martedì, luglio 25, 2006

Identitaria / 2

Leggo la risposta di Marcello Pera al documento di Gianfranco Fini sulla nuova linea politica di An. Un intervento nel complesso intelligente e sensato, un'analisi sul futuro della destra e della coalizione di centrodestra, non priva di risentimento per l'afasia politica del partito cui Pera fa riferimento (Forza Italia) e del suo leader (Berlusconi), anche se Pera queste cose le dice fra le righe e non esplicitamente. Ma si sa, le regole della politica sono queste e qualche volta le critiche è meglio nasconderle sotto i ghirigori. Tutto bene, dunque, se non fosse per due frasi, non nuove nel pensiero dell'ultimo Pera. Non nuove, e per questo un po' scontate, nel senso che mostrano forse coerenza ma certamente una fossilizzazione su posizioni marcate e dunque incapaci di costituire il baricentro di un raggruppamento più ampio. Mentre ora che si avvia un rimescolamento generale nel centrodestra, servirebbe un respiro più aggregante. Ecco le frasi:

"...in un’Europa in cui il relativismo etico sta sciaguratamente trasformando il fenomeno crescente della multiculturalità nell’ideologia perversa del multiculturalismo senza identità (cioè “meticcio”, per usare la formula gradita ai benpensanti). E perciò hanno bisogno, questi produttori e al tempo stesso portatori di valori, di politiche della famiglia, della vita, della dignità della persona, tutte cose che l’Europa dei matrimoni omosessuali, dell’eutanasia, dell’eugenetica, delle sperimentazioni sugli embrioni, sta disgraziatamente perdendo".

"La seconda, che Fini però non dice, è che lo stesso Partito popolare europeo è oggi in buona parte da rifare, affetto com’è, in alcune sue componenti soprattutto tedesche, da residui assistenzialisti poco attraenti per i produttori di reddito, e, in genere, incline a cedevolezze multiculturaliste, relativiste e laiciste, e perciò poco appetibile ai produttori di valori".

Certo, estrapolare è sempre un'operazione un po' azzardata. Ma siamo sicuri, senatore Pera, che quei residui assistenzialisti che intavvede nelle componenti "soprattutto tedesche" (e che mescola con il solito cocktail di multiculturalismo-relativismo-laicismo) non siano, molto più banalmente, la capacità di sintetizzare quel tanto di tradizione necessaria (in una società contemporanea ed evoluta) con quel tanto di modernità inevitabile? Cioè, non crede che altrove, nella stessa Europa, quella che lei spaccia per decadenza - trattando libertà (anche sessuali) per mine vaganti o enfatizzando eccezioni rispetto alle regole - sia soltanto un altro modo (e forse più riuscito) di vivere senza complessi e senza paure la modernità? Glielo domando perché frequentandola, quell'altra Europa, io la trovo più avanzata, più efficente, più seria, e anche più sensibile (più compassionevole?) della nostra, cioè di quel nostro piccolo ombelico provinciale attorno al quale stiamo avvitando i nostri slogan e le nostre paure e anche le nostre vittorie (calcistiche) ridotte a retorica di propaganda politica al ritmo del po-po-po-po-poro. Le dirò: se Fini non avesse prodotto il suo documento all'indomani dello scandalo delle veline, ci sarei cascato. Ma alle illusioni abbiamo già dato e il "politico del giorno dopo" non ci incanta neppure lui.

Quando le cose si fanno complesse, i discorsi intricati e le riflessioni si annebbiano nell'ora tarda della notte, sovviene sempre qualche amico a indicarci, se non la via, almeno un cammino. E ho trovato nel blog di Mercuzio (l'autore è il mio amico Vittorio Macioce, che dovrebbe tornare ad aggiornarlo più spesso) un'oasi "antiseriana" (e dunque anche cattolica) nascosta in un frammento di un'intervista a Salman Rushdie. Eccola:

La soluzione?
«La soluzione, appunto?».
Trovare identità forti.
«È un'illusione, un'utopia. Non è più possibile identificare qualcuno con un solo aspetto. Dobbiamo arrenderci alla bellezza, e alla libertà, dell'uomo politeista. Non nel senso di un uomo che crede in numerosi dei, ma di un uomo che convive con le sue molteplici identità. Non è più vittima di una definizione monocromatica di se stesso. Quest'ansia di appartenenza ha conseguenze politiche drammatiche. La monoidentità esclude la tolleranza».