Nonostante il lavoro un po' più sedentario di prima, nonostante il blog di viaggi e politica estera subisca inevitabilmente l'urgenza dei fatti (si deve conoscere il mondo in cui viaggiamo, o no?), ogni tanto è bello tornare alle origini. Sette giorni in Germania, tra Francoforte e Berlino, a cavallo del nuovo anno. Piccole cartoline tedesche. La Germania è ormai la patria del politicamente corretto. Al conformismo aggiungete l'eterno senso di colpa per la seconda guerra mondiale, il nazismo e l'olocausto. Oggi sono i più buoni fra i buoni. E in un certo senso, meglio così: se l'alternativa è tra il politicamente corretto e il nazismo, senza dubbio meglio il primo. Oggi il cancelliere Schröder ha annunciato che il governo stanzierà 500 milioni di euro per le vittime dello tsunami. E' il secondo più alto contributo governativo tra quelli stanziati sinora (dopo l'Australia). Aggiungetevi i 10 milioni di Michael Schumacher e un altro paio di centinaia di milioni in donazione dai privati, cittadini e imprese. Per essere un paese in crisi, 'sta Germania ha il cuore grande. E magari qualche interesse a sponsorizzare un seggio permanente all'Onu. Peccato che i tedeschi se ne fottano degli iracheni.
Bellissima la Kurfüstendamm berlinese addobbata per Natale. Niente pacchianerie, luci bianche, fittissime, un'illuminazione azzeccatissima. La migliore degli ultimi anni. Per chi conosce Parigi, un po' stile Champs Elysees, con in più il fatto che la Kurfüstendamm è più raccolta, gli alberi più vicini e l'effetto delle luci più intenso, passando di ramo in ramo, di albero in albero, sino a formare un tunnel di luci bianche. Peccato che il primo gennaio s'è sbaraccato tutto.
Resiste invece l'illuminazione sulla Unter den Linden. Luci bianche aggrovigliate ai tronchi nudi dei tigli, per tutta la lunghezza del viale, dalla Porta di Brandeburgo all'università Humboldt. Bella ma uguale a quella dello scorso anno. D'altronde perché cambiare? Magari perché siamo a Berlino.
Capodanno sotto tono, meno botti in onore delle vittime dello tsunami, così diceva il Tagesspiegel. Dove ho festeggiato io se ne sono fottuti dello tsunami. Quartiere Mitte, pieno centro della vecchia Berlino Est. Hanno sparato come forsennati. E non c'erano turchi a dar manforte.
Aumenta la disoccupazione. Le statistiche dell'istituto di Norimberga portano il dato complessivo oltre i 4 milioni di senza lavoro. Maglie nere, come ovvio, ad Est. Il Land di Berlino se la passa proprio male, siamo quasi al 20 per cento, risultato da Italia del Sud, assieme a tutti i Länder orientali. Schröder aveva detto, qualche settimana fa, che la Germania resta leader fra i paesi esportatori e che, nonostante l'euro forte (Danke Herr Prodi), il prodotto teutonico tiene grazie al suo alto contenuto tecnologico. Vero, però l'occupazione non ne beneficia. Fine del lavoro.
Se fate un salto a Berlino, nei prossimi mesi, perdetevi nelle vie tra Alexanderplatz, Oranienburger Strasse (dove c'è la bellissima sinagoga restaurata da un paio d'anni) e gli Hackesche Höfe. Entrate in tutti i cortili che vedete aperti, sono spesso collegati fra di loro e restaurati alla perfezione. Atelier di alta moda, o moda alternativa, o moda sofisticata. Parrucchieri di moda. Studi di architetti (di moda) con finestre a vista sui progetti che brillano dagli schermi dei computer (secondo me le finestre non servono agli architetti per guardare fuori ma ai passanti per guardare dentro). Gallerie d'arte di moda. Caffè e bistro fighetti e di moda. Negozi di modernariato e di antiquariato molto di moda. Negozi di souvenir kitch poco di moda (non ne possono fare a meno neppure qui). Insomma il quartiere forse è un po' troppo artificiale, la concentrazione di fighetti è troppo alta per essere vera, in fin dei conti Berlino non è New York anche se prova a scimmiottarla, ma l'impressione resta gradevole e vale la pena di una visita.
Ah, dimenticavo Francoforte. Ma finché lì c'è la Banca Centrale Europea, di Francoforte non parlo. Le uniche cose buone sono i suoi due aeroporti, Frankfurt e Hahn, dai quali si può fuggire in tutto il mondo e a tutti i prezzi, high-cost o low-cost.