“I due che volevano rubare la luna” era il titolo di un film polacco del 1962, in cui i due gemelli Kaczynski, Lech e Jaroslaw, allora dodicenni, recitarono il ruolo dei protagonisti. L’azzardo, neppure troppo celato dietro quel titolo romantico, deve essere rimasto nell’immaginario dei due gemelli, ora che sono diventati protagonisti di un altro film, quello della politica. I due si sono divisi la Polonia dopo aver portato il loro partito al successo elettorale. Il primo, Lech, è presidente della Repubblica; il secondo, Jaroslaw, è il capo del governo e leader del partito Giustizia e Libertà, una miscela di conservatorismo compassionevole e populismo moderno, integralismo cattolico e anticomunismo viscerale, nazionalismo e filo-atlantismo. Una miscela che inquieta i vicini e in verità mostra la corda pure in patria, dove i gemelli navigano a vista fra iniziative sopra le righe, conflitti istituzionali e sondaggi elettorali poco confortanti.
Quando siedono uno accanto all’altro è difficile distinguerli, tanto sono simili fisicamente. E i due ci giocano su questa somiglianza, recitando il ruolo del buono e del cattivo, una sorta di dottor Jekyll e Mr. Hide impersonati da due controfigure che si scambiano di persona a seconda dell’interlocutore e dell’occasione. Jaroslaw passa per essere il cattivo, Lech assume vesti più diplomatiche. Magari non è vero ma gli altri ci cascano. E così, quando prima del vertice di Bruxelles nel quale la Polonia si è presentata con lo slogan “radice quadrata o morte” per difendere a oltranza il proprio potere di veto nelle decisioni europee Jaroslaw ha comunicato alla stampa che a rappresentare il paese sarebbe andato il fratello Lech, tutti hanno tirato un sospiro di sollievo, interpretando il gesto come uno spiraglio di apertura. Subito richiuso dal presidente che ha rilanciato la sfida toccando il tasto delicato della memoria: “In realtà dovremmo contare anche il numero dei polacchi uccisi in guerra dai tedeschi, perché senza quelle stragi oggi saremmo 66 milioni”.
Era forse inevitabile che i paesi fuoriusciti dal lungo inverno comunista portassero, come ibernate nel loro bagaglio, le memorie lacerate del passato, memorie che a occidente s’è avuto modo e tempo di stemperare nel confronto democratico e nella riflessione storica. Meno opportuno è che tali lacerazioni vengano rivangate e utilizzate per difendere pur legittimi interessi nazionali come il peso specifico del voto polacco nelle decisioni europee. Ma così sono fatti i gemelli Kaczynski. E sarebbe imprudente sottovalutare il fatto che su questo aspetto i due fratelli si sono conquistati il supporto bipartisan dell’intero parlamento polacco: dato il livello di conflitto interno, non è un risultato da poco. In più la Polonia non è sola.
Pur evitando toni propagandistici, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e le tre Repubbliche baltiche condividono con Varsavia gli stessi timori sul ruolo che il nuovo mini-trattato riserva loro all’interno dell’Unione. E sul credito che Bruxelles vuol dare alla Russia di Putin. Mosca resta il pericolo principale, il nemico di sempre, che si chiami Unione Sovietica o Russia, che si vesta di imperialismo bolscevico o di autoritarismo oligopolista. Un timore che ha spinto Praga e Varsavia a concedere agli Usa gli spazi per i radar e i missili dello scudo spaziale e che rischia di riportare sul tavolo dell’Unione le divisioni tra Vecchia e Nuova Europa.
Ma se il pericolo russo viene condiviso da quasi tutto il vecchio blocco dell’est, il pericolo tedesco rischia di diventare una specialità solo polacca. Le dichiarazioni di Lech Kaczynski sulla conta dei soldati morti hanno accresciuto la tensione. Tra la copertina del marzo scorso del settimanale polacco “Czas!” che ritraeva Angela Merkel con baffi hitleriani a quella dello “Spiegel” di questa settimana, con i gemelli in sella alla cancelliera e il titolo “I non amati vicini”, passa il rapido deterioramento di un rapporto assai sensibile per gli equilibri dell’Europa. C’è da augurarsi che questa volta possa essere il gemello cattivo a premere sul freno.
(pubblicato su L'Indipendente del 22 giugno 2007)