lunedì, novembre 09, 2009

«La notte che alzammo la sbarra»


Il sole fatica a spuntare da dietro una spessa coltre di nubi. La mattina del 9 novembre 1989 è grigia e uggiosa come capita spesso da queste parti. Per vederci qualcosa, nel suo studio al ministero degli Interni di Berlino Est, Gerhard Lauter è costretto ad accendere tutte le luci. È il responsabile del settore che regola passaporti e visti per i cittadini della Ddr. Il politburo gli ha commissionato di redigere un nuovo testo legislativo che stabilisca quello che ormai la piazza chiede a gran voce: la possibilità di viaggiare in Germania Ovest, passando direttamente attraverso i punti di frontiera fra i due stati tedeschi. Anche quelli all’interno della città di Berlino. Il tempo stringe e il progetto deve essere pronto per mezzogiorno. La Cecoslovacchia non regge più l’urto dei profughi e ha minacciato di chiudere i confini in giornata. La pressione può diventare esplosiva. L’unica salvezza è aprire una valvola.

Nel chiuso delle quattro mura, Lauter si consulta con tre esperti mandati da Erich Mielke, il capo della Stasi. La loro proposta è ormai vecchia, superata dagli eventi: libertà di lasciare il paese per sempre. Non è più tempo. Bisogna concedere di più: lasciare il paese ma anche poter rientrare, se uno lo vuole. Libertà di andare e tornare, non espulsione. La situazione non lascia alternative e Lauter non fatica troppo a convincere gli altri tre. Per mezzogiorno il progetto è pronto, Lauter detta i punti alla sua segretaria, dalla macchina da scrivere esce la nuova legge che un autista porterà sul tavolo del comitato centrale del partito, riunito dal giorno prima in seduta straordinaria.

«Io a quella riunione non ho partecipato», ricorda oggi Günter Schabowski, allora membro del politburo e addetto ai rapporti con la stampa. Schabowski è l’uomo che ha aperto il muro, involontariamente. Qualche tempo fa lo abbiamo incontrato nell’associazione della stampa estera a Berlino dove ha ricostruito passo per passo gli eventi della sera che entrerà nella storia. «Arrivo all’ultimo momento, prendendo posto a fianco di Egon Krenz pochi attimi prima di gestire una conferenza stampa indetta per le 18. La nuova legge per i viaggi all’estero era stata approvata senza troppe discussioni, tutti speravamo che la sua entrata in vigore avrebbe allentato la situazione, reso di nuovo credibile il nostro governo e aperto la strada a una stagione di riforme sull’onda della perestrojka gorbacioviana». Prima di muoversi, Krenz gli passa i fogli contenenti le indicazioni della nuova legge: «Ne puoi parlare con i giornalisti», mi disse. «Quello che non sapevo è che nel frattempo Lauter aveva anche preparato i dettagli, con le disposizioni per la polizia di frontiera e, soprattutto, la data di avvio, il 10 novembre».
Sono le 18 in punto. Fuori sono già calate le tenebre, anche se qua e là fra la foschia gruppi di dimostranti continuano a sciamare per le strade, specie nei pressi del palazzo dove si svolge il comitato centrale. Nei quartieri più periferici è già iniziato il tipico “Feierabend” tedesco, quel periodo del dopolavoro dedicato a una birra nelle kneipe. A ovest, nel grande magazzino del KaDeWe, la vetrina d’occidente, nel reparto alimentare al sesto piano sta per iniziare un ricevimento privato per gourmet. Inge Vollmer, montaggista ai servizi giornalistici della tv regionale occidentale Sfb, sta andando con il marito a un ricevimento organizzato dall’assessore al traffico di Berlino Ovest nel museo del trasporto pubblico, a due passi dal muro che taglia la vecchia Potsdamer Platz. Schabowski entra con puntualità prussiana nella sala conferenze, lo attendono duecento giornalisti che seguono le ore drammatiche della Ddr.

La tv occidentale, seguita anche a est, trasmette in diretta. In prima fila ha preso posto con buon anticipo il reporter della Bild Peter Birkmann, catapultato a Berlino dalla sua redazione con il suggerimento che forse stava accadendo qualcosa. Ma la conferenza scivola via noiosa e piena di inutili indicazioni burocratiche. Dalla porta in fondo entra in ritardo il giornalista italiano dell’Ansa Riccardo Ehrmann. Non c’è più un posto a sedere, così Ehrmann si piazza sui gradini sotto il podio da cui Schabowski sta parlando. «Me lo ricordo bene Ehrmann», dice Schabowski, «gli do la parola quando ormai eravamo alla fine. Mi fa una domanda sulla legge sul diritto di viaggio che già da giorni ballonzolava tra le varie burocrazie del nostro stato e in quel momento mi ricordo dei fogli che mi aveva dato Krenz. Li cerco, li trovo sotto la cartellina che avevo davanti e comincio a leggere, contento di poter ribattere che avevamo approntato un provvedimento nuovo». Le immagini riflettono uno Schabowski impacciato e balbettante, che dimostra di non conoscere il contenuto della legge. Sembra quasi lo scopra in quel momento. Quando annuncia il diritto di lasciare la Ddr da tutti i varchi di frontiera con la Germania Ovest, i giornalisti gli chiedono: «Vale anche per Berlino?». Risposta: «Sì, anche per Berlino». Il reporter della Bild capisce che è arrivato anche il suo momento: «Da quando entra in vigore?». È questa la domanda decisiva. «Guardo le carte», ricorda Scabowski «e non trovo alcuna indicazione sulla data». La risposta che cambia la storia del mondo arriva un attimo dopo: «Ab sofort, da subito».

Sono le 18 e 53 minuti. Nelle case, nelle kneipe, in ogni luogo ove vi sia una televisione, si fa fatica a credere alle proprie orecchie. Ma l’ha detto Schabowski, il muro è caduto. Nel museo dei trasporti a Berlino Ovest un funzionario si avvicina all’orecchio dell’assessore e sussurra qualcosa. La voce si sparge, dicono che sia caduto il muro. Inge Vollmer si alza dal tavolo e decide di andare a vedere di persona. Con il marito al fianco, guida l’auto con il contrassegno “stampa” fino al Checkpoint Charlie: «Non c’era più un posto libero, il poliziotto mi dice che posso parcheggiare in qualsiasi punto, tanto c’è un caos dappertutto. Dall’altra parte si vedeva la folla ma nessuno poteva ancora passare». I momenti più concitati si vivono all’altro capo di Berlino Est, al punto di frontiera della Bornholmer Strasse. Lì la pressione aumenta di minuto in minuto, i cittadini hanno ascoltato Schabowski in tv e ora vogliono passare dall’altra parte.

Le guardie di frontiera, però, non hanno ricevuto alcuna istruzione, perché la legge sarebbe dovuta entrare in vigore il giorno dopo, alle 4 della notte. In quei minuti il regime si dissolve. Dal ministero della Stasi arrivano alle guardie di frontiera indicazioni irricevibili: «Mandateli a casa». Sono già troppi, premono sempre di più e cominciano ad arrabbiarsi. Tra la folla compare un ciclostilato che riporta per filo e per segno le dichiarazioni di Schabowski. Non c’è più nulla da fare, se non scegliere: chiamare i rinforzi e sparare sulla folla o alzare la sbarra. La notte è dolce, la sbarra si alza, il muro è caduto. Due ore dopo, davanti al KaDeWe, una folla enorme vorrebbe partecipare alla festa culinaria. Non si può. Torneranno, ancora più numerosi, il giorno dopo. E l’altro ancora.

Pubblicato sul Secolo d'Italia il 7 novembre 2009.