Conferenza con i giornalisti della VAP, la stampa estera (fotowalkingclass)
Frank-Walter Steinmeier è un ottimo ministro degli Esteri. Ma a guardarlo da vicino appare la persona meno indicata a contendere la Cancelleria ad Angela Merkel. Lo attende una sorta di missione impossibile: riportare l’alleanza rosso-verde al governo, rilanciare le sorti della socialdemocrazia in Germania, invertire la tendenza negativa della sinistra europea. Tutto in un colpo solo, nell’elezione che il prossimo 27 settembre porterà oltre 60 milioni di tedeschi alle urne per rinnovare parlamento, governo e cancelliere.
Il fatto è che il vento tira contro. Innanzitutto quello dei sondaggi. Ne girano tanti, di questi tempi, ma nessuno accredita Steinmeier del successo. La curva è anzi al ribasso, la distanza da Angela Merkel aumenta di settimana in settimana e gli ultimi dati sfornati nei giorni scorsi confermano la tendenza al successo pieno della coalizione di centrodestra formata da Cdu-Csu e liberali. Se poi ci si mette anche il presidente Obama che, secondo indiscrezioni non smentite dello Spiegel, avrebbe confessato alla Merkel nel recente incontro a Washington “ma di cosa si preoccupa, lei ha già vinto le elezioni”, allora per il candidato socialdemocratico la partita si fa davvero dura.
Frank-Walter Steinmeier è un ottimo burocrate prestato alla politica. Ma ci vorrebbe un animale elettorale come Gerhard Schröder per provare l’impossibile recupero. Il ministro degli Esteri, che di Schröder è stato a lungo collaboratore, è invece più un perfetto gentleman abituato ai passi felpati delle retrovie, un leale partner di governo, un funzionario scrupoloso e diligente poco avvezzo ai bagni di folla di una campagna elettorale.
Di fronte ai giornalisti della stampa estera riuniti in una sala dell’ Auswärtiges Amt, la Farnesina tedesca, Steinmeier prova innanzitutto a convincere se stesso: “Non guardo i sondaggi e vi invito a non prendere come riferimento il dato del recente voto europeo”. Sono numeri scomodi, che sconsiglierebbero a chiunque di buttarsi in questa avventura: l’Spd è inchiodata al 20-21 per cento, il dato più basso della sua lunga e gloriosa storia, una cifra che ne mette in forse il ruolo di partito di massa nella politica tedesca. Steinmeier cita il padre storico dell’Spd, Willy Brandt, per spiegare come si muoverà: “Quando uno è sicuro della propria linea, ma essa non è ancora popolare, allora non bisogna cambiare linea ma renderla più popolare. E’ quello che mi aspetto da tutti i socialdemocratici”. Il problema è che il tempo stringe e non sembra giocare a suo favore.
Il segreto per restituire almeno una speranza al proprio partito è dunque quello di mobilitare i candidati e l’elettorato che alle Europee non è andato a votare. Solo che il partito fa di tutto per togliere qualsiasi speranza al candidato. Litiga su ogni cosa. Solo nell’ultimo fine settimana, l’ex ministro dell’economia di Schröder, Clement, s’è scagliato contro l’attuale ministro spd dell’Ambiente Gabriel sull’argomento delle centrali nucleari mentre l’ala massimalista del partito è insorta contro le dichiarazioni del titolare delle Finanze Steinbrüch, che a sua volta aveva criticato con particolare ferocia il progetto sulle garanzie per le pensioni del suo collega (di governo e di partito) Scholz, ministro del Lavoro. Una sorta di perpetua corrida tra le due anime tradizionali della socialdemocrazia tedesca, quella riformista e governativa e quella più movimentista.
Difficile in queste condizioni restituire fiducia al proprio elettorato. L’assenza di una leadership forte, in grado di mediare tra le due ali e offrire pubblicamente l’immagine di un partito unito e ragionevole, pesa gravemente in queste settimane iniziali di campagna elettorale. Eppure la delegazione socialdemocratica nel governo di Grosse Koalition è stata operosa e leale: ha contribuito alla stabilità di un esecutivo nato sull’emergenza, ha imposto alla Merkel misure economiche utili per affrontare con agilità la crisi economica evitando pesanti ricadute sociali, si è distinta per politiche ragionevoli e responsabili. Steinmeier vorrebbe puntare su questo capitale per risalire la china, ma la litigiosità interna al partito non lo aiuta.
Dalla caduta di Schröder, l’Spd ha sperimentato prima la breve guida del brandeburghese Platzeck, poi quella ondivaga di Beck precipitato nei marosi del conflitto interno, infine il ritorno della vecchia guardia schröderiana con la diarchia Müntefering-Steinmeier: il primo presidente del partito, il secondo candidato alla Cancelleria. Ma anche questa scelta non sembra giovare alle sorti elettorali, perché il candidato non è anche il capo del partito e ciò ne indebolisce la credibilità in quanto leader.
Steinmeier vuol dimostrare comunque di essere anche un buon combattente. Dice che la campagna elettorale deve ancora iniziare e, quando sarà il momento, lui e il suo partito ci saranno. “I tempi sono difficili e non sarà una competizione con grandi illusioni. Al centro ci sarà il tema della crisi economica e gli elettori vorranno sapere due cose: chi è più in grado di gestirla e chi ha idee migliori per venirne fuori”. La prima risposta, secondo Steinmeier, è proprio nella tenuta della delegazione socialdemocratica al governo: “Non avremmo questa situazione di relativa tranquillità sociale se non avessimo imposto alla Merkel le nostre idee e i nostri progetti”. La seconda proverà a ripeterla agli elettori nelle prossime settimane: “Puntare sulla formazione dei giovani, solo un’alta qualificazione permetterà loro di affrontare il mercato del lavoro di domani”.
Basterà questo per evitare il peggior risultato elettorale di sempre? Pubblicamente Steinmeier non può che sostenere di sì: la battaglia è aperta. L’impressione, però, è che dietro le quinte il partito abbia già messo in conto che anche il prossimo governo sarà guidato da Angela Merkel. L’obiettivo realistico diventa dunque quello di evitare la vittoria completa del centrodestra, facendo in modo che Cdu e liberali non raggiungano il 50 per cento. L’asticella delle aspettative è molto più in basso: una situazione di stallo, come quella del settembre 2005, e magari la prosecuzione dell’esecutivo straordinario di Grosse Koalition, nell’interesse del paese. Sarebbero otto anni di compromesso che potrebbero cambiare per sempre il volto del bipolarismo, ormai imperfetto, della Germania. ma che consentirebbero ai socialdemocratici di restare al governo e di scongiurare il fantasma sempre più reale della dèbacle.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 14 luglio 2009)