domenica, luglio 23, 2006
L'altra faccia del Levante
Cipro, Europa. E' l'altra faccia della guerra nel Levante (noi, adriatici e salentini, chiamiamo quella parte del Mediterraneo orientale così vicina alle nostre coste Levante e non Medio Oriente). Sfollati, li descrivono le agenzie di stampa e le tv all-news di tutto il mondo collegate live con il nuovo teatro bellico di questa estate (per chi può accedere al satellite, la tv che copre con maggiore professionalità questo ultimo conflitto è Sky News). Profughi, anche. Occidentali rimpatriati e libanesi che fuggono dai bombardamenti e dall'incertezza che è tornata ad avvolgere il Libano, paese splendido, complesso e sfortunato. Certo, la nuova primavera che solo un anno fa ci aveva fatto riempire i blog e i giornali di speranza e di foto e di ammirazione, è sfiorita di fronte alla realpolitik, quella che obbliga a tenere conto dei totalitarismi arabi che hanno stabilmente infiltrato il Libano con le milizie hezbollah e con i bracci politici asserviti a Siria e Iran. Israele aveva il diritto di difendersi, dopo che aveva unilateralmente intrapreso la strada del disimpegno e del ritiro, dopo che aveva dimostrato di voler scommettere, ancora una volta, nella possibilità della pace. Tuttavia, in queste ore, le colonne di profughi che risalgono le strade da sud a nord del Libano richiamano alla memoria le scene tragiche che abbiamo visto dieci anni fa nel territorio balcanico. E il Levante, per noi, è come i Balcani, terra della nostra terra. I porti ciprioti che si ingolfano di sfollati sbarcati dai traghetti provenienti dal porto di Beirut ricordano i nostri porti pugliesi invasi dalle migliaia di albanesi che nel 1991 fuggivano dai colpi di coda del regime comunista. I libanesi fuggono dalle bombe e dalle contraddizioni di un paese a sovranità limitata, che non è riuscito a imporre il proprio diritto alla libertà e alla democrazia e alla sicurezza nelle regioni del sud infestate dalle milizie hezbollah. Mentre infuria la battaglia, il dramma delle popolazioni deve spingere la diplomazia a fare il possibile per riprendere il bandolo della matassa. Con l'augurio che la lezione sia chiara: soluzioni di compromesso con i paesi totalitari e con le milizie radicali servono solo a postporre i problemi. L'ambiguità non paga e alla lunga sono le popolazioni civili a pagarne le conseguenze. Mercoledì a Roma la diplomazia internazionale vivrà un appuntamento decisivo: l'augurio è che sia all'altezza del momento drammatico che il mondo sta vivendo.