Particolare della cupola del Bundestag (fotowalkingclass)
Inizia con questo articolo scritto per la rivista mensile Formiche la serie sulle elezioni politiche tedesche del prossimo 27 settembre. Articoli, analisi, sondaggi e commenti vari, recuperati dalle collaborazioni con le varie testate o dai post esclusivi per questo blog, sono raccolti nel secondo dossier di Walking Class (l'altro è quello sul ventennale della caduta del Muro) che troverete sempre nel blogroll di fianco. Si chiama Kanzlerweg [D-09].
Gli occhi di tutti i tedeschi sono puntati sul 27 settembre, la data in cui gli elettori rinnoveranno parlamento e governo, Bundestag e Cancelleria. Tuttavia, questo 2009 si carica di forti significati storico- politici. E' un anno in cui passato e contemporaneità si intrecciano senza soluzione di continuità, portando al pettine tutti i nodi della lunga vicenda postbellica della Germania. Anzi, delle Germanie. Si celebrano i sessant'anni dalla fondazione della Repubblica federale e i vent'anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine della Repubblica democratica. E il voto politico di settembre è solo il punto finale di una lunga catena elettorale, partita dall'Assia, proseguita nell'assemblea che ha rieletto il presidente della Repubblica e nel voto per il parlamento europeo e che avrà nelle prossime settimane ancora due tappe fondamentali nei Länder di Turingia e Saar, quindi in Brandeburgo e Schleswig-Holstein). Un super anno elettorale, come è stato ribattezzato, piombato nel mezzo di una crisi economica globale che in Germania sta mostrando il suo lato più duro.
Lo scenario politico tedesco si è peraltro profondamente modificato negli ultimi tempi. L'impatto della riunificazione non ha tardato a farsi sentire anche sul piano partitico e l'irruzione del turbolento est nella tranquilla vita politica dell'ovest ha messo in dubbio antiche certezze e consolidate abitudini. La Grosse Koalition, l'alleanza fra i due grandi partiti di massa tradizionalmente alternativi, è in fondo solo una conseguenza della crisi di un sistema politico finora noto per la sua solidità. L'irruzione dell'oriente è in gran parte rappresentata dall'ascesa stabile di un quinto partito, la Linke, che ha proprio nei nuovi Laender le sue roccaforti elettorali. Espressione della sinistra radicale, è l'erede del vecchio partito comunista della Ddr, la Sed, ma ha aggiornato il proprio patrimonio programmatico, si è alleata con la componente massimalista fuoriuscita dall'Spd e ne ha affidato al suo leader Oskar Lafontaine la guida, smussando così il suo profilo nostalgico. E' stato il fenomeno politico degli ultimi anni: ha eroso consensi al partito socialdemocratico, ha scoperto toni populistici nella sua azione di opposizione ma ha anche mostrato capacità di governo alla guida di alcune regioni dell'est alleandosi proprio con l'Spd, come nella capitale Berlino. E ora si posiziona stabilmente fra il 10 e il 12 per cento, più del doppio dei voti conquistati nel 2005. Curiosamente, ha interrotto la sua ascesa proprio nel momento in cui la crisi economica ha cominciato a mordere la carne viva dell'economia tedesca.
Ad ogni modo la presenza stabile di un quinto partito, peraltro ancora escluso da ipotesi di coalizione a livello federale, ha fatto saltare il banco del sistema partitico tedesco, rendendo numericamente difficili le tradizionali coalizioni di governo. La Grosse Koalition nasce da questa impasse, che si è aggravata nel corso degli ultimi quattro anni. Alla crescita della Linke, infatti, si è accompagnata l'ascesa degli altri partiti minori, i verdi e soprattutto i liberali. E i politologi parlano ormai apertamente di crisi dei grandi partiti di massa. I sondaggi di opinione indicano l'Spd ai minimi storici, tra il 24 e il 26 per cento e la Cdu-Csu bloccata al 35, lo stesso risultato del 2005, nonostante il vasto consenso di cui gode la cancelliera Angela Merkel. All'interno del gruppo conservatore, la Csu, la costola bavarese cristiano-sociale, è reduce da una sconfitta storica nelle elezioni regionali dello scorso autunno, nelle quali è scesa dopo quattro decenni sotto la soglia del 50 per cento. Al contrario, verdi e liberali vengono ormai da tempo accreditati di percentuali nazionali superiori al 10 per cento.
