Merkel, cartellone elettorale del 2005 (fotowalkingclass)
“I tempi di crisi sono tradizionalmente tempi del cancelliere. Se questi dimostra di saper gestire gli eventi, gli elettori si stringono attorno. E fintanto che la Merkel si dimostrerà all’altezza della sfida sarà difficile che il suo avversario riuscirà a rubarle la scena”. Gerd Langguth, 63 anni, non ha dubbi: Angela Merkel vincerà le prossime elezioni di settembre e guiderà la Germania con un secondo mandato. Di lui ci si può fidare. E’ uno dei più noti professori di scienze politiche, insegna all’Università di Bonn, ha mescolato nella sua carriera politica e accademia: è stato deputato della Cdu, segretario di Stato, direttore della centrale federale per la formazione politica, capo dell’ufficio di rappresentanza della Comunità europea a Bonn e presidente della Konrad Adenauer Stiftung, la fondazione della Cdu. Al grande pubblico è noto per i suoi best seller politici, fra i quali la più approfondita biografia di Angela Merkel, della quale ha svelato i segreti di una carriera politica fulminante all’indomani della sua elezione alla cancelleria.
Se Langguth dice che la Merkel rimarrà nell’ufficio vetrato della “casa bianca” berlinese c’è da credergli. Il dubbio è semmai con chi. Se con i liberali di Guido Westerwelle, come lei vorrebbe, o ancora in coabitazione con Frank-Walter Steinmeier e la sua Spd, magari dopo la competizione elettorale che li vedrà l’un contro l’altra armati come candidati dei due blocchi principali: destinati a scontrarsi e, forse, ancora una volta condannati a convivere.
“Ma anche questo è un suo vantaggio”, prosegue Langguth “Merkel è spendibile per ogni tipo di coalizione: è flessibile nelle decisioni, non ideologica, cerca sempre il compromesso. Può governare con i liberali, con i socialdemocratici, addirittura con i verdi”. Il professore ha messo in fila per il suo ultimo libro gli ultimi tre cancellieri della Germania: Kohl, Schröder e Merkel, die Machtmenschen, uomini di potere, appena uscito con la casa editrice Dtv. Osserva i tre politici attraverso la lente del potere, ne analizza la capacità di governo e di leadership e, alla fine, ci spiega perché la donna più potente del mondo secondo la rivista americana Forbes ha davanti un lungo futuro. “Nessuno avrebbe scommesso su di lei, quando si affacciò per la prima volta sulla scena politica. Non aveva attorno a sé un gruppo di persone che la sostenesse, colse più semplicemente l’opportunità di farsi notare da Kohl per la sua diligenza e per la straordinaria volontà di riuscire in tutto. Era una prima della classe nata, secchiona e determinata, riusciva a fare tutto quello che Kohl le chiedeva: in effetti è una donna capace di calarsi totalmente nei ruoli che le vengono assegnati”.
Veniva dall’est, e forse anche per questo venne sottovalutata. Nella sua silenziosa scalata ha saputo cogliere tutte le occasioni che le si presentavano, anche con cinismo. Nella sua vetrina di trofei ci sono gli scalpi dei suoi mentori: De Mazière, il primo e ultimo premier della Ddr post-comunista che la mise nel suo staff; Kohl, che la portò giovanissima al governo chiamandola “la ragazza”; Schauble, spinto nel tritacarne dello scandalo dei fondi neri alla Cdu che costarono l’umiliazione al cancelliere della riunificazione. Angela Merkel non era cresciuta con quel gruppo e, quando fu inevitabile tagliare il nodo gordiano con il vecchio padre del partito, fu l’unica a poter utilizzare il coltello: con una lettera aperta alla Frankfurter Allgemeine sentenziò la fine dell’era Kohl e la nascita di una stagione nuova.
Tra gli scalpi figura anche quello di Gerhard Schröder, che le contese fino all’ultimo voto, con uno straordinario recupero, l’elezione del 2005. Con il cancelliere socialdemocratico il confronto si sposta sui meccanismi della moderna democrazia mediatica. Schröder era un leone, amava i bei vestiti, il buon cibo e il buon vino (e forse quest’ultimo, più che la Merkel, gli costò il secondo mandato in una improvvida tavola rotonda televisiva poche ore dopo lo scrutinio). Un uomo di potere capace di trasmettere calore al suo elettorato con un rapporto quasi fisico: “Si buttava in mezzo ai suoi fan stringendo mani e dando pacche sulle spalle. E aveva una grande percezione dei media. Ma con i giornalisti, che pure lo amavano, ha avuto un atteggiamento presuntuoso: era convinto che dovessero seguire le sue idee e, alla lunga, questo atteggiamento ha determinato una sorta di estraneazione fra lui e i media. La Merkel, invece, gioca spesso la carta della critica verso il suo stesso partito, si offre ai media come una conservatrice ribelle, non proprio allineata alla tradizione della Cdu: questo le crea buona stampa anche fra i media di sinistra. Nessun cancelliere conservatore ha avuto tanto credito presso testate come Spiegel, Zeit o Süddeutsche Zeitung”.
Il partito, dunque, spesso preso alla sprovvista. “Potrebbe essere il suo tallone d’Achille”, dice Langguth “se non fosse che la Cdu ha un disperato bisogno della Merkel. E, nonostante i molti contrasti, lei per ora lo domina come faceva Kohl nei suoi momenti migliori. La Cdu non ha altra strada che stringersi attorno alla Merkel, oggi un leader solo dà più affidabilità rispetto a una squadra”. E il suo avversario? “Sarò drastico ma penso che Steinmeier non abbia alcuna chance. Sembra il karaoke di Schröder, parla come lui anche se è meno carismatico e non riesce proprio a uscire dalla sua ombra. E’ comprensibile, giacché ha lavorato assieme per tanti anni. Poi non è mai stato candidato e di colpo si ritrova ad essere il candidato alla cancelleria del suo partito. Da quando ha cominciato ad attaccare personalmente la Merkel, lei gli fa rispondere dal segretario della Cdu, Pofalla. La cancelliera sfrutterà questo vantaggio, lavorerà fino all’ultimo giorno con la grande coalizione per il bene del paese e solo alla fine scenderà in campagna elettorale. Se Steinmeier ha compiuto l’errore di non diventare anche presidente del suo partito, rafforzando così la sua figura di candidato, la Merkel si proporrà come una statista che ha lavorato per il bene comune anche con un alleato al quale ha dovuto molto concedere in nome della stabilità”.
(pubblicato sul Secolo d'Italia del 7 luglio 2009)