berlino è la capitale – insiste Diekmann – è diventata il centro politico, culturale e dello stile di vita del paese”.

Fondata nel 1952 ad Amburgo, la Bild s’impose subito per il taglio aggressivo, strafottente e populista. Il modello di Alex Springer era il britannico Mirror. In Germania li chiamano “Boulevard-magazine”, giornali di strada. Piglio scandalistico nell’affrontare i temi di cronaca, approccio irriverente quando si trattava di scuotere un mondo politico allora assai paludato. Da sempre è la coscienza politicamente scorretta di un paese politicamente correttissimo.

Anche perché Bild e politica sono sempre andate di pari passo. La storia del giornale è legata a doppio filo con quella del suo fondatore. Axel Springer è stato un conservatore tutto d’un pezzo, vicino al partito cristiano-democratico e amico personale di Helmut Kohl. Tenne la schiena diritta negli anni della contestazione studentesca, quando i manifestanti circondavano la sede della sua casa editrice. E ancor oggi è alla Bild che i politici conservatori consegnano più volentieri dichiarazioni e pensieri che poi il tabloid rumina e maciulla alla sua maniera, rendendoli più commestibili al lettore (ed elettore) della Germania profonda.

Tuttavia, nel 1998 la sua costola domenicale, la Bild am Sonntag, sostenne Gerhard Schröder nella corsa vittoriosa alla Cancelleria. La scelta non è servita ad evitare i dispetti. Il municipio di Kreuzberg ha deciso di intitolare il tratto della Kochstrasse, dove ha sede la Springer Verlag, a Rudi Dutschke, il leader del Sessantotto tedesco ferito nel 1968 e poi morto nel 1979 che ne propugnava l’espropriazione. Un quotidiano di sinistra ha titolato: “Rudy il Rosso continua a combattere contro Springer”. E una settimana fa, militanti dell’estrema sinistra hanno incendiato la Mercedes del direttore Diekmann per protesta contro l’organizzazione del G8 ad Heiligendamm, sul Baltico.

Quella tra la Bild e l’establishment culturale è una lunga storia di contrasti. Il Nobel Heinrich Böll la fece protagonista negativo del romanzo “L’onore perduto di Katharina Blum”; il giornalista d’inchiesta Günter Wallraff (quello del libro “Faccia da turco”) si introdusse per quattro mesi nella redazione di Hannover, denunciando scarsa deontologia professionale e violazione della privacy. Era il 1977. Da allora i toni si sono ammorbiditi, la sinistra tedesca è cambiata ma non ha mai amato questo tabloid corrosivo. Semmai, continua a temerlo fingendo di snobbarlo.

Internet è la nuova frontiera. Il sito web, realizzato in joint venture con il colosso Deutsche Telekom, rispecchia anche nella grafica lo stile del cartaceo. E’ il sito più cliccato della Germania. E ha dato origine a un contro-sito altrettanto seguito, un blog che si prende la briga di fargli quotidianamente le pulci: la versione moderna delle inchieste di Günter Wallraff.

Due anni fa Kai Diekmann ha rinsaldato la fama del giornale imbroccando un titolo che ha fatto storia. Era il 19 aprile 2005 e un tedesco saliva al soglio pontificio dopo quasi cinquecento anni: il titolo, secco e a caratteri ovviamente cubitali, sparava “Wir sind Papst”, Noi siamo Papa. Il copyright non era della Bild. Apparteneva a quei manifestanti che, nell’autunno 1989, giravano sull’Alexanderplatz con un cartello divenuto il simbolo della caduta del Muro: “Wir sind ein Volk”, Siamo un solo popolo. Merito della Bild è stato di riprenderlo e adattarlo alla buona novella: l’elezione del Papa tedesco. E così, sedici anni dopo, quelle tre parole hanno di nuovo rappresentato una svolta, segnando lo spartiacque tra la Germania lamentosa e depressa d’inizio secolo e quella vibrante e ottimista di oggi. Che la Bild continuerà a testimoniare da Berlino.

(pubblicato su Il Foglio, 16 giugno 2007)