"Prima di scendere dall'aereo era d'obbligo coprirsi con un velo, ma il vero choc mi aspettava all'uscita dall'aeroporto, per le strade di Kabul: l'impatto con la totale segregazione sessuale imposta dai taleban era inimmaginabile. Una società amputata della sua metà, la nostra metà. Per le strade si vedevano solo maschi, dietro i quali, a volte, come un'ombra apparivano dei burqa ambulanti, fantasmi senza volto, senza voce, senza nome. Le donne non potevano prendere un taxi o un bus se non accompagnate da un parente, subito dopo l'arrivo dei taleban a Kabul, nel settembre del 1996 non potevano nemmeno uscire di casa, misura che rischiava di far morire di fame tutte le vedove che, in un paese in guerra da oltre vent'anni, sono decine di migliaia. I taleban avevano così dovuto rivedere, ma solo parzialmente, la loro decisione. Le donne rimanevano il grande pericolo da fronteggiare con la cancellazione della loro presenza. Se non le si poteva recludere occorreva tenerle chiuse dentro un burqa. Anche quando uscivano di casa, non dovevano essere viste né sentite: vietata la voce che può suscitare richiami sessuali o i tacchi che, con il loro ticchettio, potevano far notare l'inquietante presenza femminile. Per non parlare del trucco che tuttavia le donne sfoggiavano non appena potevano sollevare il burqa."
Giuliana Sgrena, Alla scuola dei taleban, 2002
Oggi a Kabul le donne sono tornate visibili. Escono di casa, lavorano, addirittura votano. Possono togliersi il burqa, se lo desiderano. Grazie alla guerra degli americani voluta da George W. Bush. Sono le contraddizioni della vita e i paradossi che seminano dubbi nelle posizioni ideologiche. Più che liberate la pace, questo blog chiede: liberate Giuliana Sgrena!