Romano Prodi rilascia un'intervista fiume a Gianni Riotta per il Corriere, nel tentativo di dissipare le impressioni di un governo già in difficoltà, destinato ad andare sempre più in affanno e con un orizzonte temporale già limitato. Detto per inciso che la nuova titolazione in corsivo della homepage del Corriere è quanto di più brutto il mondo web abbia proposto nell'ultimo decennio (e che il carattere precedente era l'unica cosa nella quale il sito del Corriere era superiore a quello di Repubblica), diciamo subito che il presidente del Consiglio non avrebbe potuto trovare intervistatore migliore: a un tempo autorevole e accomodante. Se qualcuno avesse fatto un'intervista del genere a Berlusconi, avremmo utilizzato vocaboli osceni. Per Riotta non li utilizziamo (solo perché la svolta porno di Walking Class non è alle porte) ma li lasciamo immaginare alla vostra lussuria.
Sul merito dell'intervista, mi pare di notare un certo movimento senza costrutto nelle prime azioni di politica estera, nel senso che Prodi, per sua stessa ammissione, impegna il nostro paese in una spola diplomatica tesa più che altro a far "ammuina": vedo questo, parlo con quello, chiedo a quell'altro (per inciso, contatti con quella bigiotteria autoritaria araba ereditati dalle vecchie gestioni social-democristiane degli anni splendenti della prima repubblica). Ma al dunque le uniche cose che conteranno saranno la fine dell'azione militare quando Israele lo vorrà, la proposta di Blair quando Israele avrà completato la potatura del potenziale offensivo di Hezbollah, la missione pragmatica della Rice. Significa che la nostra ammuina di questi giorni non è pragmatica: e infatti è inutile. Prodi lo ammette, ovviamente fra le righe. Ma chi vuol capire può capire: almeno non ci crede neppure lui. Divertente (e in qualche modo rassicurante) la divergenza di analisi con il suo ministro degli Esteri. D'Alema difende Siria e Iran, Prodi è convinto (come tutti gli altri leader tranne D'Alema) che abbiano un ruolo decisivo nel guidare l'azione di Hezbollah. Prodi ha le sue idee, come dire, un po' emiliane ma non è un fesso. Chi diceva che D'Alema era il miglior figo del bigoncio del centrosinistra? Alzate la mano, siate onesti.
Buffa l'ansia di riscrivere i rapporti con Bush. Ora è simpatico, fa battute spiritose, è certamente un'altra persona rispetto a quella del 2001. L'effetto radioattivo degli aerei conficcati nelle torri deve essere svanito. Una seconda riabilitazione, dopo quella regalata a Putin che per un lustro era stato sarcasticamente definito l'amico Vladimir. Poi dicono che la politica estera italiana non sia bipartizan e non abbia continuità. Prima Vladimir e poi George W sono diventati amici anche di Prodi. Tanto amici che addirittura George W s'è detto felice, quasi entusiasta del ritiro delle nostre truppe dall'Iraq. Innocenti, goliardiche, affettuose bugie emiliane, mica come quel Pinocchione del Berlusca: deve essere un virus di Palazzo Chigi. Un virus bonario.
Serio il discorso sul segreto di Stato. Qui Prodi dimostra di saper reggere il ruolo di premier: "Farò dunque ogni sforzo perché la magistratura, che ha un compito di straordinaria importanza, possa svolgere serenamente il suo mandato, ma devo tener presente aspetti di sicurezza e integrità dello Stato". I servizi sono una roba delicata e importante (e, sia detto per inciso, dalla quale i giornalisti farebbero bene a tenersi alla larga).
Appunti garbati ma precisi alla stampa. Ingenerosi, direbbe qualcuno, visto la sponsorship che la grande stampa nazionale concede al centrosinistra (e ricambiata dall'esclusione dell'ordine dalle liberalizzazioni bersaniane, ma tanto poi per quello che s'è fatto...). Siccome li condividiamo, riportiamo il passo: "Ma non è terribile che voi giornalisti perdiate tutto questo tempo con i retroscena, senza occuparvi di quel che accade sulla scena, dove mi pare non manchino gli argomenti. Il Nord, per esempio: ne parlate abbastanza? Non credo. Io verrò a Milano, per incontrare i presidenti Formigoni e Penati e il sindaco Moratti. L'Ocse ha appena pubblicato il suo rapporto su Milano metropoli, ne parlerete? Il governo si riunirà, simbolicamente, a Milano in autunno. Ma la stampa incalza politici, imprenditori, prova a stanare la società dallo status quo?." Eppure, caro presidente, chieda ai suoi ministri che tipo di giornalisti preferiscono.