Anzi, il testimone di partito emergente incarnato dalla Linke prima della crisi economica è stato oggi raccolto (sempre curiosamente) dall'Fdp di Guido Westerwelle, il partito liberaldemocratico che non sembra fare sconti ai suoi principi di libero mercato. Westerwelle è stato il protagonista degli ultimi mesi, il suo partito ha toccato nei sondaggi anche punte del 18 per cento, oggi viaggia tra il 13 e il 15 ed è diventato, di consegunza, l'oggetto del desiderio dei due candidati dei partiti maggiori, la Merkel e il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier. Cancelliera e vice-cancelliere, man mano che l'appuntamento elettorale si approssima, si stanno trasformando da alleati in acerrimi avversari. I liberali potrebbero essere decisivi per il prossimo governo, sia con i cristiano-democratici, in una riedizione della coalizione liberal-conservatrice come ai tempi di Helmut Kohl, sia con socialdemocratici e verdi, un aggiornamento della coalizione liberal-socialista dei tempi di Willy Brandt e Helmut Schmidt.
Il caleidoscopio di colori con cui i tedeschi disegnano il loro panorama partitico esprime una tavolozza variopinta che testimonia l'incertezza dei tempi. Ampelkoalition, coalizione semaforo, designa l'alleanza tra Spd, verdi e liberali. Schwarz-Gelb, nero-giallo indica quella tra liberali e conservatori. E nelle speculazioni degli esperti ha fatto capolino da tempo una terza opzione, la pittoresca Jamaikakoalition, coalizione Giamaica, dai colori della bandiera del paese caraibico riconducibili a Cdu (nero), Fdp (giallo) e verdi. La necessità di sviluppare alleanze programmatiche inedite per superare l'impasse elettorale ha spinto partiti, prima lontanissimi tra loro, a lunghe e faticose trattative per misurare i margini di possibili alleanze. Verdi e Cdu non sono mai stati così vicini come in questi tempi: i primi hanno accantonato gli accenti estremistici della prima ora, i secondi, specie sotto l'impulso della Merkel, hanno abbracciato le politiche ambientaliste. Assieme governano una città stato come Amburgo, capitale del commercio e dell'editoria. Ma i tempi non sembrano ancora maturi per questo tipo di alleanza, così come non lo sono per un coinvolgimento della Linke in un eventuale esecutivo di sinistra.
Se i commentatori tedeschi sono un po' a disagio con questo scenario in movimento, noi italiani ritroviamo aria di casa. Non ci sorprende, dunque, che questa volta tutti i partiti annuncino la coalizione dei desideri ma siano decisi a presentarsi con le mani libere. Sarà il voto a determinare i giochi politici. La Germania non elegge direttamente il cancelliere: questi è l'espressione delle trattative fra i partiti ed è nella sfera della politica che bisogna guardare nel caso probabile di un risultato interlocutorio. Angela Merkel parte favorita, non solo perché il suo partito sarà abbondantemente il primo partito del paese e perché la sua popolarità è di otto punti superiore a quella del suo avversario, ma perché la Cdu sembra avere più capacità coalizionale degli altri. La rielezione del presidente Horst Köhler (Cdu) ha dimostrato che, sul piano parlamentare, la cancelliera sa giocare le carte vincenti. Ha rafforzato il rapporto con l'Fdp e ha inflitto all'Spd una sconfitta d'immagine cui i socialdemocratici avrebbero volentieri fatto a meno.
C'è anche un altro aspetto che gioca a favore della Merkel. Come avverte il politologo Gerd Langguth, “i tempi di crisi sono tempi del cancelliere”. E Angela Merkel, dopo un iniziale smarrimento, ha saputo gestire con accortezza questa fase difficile, accentuando il profilo sociale del suo partito in nome dell'economia sociale di mercato. Un cavallo di battaglia storico della Cdu, oggi in grado di rassicurare cittadini spaventati in cerca di protezione. La domanda più pressante è semmai con chi governerà Angela Merkel. I sondaggi indicano che tutte le opzioni tradizionali sono lontane o (come l'ipotesi liberal-conservatrice) appese al filo sottile di una strettissima maggioranza. Tutte, tranne una riedizione della Grosse Koalition. Se così fosse, sarebbero otto anni di compromesso fra Cdu e Spd. E se un'alleanza straordinaria dovesse trasformarsi in un progetto stabile di governo del paese, il quadro politico della Germania ne uscirà automaticamente modificato.
(pubblicato sul numero di luglio del mensile Formiche)