L’immagine è tutto, suggerisce la teoria della comunicazione moderna. Sarà per questo che il prestigioso Deutsches Historisches Museum di Berlino ha affidato a un’ampia mostra fotografica il compito di celebrare il ventennale della caduta del Muro. Mostre e conferenze si moltiplicano un po’ in tutta la Germania, man mano che la data dell’anniversario si avvicina: quel 9 novembre che cambiò il corso della storia, chiudendo l’epoca della guerra fredda e aprendo quella della globalizzazione. Ma l’allestimento realizzato dal museo storico berlinese per eccellenza, nelle sale della dependance progettata sei anni fa dall’architetto Ieoh Ming Pei, associa al taglio celebrativo un ricco repertorio fotografico sulla vita nella Ddr prima della caduta del Muro e sui momenti decisivi in cui la diplomazia politica giocò un ruolo fondamentale accanto alle manifestazioni di piazza.
Il corredo informativo è certamente utile e preciso nel ricostruire la cornice storica e sociale entro cui si dispiegarono gli eventi del 1989, ma la descrizione e le emozioni sono lasciate alla pellicola impressa, al bianco e nero che rimanda a un passato che appare lontanissimo, anche se in realtà tutto si è svolto appena vent’anni fa.
La mostra è divisa in quattro grandi sezioni. Si parte con i tempi di piombo, quelli in cui il regime comunista aveva infilato una strada senza uscita. Anni difficili per la popolazione, ormai disillusa rispetto ai progetti di creare un mondo nuovo e più giusto sotto le insegne della stella rossa di Mosca. Sono immagini degli anni Ottanta, quando in occidente si dispiegò la rivoluzione tecnologica, la società dei consumi, l’era del libero mercato riassunta da due icone del liberalismo mondiale come Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Le foto di questo periodo ritraggono invece una Ddr spenta e immobile, consumata finanche nella conformazione urbanistica delle sue città. Angoli di Berlino est con i palazzi screpolati per l’incuria e l’assenza di ristrutturazioni, negozi alimentari ad Altenburg desolatamente chiusi, foto di privati cittadini in libera uscita ad Halle con sullo sfondo cumuli di macerie che sembrano usciti direttamente dall’immediato dopoguerra.
Niente documenta meglio della difficoltà economica in cui era piombata la Germania orientale, ormai soffocata da un debito pubblico imponente e totalmente dipendente dai crediti occidentali, della trasandatezza del bene pubblico e dell’incuria delle strade. Ad accentuare l’impressione di una società ormai in disfacimento, ci sono anche le immagini del mondo del lavoro: non più operai orgogliosi per le nuove conquiste dello Stato socialista, come accadeva negli anni Sessanta, ma uomini spenti, adagiati su vecchie poltrone di fianco a bottiglie di birra, in una pausa di lavoro che si dilatava in uno spazio senza tempo. E, dall’altro lato, le prime ribellioni estetiche giovanili, nate sull’emulazione un po’ tardiva di quanto era avvenuto all’ovest nel decennio precedente: un gruppo di punk, svogliato e insolente, in un angolo di Berlino est.
La seconda parte è dedicata alla rivoluzione pacifica, come qui viene chiamato il grande movimento popolare che buttò giù il regime. E qui le fotografie trasmettono l’emozione di quelle settimane straordinarie. Ci sono le immagini delle Montagsdemonstrationen di Lipsia, le manifestazioni del lunedì che partivano dalla Nikolaikirche, sempre più affollate, man mano che il coraggio si diffondeva tra la gente e la polizia non interveniva: poche migliaia a settembre, poi l’escalation a ottobre, 70mila il 9, 120mila il 16, 320mila il 23. Un fiume di donne e uomini sempre più deciso a osare quello che qualche settimana prima appariva impossibile. Le proteste si diffondono ed è possibile ripercorrere la cronologia di quei giorni attraverso i reportage fotografici, Dresda, Plauen, Magdeburgo, Berlino est.
Alcune immagini sono mosse, fotografare era ancora un esercizio proibito, talvolta viene testimoniato un arresto, una violenza: la Stasi era ancora in pieno servizio. Il contraltare è rappresentato dalle foto di regime, le celebrazioni per il quarantennale della Ddr, con i soldati che sfilano impettiti sulla Karl Marx Strasse di Berlino est e il Politburo schierato sul palco attorno a Honecker. Sono immagini ferme, rigide, tanto quanto quelle delle manifestazioni popolari appaiono dinamiche, piene di vita. C’è movimento solo quando arriva Gorbaciov: una foto lo ritrae mentre discute con gli studenti, lì sì che c’è vita, in quel giorno il capo del Cremlino darà il suo benservito a Honecker: “Pericoli attendono coloro che non reagiscono alla vita”. Sono ritratti gli striscioni che faranno la storia di questa rivoluzione, dal “Wir sind das Volk”, noi siamo il popolo rivolto contro gli uomini della Sed, il partito comunista, al “Wir sind ein Volk”, noi siamo un popolo, che metteva al centro, per la prima volta, la questione della riunificazione tedesca. E poi “Freiheit”, libertà, “Tschiuss”, addio, fino all’ironico “Visafrei bis Hawaii”, visto libero fino alle Hawaii. La festa fotografica va avanti fino alla notte danzante sul Muro di Berlino, alle Trabant che transitano attraverso i passaggi di frontiera e ai bicchieri di spumante che si incontrano in una gioia che, quella notte, appariva infinita. Lacrime e commozione che traboccano dalle istantanee.
La storia è fatta di popoli ma anche di individui che, nei momenti decisivi, compiono la cosa giusta. La sezione chiamata politica internazionale ricostruisce visivamente quanto accadeva dietro le quinte delle piazze. Sfilano i personaggi per sempre legati a quella svolta epocale. Il ministro degli Esteri tedesco-occidentale Genscher, che dal balcone dell’ambasciata a Praga dichiara ai rifugiati dell’est, accampati nelle tende, che è stato raggiunto l’accordo per il loro trasferimento nella Repubblica federale. Ci sono le foto ufficiali delle riunioni fra Kohl e Gorbaciov, nella fase delle trattative per la riunificazione tedesca, fino a quella famosissima sul tavolino tondo di legno nel giardino della dacha del presidente sovietico. E quelle non ufficiali di una riunione ristretta nell’ufficio di Bonn: ancora Kohl, Bush senjor e l’allora segretario di Stato americano James Baker, tutti in maglione o giubbotto. In altre immagini compaiono Schewarnadze, allora capo della diplomazia sovietica e i timidi leader della nuova Germania est, de Mazière in testa, che fu il primo e l’ultimo capo di governo della Ddr democratica. E poi i premier dell’Europa di allora, riuniti per il summit straordinario di Dublino, che diede il via alla riunificazione tedesca, superando le ultime resistenze. Dallo sguardo severo della Thatcher, si intuisce che non tutti gradivano i mutamenti in atto.
L’ultima sezione è più “familiare”, si riferisce al dopo, ed è rappresentata dalle foto dei tedeschi occidentali scattate alle famiglie di tedeschi orientali che avevano preferito alle manifestazioni la fuga attraverso i confini ormai aperti dei “paesi fratelli”, l’Ungheria e la Cecoslovacchia. Un primo incontro, una foto, immagini di gente spaesata ma felice, l’altra faccia del vasto movimento popolare che fece cadere i regimi dell’est. La mostra è aperta fino al 30 agosto.
(pubblicato sul Secolo d'Italia)