Prodi ha in uggia la demagogia. Bene. Un po' meno la retorica. C'è retorica a piene mani sul gol di Grosso e la vittoria del Mondiale. E coinvolge i rapporti con la Germania, il ruolo di Napolitano, la spinta del paese, il cinismo dei giovani e l'arretratezza culturale degli imprenditori (cosa, quest'ultima, sulla quale siamo d'accordissimo). Speravamo che questa melassa del Mondiale finisse nella settimana successiva alla vittoria di Berlino. Ma forse è colpa di Riotta. Prodi sul calcio è un novizio, a volte eccede, altre volte ripete quello che gli dicono i suoi. Che non sono dei geni.
Politica, maggioranza e partito democratico. Appunto, i suoi non sono dei geni. Bacchettate al giovane Enrico Letta, forse nominato a quel posto per eredità familiare. Si capisce perché si mormori dell'arrivo in quelle stanze di un marpione come Parisi. I nipoti so' pezz 'e core ma a volte dovrebbero fare ancora molta gavetta. Sul braccio di ferro con i tassisti, proprio non ce la fa. Se la vittoria del governo è quella di scaricare le decisioni sui sindaci, basta l'esempio di Veltroni per capire come andrà a finire, anche perché il problema per l'utenza riguarda soprattutto alcune grandi città. In Italia non sono molte: Roma, Milano... appunto. Hanno vinto i tassisti, e di brutto. Su questo piano il governo Prodi sembra quello D'Alema: annunci e marce indietro. Grazie ministro Bersani: ora difendiamo i piccoli tassisti che le hanno fatto un mazzo così contro le multinazionali dei tassisti afro-asiatici; la smetta di dire fesserie e... vabbé, questo non c'entra con l'intervista a Prodi. Oltre la politica quotidiana, i progetti sul partito democratico sono molto teorici e poco pratici. Forse dovrebbero ingaggiare la Rice per disegnare una road map percorribile. Sarebbe una buona cosa, il PD, ma lo si può fare con gli ex comunisti? E con una Margherita che ha aggregato sul territorio un vasto personale politico tanto scadente e ambiguo da fare concorrenza (e infatti la fa) a quello di Forza Italia? Pare difficile. Il partito democratico sta a zero, come a zero sta il partito unico del centrodestra. Stallo. E' la crisi della seconda repubblica. Credo che il governo Prodi stia scrivendo uno dei capitoli conclusivi di questa grande, infinita e alla fine improduttiva transizione italiana. Ah, non c'è neppure per sbaglio un accenno a TPS. E' un caso, certamente, e certamente colpa di Riotta. Però.
A chiudere. L'intervista non dipana i dubbi che, nelle ultime settimane, hanno preso a circolare sulla tenuta del governo Prodi. Semmai li accresce. Ne viene fuori un Prodi già stanco, con alcune idee che sarà difficile realizzare, azioni di melina sulla politica internazionale (e dunque si faciliterà il lavorìo di sottofondo della sinistra dalemian-pacifista), e l'unico collante che resta, sempre e costante, quello di non ridare l'Italia in mano a Berlusconi. Ma sono sicuri, lorsignori, che Berlusconi davvero la rivoglia indietro, questa Italia?
UPDATE: visto che il post è uno dei pochi linkati ancora su Tocqueville, aggiungo qui una considerazione aggiornata. Dopo l'intervista a Riotta, è giunta la notizia della scelta di Roma come sede per la riunione del Core Group per il Libano. Sarà il primo vertice sulla crisi tra Israele e Libano e Roma è stata preferita al Cairo anche per motivi di sicurezza. Non abbiamo problemi a indicare questa conferenza come un risultato concreto dell'azione del governo italiano e a salutarla come il primo, vero segnale di continuità rispetto al protagonismo del precedente governo sullo scenario internazionale (anche se di segno differente, come è ovvio che sia). Che è poi il protagonismo dell'Italia, dunque la cosa che importa. E importa non per anacronistico nazionalismo, ma perché pensiamo che il nostro paese abbia le qualità per dire qualcosa di utile e sensato nelle crisi internazionali. Sia quando si schiera al fianco dei paesi che combattono il terrorismo internazionale, sia quando tira le fila diplomatiche per contribuire a risolvere crisi politiche (e magari rilanciare il ruolo della Nato).